Un Capo di Stato convoca un summit per iniziare trattative di pace con una Nazione alla quale ha mosso guerra. Indica data e luogo, e il leader dello Stato aggredito accetta immediatamente e senza condizioni. Che succede? Dopo un silenzio siberiano, l’autore dell’iniziativa “di pace” comunica che non parteciperà all’incontro, così come il suo Ministro degli Esteri e negoziatore di punta.
È stato poco serio il propugnatore di un negoziato di tale importanza? No, è stato serissimo, coerente, perché si chiama Vladimir Putin, un nome che assurgerà per sempre a sinonimo di autocrate, spudorato bugiardo, assassino e criminale di guerra. Voglio specificare che non c’è un filo di esagerazione in uno solo di questi sostantivi, che il Presidente della Federazione Russa non manca di confermare quotidianamente.
Ma perché quest’uomo spregevole tiene in scacco mezzo mondo, chiama una guerra cruenta col nome di “operazione speciale”, fa schiantare missili sulla popolazione civile, ha mandato a morire centinaia di migliaia di uomini e ragazzi ucraini e russi, ha abolito nel suo Paese la democrazia e le libertà più elementari, fa assassinare i suoi oppositori politici, indice elezioni presidenziali che sono una barzelletta (subito esclusi, ridicolmente, Yekaterina Duntsova e Boris Nadeždin, i due candidati che potevano dargli fastidio) e quando parla della tragedia ucraina si esprime come se stesse commentando un evento qualsiasi? La spiegazione è solo una: siamo dinanzi a una personalità con tratti paranoidi, un disturbato e ossessionato che ha avuto la ventura di essere eletto al vertice dello Stato più vasto del mondo e fra i più potenti militarmente ed economicamente (mi riferisco alle ingenti risorse energetiche della Russia).
Chi soffre di disturbo paranoide di personalità è spinto a proiettare sugli altri le sue percezioni esagerate o malate. Inoltre, ha un comportamento diffidente e sospettoso, è teso costantemente a ricercare significati oscuri e minacciosi, è generalmente freddo e distaccato, ma rancoroso e vendicativo. I manuali clinici specifici e i criteri diagnostici condivisi dalla comunità scientifica internazionale lasciano pochi dubbi nell’attribuire a Vladimir Putin un disturbo paranoide di personalità. Quando il possessore delle maggiori testate nucleari del Pianeta si sente minacciato dalla NATO, quando è terrorizzato dalla volontaria occidentalizzazione di uno Stato confinante, quando inventa che tale Stato deve essere “denazificato”, quando nel saggio Sull’unità storica di russi e ucraini, pubblicato il 12 luglio 2021, scrive che la formazione di uno Stato etnico ucraino ostile a Mosca “è paragonabile nelle sue conseguenze all’uso di armi di distruzione di massa contro di noi”, Putin sta rivelando esattamente ciò che è.
Ma Vladimir Putin è ben più disturbato di un paranoico. Il compianto neuroscienziato James Fallon, professore di psichiatria all’Università della California, aveva studiato a lungo la personalità di Putin, riscontrandovi tratti psicopatici e narcisistici. È tipico degli psicopatici mentire con freddezza e bravura; essi evitano di mostrare i segnali che tradiscono la maggior parte delle persone quando mentono. E ci riescono, spiegava Fallon, perché agli psicopatici la moralità delle cose non interessa; non c’è conflitto al loro interno, non pensano all’impatto negativo che potrà avere la loro falsità. Ma lo psicopatico ha anche una smisurata considerazione del proprio ego, non ha paura di nessuno ed è disposto a correre rischi elevati; inoltre, ha una marcata tendenza all’attribuzione esterna delle colpe. Se consideriamo infine che Putin ha avuto un’infanzia e un’adolescenza “da teppista”, come afferma egli stesso, il mosaico dei tratti che compongono una personalità psicopatica è pressoché completo.
Questo è il contesto psichico di un uomo la cui personalità può essere ignorata dal cittadino comune, ma sul quale, anche in tempi non sospetti, si sono pronunciati con lungimiranza storici, psicologi, intellettuali, politologi. Cominciamo dai giudizi più recenti, e in particolare dalla bella intervista del giornalista Enrico Franceschini al regista Michael Lockshin, pezzo apparso sul Venerdì di Repubblica del 1° maggio 2025.
Lockshin è, appunto, il regista de Il Maestro e Margherita, film ispirato all’omonimo capolavoro letterario di Mikhail Bulgakov (da giugno nelle sale italiane). Il regista, nato negli Stati Uniti d’America nel 1981 e cresciuto in Russia, dopo aver girato Il Maestro e Margherita (che dal gennaio 2024 fece subito il pieno nelle sale cinematografiche della Russia, per poi venire boicottato dall’attuale regime) venne accusato di fare propaganda anti-russa, rischiò il carcere e fu costretto a tornare in America.
Ora, Lockshin ha legami affettivi sia con la Russia sia con gli Stati Uniti, e conosce benissimo entrambe le Nazioni. Nel corso delle numerose apparizioni pubbliche di questi mesi, gli hanno chiesto più volte di parlare di Putin; la risposta è stata sempre la stessa: “È una delle persone più pericolose del mondo”. Nell’intervista sopra citata, alla domanda di Enrico Franceschini su quando e come potrà finire la guerra in Ucraina, il regista replicava così: “Non lo so, ma posso dire che Putin e la sua cerchia non hanno fatto la guerra per impedire all’Ucraina di entrare nella NATO: è una guerra nazionalistica, centrata su una mentalità imperialistica, per impedire che l’Ucraina sia una Nazione libera, prospera e occidentale”. E per finire: “Il fatto che in Occidente ci sia chi simpatizza per Putin mi lascia sbalordito”.
È una realtà, quest’ultima, indubitabile e sconcertante. A parlarne di recente è stato Bill Browder, il grande imprenditore e attivista anglo-americano, padre del Magnitsky Act, le legge firmata da Obama per punire chi viola i diritti umani in Russia. Ecco le sue parole: “Nonostante l’orrenda guerra in Ucraina, ho percepito un vasto sostegno popolare per Putin nel vostro paese. È qualcosa di mai visto in Europa”.
I putiniani d’Italia, appunto. Mentre si parla dell’aggressione russa spostano il discorso su Zelensky, sul fallito summit di Istanbul (dove la Russia dettò condizioni inaccettabili, specialmente riguardo al futuro dei territori ucraini e alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina; altro che colpa di Boris Johnson!), sulle armi all’Ucraina, sulla pace per la quale non ci siamo battuti abbastanza. Poco o niente, invece, sul chiaro disegno imperialistico di Putin, sulle menzogne continue della sua cerchia, sulle bombe e i missili contro la popolazione civile ucraina. Sono per la Russia, per Putin, ma non possono dichiararlo apertamente, perché si vergognano di ammettere che stanno dalla parte di un autocrate, un assassino, un criminale di guerra.
Nessuno dei Capi di Stato del “degenerato” Occidente è un dittatore; nessuno perseguita i giornalisti; nessuno fa arrestare chi decide di manifestare pubblicamente le sue idee; nessuno ha fatto chiudere testate televisive; nessuno ha limitato la libertà personale dei cittadini; non ci sono migliaia di prigionieri politici nelle carceri; nessuno ha eliminato il suo principale rivale politico.
Di là, invece, c’è uno che sta conducendo una guerra spietata, che afferma che la colpa è dell’Occidente, che minaccia l’uso dell’arma atomica e poi lo smentisce, che aveva affermato più volte, prima di scatenare la guerra, che “l’Ucraina è Russia”, e che quindi aveva ben chiaro ciò che avrebbe fatto. Vorrebbe annientare l’Ucraina, poi – è successo qualche settimana fa – se ne esce dicendo che un giorno ci sarà la riconciliazione fra russi e ucraini. Che cosa? L’Ucraina era già stata distrutta e umiliata a causa dell’Holodomor; oggi la Russia sta cancellando intere città e villaggi, uccidendo donne, vecchie e bambini, e il suo Capo si aspetta il perdono, la riconciliazione! Ho diversi amici ucraini, alcuni abitano a Gerano, il mio paese, e hanno maturato un’avversione profonda per la Russia, e non solo per il suo leader. Putin è riuscito a ottenere un grande risultato, lo stesso che otterrà Netanyahu, l’altro criminale che va in giro per il mondo: l’odio delle popolazioni che stanno massacrando, un sentimento che solo un miracolo potrà estinguere.
La beffa è che l’autocrate russo non aveva ingannato alcune menti illuminate che si erano espresse sul suo conto, e che invitavano a non fidarci del bullo venuto dal KGB. Infatti, sui possibili pericoli rappresentati dall’ascesa di un uomo come Vladimir Putin si erano pronunciati in modo netto, e in tempi non sospetti, alcuni dei più grandi intellettuali europei, due su tutti: il compianto filosofo francese André Glucksmann e lo scrittore polacco Andrzej Stasiuk. Lo avevano fatto più volte sulle pagine di autorevoli organi di informazione europei; oggi, le loro parole tragicamente vere e inascoltate suonano come una vergogna per chi non solo le ha ignorate, ma ha adottato, nei confronti dell’occupante del Cremlino, un atteggiamento condiscendente anche quando ha mostrato la sua vera natura di autocrate e criminale.
André Glucksmann, intellettuale sempre in prima fila nella difesa della libertà e dei diritti umani, ammoniva a diffidare di Vladimir Putin sin dall’insediamento di questi alla carica di Presidente della Federazione Russa. Una sua intervista all’Espresso del 31 dicembre 2003 lascia scioccati per la lucidità e la lungimiranza con cui il filosofo metteva in rilievo i pericoli rappresentati da Putin. Glucksmann esordiva auspicando che la brava gente occidentale cessasse di sognare russo; parimenti, si augurava che i nostri “falsi furbi” la smettessero di immaginare una Russia “al servizio delle loro utopie e dei loro calcoli”; stigmatizzava l’assoluzione, da parte di molti governanti europei, del distruttore delle città cecene e massacratore dei loro abitanti; metteva in guardia contro “il rimpiazzante del Cremlino” e la sua “famiglia” di oligarchi e clan mafiosi che saccheggiavano l’economia russa; sgridava l’Occidente sognatore che “incoronava lo zar” pur sapendo dello spregio delle libertà individuali e dello Stato di diritto.
A peggiorare il quadro, scriveva Glucksmann, la realtà del popolo russo, soggetto a quella che Solženicyn chiamava “la psicologia della sottomissione”: “Una popolazione scervellata da 70 anni di comunismo è impantanata in una speranza paralizzante. Un’élite cresciuta nel totalitarismo rischia di cadere senza ricorso possibile in un nichilismo senza frontiere né tabù”. E concludeva: “Ogni volta che l’Occidente ha scommesso senza riflettere sul miraggio russo, è inciampato cadendo in un buco nero”.
Meno di un anno dopo, sull’Espresso dell’11 novembre 2004, Andrzej Stasiuk si pronunciava in modo altrettanto chiaro e categorico. Il terreno di discussione era diventato proprio lo Stato ucraino. In occasione del secondo turno delle elezioni presidenziali di quel novembre 2004, il Presidente della Bielorussia Alexandr Lukashenko e lo stesso Vladimir Putin erano scesi a Kiev per supportare l’elezione a Presidente del filorusso Viktor Janukovyĉ. Intuendo che per Putin l’Ucraina continuava a rappresentare nient’altro che un’appendice della Russia, così Stasiuk giudicava le ingerenze del leader russo in quella campagna elettorale: “È interesse di questa ex spia e membro del KGB che nelle elezioni presidenziali in Ucraina vinca un certo Janukovyĉ, un ex pregiudicato condannato due volte da un verdetto di tribunale. Perché così l’Ucraina potrà cominciare una lenta deriva verso l’abbraccio russo e tornare a essere parte dell’Impero rinascente. (…) Sono volati a Kiev sperando che la democrazia ucraina, grazie al loro aiuto, si dimostri un cadavere già sul nascere”.
La conclusione di Stasiuk lascia di stucco per l’anticipazione di una realtà che oggi è sotto gli occhi di tutti: “Sarà un impero del tutto diverso: anacronistico, pieno di complessi, imprevedibile e tormentato dall’ossessione di essere migliore del resto del mondo”.
Sempre nel 2004, Anna Politkovskaja, una delle più grandi giornaliste dei nostri tempi, assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006, giorno del compleanno di Putin, pubblicava presso The Harville Press, col titolo Putin’s Russia (La Russia di Putin, Adelphi, 2005) quello che definiva un libro che parlava di Putin “senza toni ammirati”, spiegandone il perché: “Diventato Presidente, Putin – figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà. E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione”.
Dopo aver documentato un’impressionante serie di abusi, violenze, massacri che non avevano risparmiato nessuno, in un Paese dove “il linciaggio è all’ordine del giorno, nelle azioni e nella coscienza della gente”, la Politkovskaja concludeva così il suo libro: “Putin, che – per puro caso – si è ritrovato ad avere un potere enorme, lo ha gestito con conseguenze catastrofiche per la Russia. E se non mi piace è anche perché nemmeno noi piacciamo a lui. Non ci sopporta. Ci disprezza. Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico čekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino”.
Nel giugno 2014 toccava a Gary Shteyngart, “lo scrittore russo più divertente d’America”, pronunciarsi sul despota del Cremlino: “Putin è un bullo, il prodotto di un’infanzia in un’orrenda periferia di Leningrado, ci accorgeremo di quanto possa essere psicotico”.
A guerra appena iniziata, su la Repubblica del 4 marzo 2022, lo scrittore ed esperto di Russia Jan Brokken dichiarava a Enrico Franceschini: “Il Putin di oggi esibisce la paranoia e la ferocia di uno zar o di Stalin. (…) Un leader che giustifica l’invasione sostenendo la necessità di denazificare l’Ucraina deve essere davvero pazzo”.
Il premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievič si esprime sul Venerdì di Repubblica nel maggio 2022: “Lei deve tener conto, sempre, che Putin vuole appropriarsi del popolo. Per questo non vuole che la gente sappia la verità. (…) Lui vuole ristabilire l’impero zarista. Ha l’idea e il mito della Grande Russia, e noi sappiamo bene come finisce nella Storia l’inseguimento di questo sogno di grandezza, la Grande Serbia, la Grande Germania, e ora la Russia. Putin continua a ripetere che la Russia è stata offesa, che è stata mortificata, che dobbiamo costringere gli altri a rispettarci. E poi c’è un odio quasi fisico verso l’Ucraina. (…) Ma mi domando: per che cosa va rispettato? Per la quantità di armi nucleari che controlla? Ci sono molte cose per cui si può rispettare un Paese moderno, le idee, la ricerca tecnologica, le sue conquiste scientifiche. Invece no, noi dobbiamo rispettare soltanto la potenza militare, cioè il pericolo rappresentato dall’homo sovieticus; perché così, ridotto a una sola dimensione, si tratta di un uomo cresciuto nella cultura della violenza, e che solo con la violenza sa risolvere i problemi”.
Nella Prefazione (aprile 2022) a L’uomo senza volto (Sellerio) - una delle migliori biografie su Vladimir Putin - l’autrice, Masha Gessen, non usava mezzi termini nel riferirsi alla guerra in Ucraina, appena iniziata: “Lui (Putin) andrà avanti con la guerra, costi quel che costi in termini di denaro e vite umane. Putin ci ha già detto e mostrato chi è e che genere di sistema ha costruito; la maggior parte dei capi di stato e dei media occidentali non ha voluto sentire e vedere. Ora Putin sta distruggendo l’Ucraina, demolendo l’ordine di sicurezza seguito alla seconda guerra mondiale e minacciando una guerra nucleare. Se ancora sembra incredibile, è perché ci siamo rifiutati di vedere quello che era sotto i nostri occhi”.
Nel dicembre 2022 è stato il pluripremiato romanziere Mikhail Shishkin – padre russo e madre ucraina – a pronunciarsi sul potere criminale di Putin: “La Russia di oggi è uno Stato fascista. Non importa quello che dicono al Cremlino, ciò che conta è quello che fanno. E fanno fascismo”.
In conclusione, che cosa si può fare con un immorale che non conosce se non la forza e la sopraffazione? Nella citata intervista del marzo 2022 Jan Brokken proponeva alle Democrazie occidentali e all’ONU di mettere Putin all’indice: “Non avere più nulla a che fare con lui. Non fidarsi mai più di quest’uomo, non offrirgli mai più un summit o un palcoscenico internazionale”.
Stesso pensiero di Michail Chodorkovskij, l’ex imprenditore e oligarca incarcerato in Russia dal 2003 al 2013 per accuse di natura fiscale (ma per molti analisti perché Putin lo considerava un pericoloso avversario politico). Chodorkovskij, ora uno dei maggiori attivisti russi in esilio, è chiaro in tutte le interviste che rilascia. Parla del governo di Putin come di un “regime malavitoso”, di banditi “che sono come le iene, attratte dalla debolezza”, sottolinea che la Russia è in guerra con i Paesi democratici, e che trattare con Putin e col suo regime illegittimo è possibile soltanto negandogli qualsiasi riconoscimento ingiustificato e muovendosi da una posizione di forza.
Difficile da realizzare? Sì, ma necessario, altrimenti è inutile che continuiamo a parlare di libertà, democrazia, cultura, fratellanza e valori del genere, perché Putin ne ha fatto e continua a farne strame. Perché dovremmo continuare a sopportare tutte le menzogne che ci ha propinato? Perché dovremmo consentirgli di continuare a distruggere? Ogni volta che si parla della guerra in Ucraina, dovremmo esordire tutti con una realtà innegabile: un solo uomo, un criminale, ha nelle mani il destino di un intero popolo che non lo vuole, che non vuole sottostare al suo potere. E non è finita: Putin si rivelerà un disastro anche per il suo popolo, quello russo, perché lo ha asservito, gli ha impedito di crescere culturalmente, lo ha disumanizzato, lo ha peggiorato.
Paranoia e timore per il proprio potere, ecco chi è Putin. Da decenni il filosofo Giacomo Marramao mette in evidenza l’elemento che il potere teme più di ogni altra cosa: il cambiamento, la dialettica, l’evoluzione delle persone, della cultura, dei fermenti di libertà che i dittatori mirano a cristallizzare.
Mi sono chiesto tante volte che cosa avrebbe pensato la Politkovskaja del Putin di oggi. Impossibile non immaginare che la sua motivata avversione sarebbe assurta ad astio, a odio, a repulsione. Sono gli stessi sentimenti che nutro io per quest’uomo falso e malvagio, un uomo che sta condizionando la vita di 138 milioni di concittadini, ai quali ha congelato l’autonomia di giudizio e lo spirito.
Sto esagerando?
No, sto applicando il principio fondamentale che la Politkovskaja ha lasciato come eredità a sua figlia: chiamare le cose col proprio nome.
armando.santarelli@inwind.it
|