Sunt lacrimae rerum, et mentem mortalia tangunt. VIRGILIO, Eneide, I, 462
LA NIEVE ARDE
1
Si digo bello no hablo de ti, hablo de la lengua.
Tampoco del elfo azul.
Si digo bello hablo de tu luz
flotando en el lago, del cisne negro cuando nombra
las soledades.
Hablo del amor que en la estancia resplandece,
porque el tiempo toca lo invocado,
porque el tiempo habla en nosotros las sombras.
2
Un bosque se abre y su verdor
es duración
de aquellos ojos que amé.
La nieve arde y enciende
lo dulce del otoño.
3
He perdido el hábito de avergonzarme:
me inclino hacia la veta,
hacia el presagio del hielo,
un crujir de leños en el azul cobalto.
LA NEVE BRUCIA
1
Se dico bello non parlo di te, ma della lingua.
Nemmeno dell’elfo blu.
Se dico bello parlo della tua luce
che fluttua sul lago, del cigno nero quando nomina
la solitudine.
Parlo dell’amore che nella stanza risplende,
perché il tempo tocca quel che si invoca,
perché il tempo fa parlare in noi le ombre.
2
Si schiude un bosco e il suo verde
è permanenza
di quegli occhi che ho amato.
La neve brucia e incendia
la dolcezza dell’autunno.
3
Ho smarrito l’abitudine di vergognarmi:
mi inchino verso la venatura,
verso il presagio del ghiaccio,
un rumore di tronchi nel blu cobalto.
EL POETA
1
Polvo
finísimo
que nadie ve.
Vidriosa soledad
que da al cuerpo
lo que no
sabe.
Dice
mis ojos están rotos.
Clama en el vacío
por lo que
un día fue.
Cuando deja de ver,
alumbra.
2
Encarna la distancia, las metamorfosis, el límite.
No acepta que su visión se incline hacia lo grandioso,
como si el vacío
o la nada
guiaran su mano.
Su morada está en las valvas de la ostra,
allí concentra lo disperso
hasta florecer
perla,
nácar que lo regresa siempre a casa.
Suya es la sombra,
intuitiva,
discontinua.
En el destello de la ola, su follaje derrama sobre la piedra.
Abraza la pasión, el peligro.
Está en la luz, filo de ceguera
impensada nevazón, reclama la aridez del vocablo.
Silencio más bello que el silencio
la palabra
paraíso:
su dolor precipita en el poema.
3
La textura oculta de la ostra
es dicha
en su veladura.
Comienzo de un principio sin fin
la vida en la palabra
teje
su esperado nacimiento.
Eternidad
la cal
de su ausencia.
El poeta
mira la estela
desleírse sobre el lago,
al ánsar suspenso en su vuelo.
Su visión
late con el pulso del río.
Calla cuando el cielo cierra
sus portones.
Está en el lugar
de sí,
de su ilegitimidad:
la asfixia de su voz
combate
dolidamente
las cenizas.
4
Muda cadencia, el poeta es relámpago suspendido en la encrucijada,
sol que despunta en la azucena, nunca burlado por el cristal.
Mancha de ocelote, se derrama sin franquear su impronta.
Avanza protegido por su certera sombra. Curtida raíz,
su silencio aguarda como limo en el fondo del pozo.
Erosión y aurora, su grito estalla flor de abismo.
IL POETA
1
Polvere
sottilissima
che nessuno scorge.
Solitudine vetrosa
che dà al corpo
ciò che non
conosce.
Dice:
i miei occhi sono a pezzi.
Grida nel vuoto
per cui
un giorno è stato.
Illumina,
quando smette di vedere
2
Incarna la distanza, le metamorfosi, il limite.
Non accetta che la sua visione si inclini verso il grandioso,
come se il vuoto
o il nulla
guidassero la sua mano.
La sua dimora è nei gusci di un’ostrica,
lì si raccoglie ciò che è disperso
fino a sbocciare
in perla
che lo riconduce sempre a casa.
Sua è l’ombra,
intuitiva,
discontinua.
Nel bagliore dell’onda, il suo fogliame si sparge sulle pietre.
Abbraccia la passione, il pericolo.
È nella luce, filo di cecità
impensabile nevicata, reclama l'aridità del vocabolo.
Silenzio più bello del silenzio
la parola
paradiso:
il suo dolore precipita nella poesia.
3
La trama occultata dell’ostrica
è tale
nella sua venatura.
Inizio di un principio illimitato
la vita nella parola
tesse
la sua nascita così attesa.
Eternità
la calce
della sua assenza.
Il poeta
guarda la scia
scivolare sul lago,
l’oca sospesa in volo.
La sua visione
batte al ritmo del fiume.
Tace quando il cielo chiude
i suoi cancelli.
È sul luogo
di sé,
della sua illegittimità:
l’asfissia della sua voce
combatte
dolorosamente
contro la cenere.
4
Muta cadenza, il poeta è fulmine sospeso all’incrocio,
sole che spunta sul giglio, mai deriso dal cristallo.
Macchia di gattopardo, si sparge senza valicare la sua impronta.
Avanza protetto dalla sua precisa ombra. Forgiata radice,
il suo silenzio attende come fango in fondo al pozzo.
Erosione e aurora, il suo grido esplode fiore dell’abisso.
TRINITÀ DEI MONTI
Cuando el peso de la vida cansa tu cuerpo, cuando tu corazón se debilita como una hoja de cilantro, cuando hasta tu cabello se deshace como los pelos del elote, cuando necesitas que alguien seque las gotas de sangre en tus pies, cuando tu rostro aún tiene que ser sostenido por la mano de tu madre y el eco de las injurias se escucha en cada astilla de tu leño, entonces yo me pregunto cómo es posible que, ante el frío del mundo, no pueda mirar el rojo de la sandía, cómo no percibir la agraciada circunferencia de la manzana, cómo no escuchar la cantata desde el coro que alberga la deposición original de tu dolor.
Roma, junio 21, 2019
TRINITÀ DEI MONTI
Quando il peso della vita stanca il tuo corpo, quando il tuo cuore si indebolisce come una foglia di coriandolo, quando perfino i tuoi capelli si disfano come fibre di mais, quando hai bisogno che qualcuno ti asciughi le gocce di sangue sui piedi, quando il tuo volto deve ancora essere sostenuto dalla mano di una madre e l’eco delle ingiurie si sente in ogni scheggia della tua croce, allora mi chiedo come mai, davanti al freddo del mondo, non sia possibile osservare il rosso dell’anguria, non percepire l’aggraziata circonferenza della mela, non ascoltare la canzone del coro che ospita la originaria deposizione del tuo dolore.
Roma, 21 giugno, 2019
*
Mi pregunta se encuentra en un espacio abandonado.
Su peso no tolera la verdad de una respuesta.
La poesía husmea en el festín de la muerte.
El poeta escribe al borde del precipicio.
La duda espera siempre abajo.
Los vocablos nunca ascienden a un mismo tiempo.
*
La mia domanda si trova in uno spazio abbandonato.
Il suo peso non tollera la verità di una risposta.
La poesia fiuta nel banchetto della morte.
Il poeta scrive sull’orlo del precipizio.
Il dubbio aspetta sempre di sotto.
Le parole non si innalzano mai nello stesso istante.
HAMBRE
Es de día en el pueblo de los pescadores.
La sangre fresca de las lubinas
escurre por las cestas
como estallido de jazmines en primavera.
Mas no son flores lo que tus ojos ven.
El pez desparrama su muerte,
nada en una nada más vasta que el vacío.
Una paradójica náusea
recubre la cruda superficie de la escarcha.
La salpicadura en las vitrinas aviva el tumulto de los mares
y sella la dureza del diamante.
Sientes asco, confundes hambre y ayuno,
tus ojos esas vísceras acunan.
Buscas en sus entrañas un resplandor más profundo
que las dalias en la nieve.
No me abandone el ojo por donde habré de entrar
hacia mi propria muerte.
FAME
È giorno nel villaggio dei pescatori.
Il sangue fresco delle spigole
sgocciola dai cestini
come a primavera un’esplosione di gelsomini.
Ma non sono fiori quelli che i tuoi occhi osservano.
Il pesce sparge la sua morte,
nulla in un nulla più vasto del vuoto.
Una paradossale nausea
ricopre la superficie grezza del ghiaccio.
Gli spruzzi sulle vetrine accendono il tumulto dei mari
e sigillano la durezza del diamante.
Senti ribrezzo, confondi fame e digiuno,
i tuoi occhi cullano quelle viscere.
Cerchi nel suo interno un bagliore più profondo
delle dalie sulla neve.
Non mi abbandoni l’occhio lì dove dovrò entrare
verso la mia morte.
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