Ci trovavamo nel monastero di Vatopedi e le campane suonarono per chiamare alla cena. Eravamo arrivati in quel luogo ore prima dopo aver camminato per boschi e colline, insetti, scivolosi serpenti e lucertole. E subito ogni monaco, giovane o anziano, prese a correre verso il refettorio, che era collocato in un piccolo edificio alla fine di una piazza. I monaci correvano e noi ci unimmo a loro. Una volta dentro tutti si sedettero nelle lunghe tavole di legno che formavano una mensa collettiva. Silenzio, e all'improvviso ecco che entra l’abate seguito da un religioso con in mano un libro enorme, pesantissimo. Nel momento stesso in cui l’abate iniziò a mangiare il suo accompagnatore attaccò a leggere, in un greco molto gutturale, una lunga preghiera da quel libro. Tutti i monaci all’unisono, armati del loro cucchiaio di legno, cominciarono a mangiare. Ora contro il silenzio c’era il colpo dei cucchiai sui piatti di peltro. Noi li guardavamo estasiati da questo concerto di rumori e parole. A un certo punto l’abate smise di mangiare. E nella sala tutti fecero la stessa cosa. I piatti erano vuoti, tranne i nostri.
– Da adesso in poi nessuno può più mangiare, fino a domani – disse un monaco di guardia al nostro fianco.
“La fame accompagna il pellegrinaggio dello spirito”, così sta scritto in un antico manoscritto.
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