FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 70
luglio 2025

Fame

 

UN UOMO (NON SOLO UN PUGILE)
CHE HA FATTO UN’EPOCA

Breve passaggio attraverso gli anni
di una loro icona: Nino Benvenuti

di Marco Testi




Nino Benvenuti, 1960

Certo, uno dei simboli di un’intera epoca. Fatta di contraddizioni e di speranze, alcune delle quali sono rimaste, e per fortuna, nell’immaginario collettivo. Perché quel Giovanni Benvenuti, universalmente conosciuto come Nino, nato nel 1938 e scomparso il 20 maggio 2025 è stato davvero un protagonista epocale, fin da quel mitico 1960: data storica per il Belpaese, visto che finalmente Roma diveniva Caput Mundi anche per lo sport con quelle olimpiadi che assegnarono, tra le tredici medaglie d’oro, quella dei welter proprio al giovane pugile che proveniva da Isola d’Istria, terra divenuta, con l’avvento di Tito, teatro di massacri e fughe di massa. E di dibattiti e polemiche sul prima e il poi dell’occupazione titina, che significava anche impero asburgico e in ogni caso esempio reale delle terre di mezzo del nostro pianeta, e non solo nel Novecento.

Una sorta di rivalsa, in quell’oro olimpico che divenne solo una tappa di un cammino costellato da epocali vittorie, come quella contro Emile Griffith, che poi sarebbe divenuto suo amico. Il primo combattimento, dichiarato evento dell’anno, tra i due, eravamo nel 1967, si innestava in un’epoca di fermenti e cambiamenti radicali: in Italia c’era ancora chi si scandalizzava perché “La Zanzara”, giornalino scolastico del liceo Parini di Milano, si era permesso di andare a sondare gli orientamenti sessuali dei ragazzi: ragazzi che di lì a poco avrebbero fatto le barricate e le occupazioni del ’68.

Ma era tempo anche di una Chiesa in cambiamento che si apriva alla società e alle sue drammatiche emergenze con l’enciclica Populorum Progressio di Paolo VI, che guardava non solo all’occidente del boom economico in fase di assestamento e discesa, ma anche al dimenticato – dai media del tempo – terzo mondo delle carestie e delle epidemie che falciavano vite soprattutto di bambini. Il che rimanda al nostro disperato oggi, anch’esso pieno di bambini uccisi dalle bombe, dalla fame, dalla violenza.

Erano anche gli anni della moda beat, dei bei capelli pettinati a caschetto perché nel frattempo i Beatles erano arrivati anche in Italia. Anche se non erano i soli, perché l’epocale rivalità dei Sessanta tra Mod e Rockers, che sarebbe ingiusto ridurre a eleganza, capelli lunghi e curati da una parte e violenza, capelli disordinati e amore per il rock and roll più duro e dissacratorio dall’altra. Non sempre questi due mondi erano separati. La celebrità della cosiddetta battaglia di Brighton ha contribuito, complice anche l’Antonioni di Blow up, a farne un mito dualistico.

Benvenuti rappresentava l’incarnazione di quell’epoca, con il suo ciuffo, il suo portamento disinvolto e gli abiti attillati come voleva la moda di allora, e soprattutto portava in sé, in modo del tutto naturale, una nuova modalità di essere sportivo e per sovrapprezzo pugile: non più il picchiatore tutto muscoli e grinta, ferite e segni del ring, avversione per la vita “borghese” perché costretto ad allenarsi mattino e sera per garantirsi almeno pane e companatico. Nino appariva benevolo, sorridente, ironico – e autoironico, il che ha contribuito a farne il protagonista di una svolta epocale – disinvolto e solare nonostante gli inevitabili segni dei colpi arrivati sul ring. Era il corrispettivo sportivo della mini di Mary Quant e dei Beatles, segno del cambiamento dei tempi che ponevano anche un pugile tra i protagonisti epocali.

Benvenuti è stato il segno di un nuovo tempo, in cui anche lo sport duro, quello che ti crea danni per il dopo, come lo stesso Nino riconobbe a contatto con l’Alzheimer di alcuni suoi colleghi, entrava nella nuova scena. Una scena in cui la contestazione diveniva nel frattempo anche violenza e lotta armata e in cui la risposta ai cambiamenti arriva tragica e in taluni casi irrisolta ancora oggi. Come nel caso dell’omicidio prima di John Kennedy, e poi cinque anni dopo, nel fatale 1968, del fratello Robert, e, ancora del leader pacifista Martin Luther King. Episodi che lasciano inquiete domande anche nel nostro, anch’esso tragicamente inquieto, oggi.

Benvenuti assume in sé le nuove coordinate di quell’epoca, ciò che i tedeschi hanno chiamato zeitgeist, vale a dire spirito del tempo: come abbiamo già notato, capelli moderatamente lunghetti e pettinati secondo il gusto del periodo, ma anche la capacità di esprimere a modo suo quello spirito, con le vittorie epocali che ne fecero una delle icone del tempo; e però anche la storia di una sofferenza che non ne faceva un privilegiato facilitato in tutto, ma anzi il protagonista, seppure allora assai giovane, di eventi che hanno fatto l’Italia nonostante i se e i ma, fatti propri anche dal campione, sulla più o meno assoluta italianità di Trieste e dintorni. Con tragedie familiari che ne hanno fatto un personaggio reale e non solo innalzato su un piedistallo senza consistenza.

Uno spirito del tempo che va oltre i comparti stagni, perché non solo Beatles, ma anche Rolling Stones, vale a dire facce dure, musica aggressiva e dura, e bellezze apparentemente solari ma anche tragicamente fragili come Marilyn Monroe, gli anni di Love story di Eric Segal, ma anche di La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda, in cui la sofferenza arrivava ai limiti del non dicibile. Gli anni di una Scuola di Francoforte che sembrava poter riproporre le speranze di rinnovamento del mondo di un marxismo che stava mostrando le sue contraddizioni concentrazionarie, insieme a una psicoanalisi che tentava l’incontro con le nuove istanze sociali e le utopie. Il tempo dell’isola di Wight, di Woodstock e di Monterrey, dei concerti sterminati in cui all’alba ci si svegliava con le note lancinanti di Jimi Hendrix, altra icona di quel tempo unico. E delle canzoni-poesie di Bob Dylan e Joan Baez, che hanno attraversato quegli anni portando ai giovani di oggi il messaggio inalterato di pace iniziato con Woody Guthrie e Pete Seeger e per fortuna continuato da noi da Tenco, De Gregori, De André, Dalla, il primo Venditti e altri.

Anni ruggenti, certo, ma anche contraddittori. Come tutte le umane ere.
Il sorriso di un pugile capace di mettere ko grandi campioni ritenuti pressoché indistruttibili, che prendeva a sua volta bei cazzotti, oltre che darli, e che girava per i salotti tv e cinematografici che contavano, la sua capacità di ridere di sé stesso e dei propri errori: prova provata che è dalle apparenti contraddizioni che emerge il senso di una vita. E di un’epoca.


testimarco14@gmail.com