FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 56
settembre-dicembre 2020

Caos

 

LINEARE

di Matteo Moscarda



È cominciato tutto dopo i quarant’anni.

Ho sempre avuto la mania della catalogazione, dell’archivio, fin da bambino mi è sempre piaciuto dare un ordine alle cose, suddividerle per categorie, sapere dove le avrei trovate se mi fossero tornate utili. Già da piccolo mi piaceva costruire dei separé nelle scatole di scarpe, per poterci mettere i giocattoli più piccoli, a gruppi tematici. Ho sempre amato tutti i portaoggetti pieni di piccoli scomparti. L’idea che ogni oggetto avesse il suo spazio delimitato, o che quantomeno non lo condividesse con oggetti troppo diversi da lui, quest’idea mi ha sempre messo una certa serenità, fin da piccolo.

Ma poi, quando ho compiuto quarant’anni, è successo qualcosa. È stato per caso. Ho letto i diari di un filosofo americano, e mi è piaciuta moltissimo la suddivisione, il fatto che tutti gli eventi fossero circoscritti all’interno di una data, e questo per tutto l’arco della vita del filosofo, da quando aveva vent’anni fino a quando ne ha compiuti quarantacinque: per venticinque anni questo filosofo ha compilato i suoi diari e ha catalogato tutto ciò che ha visto e fatto in vita sua, e probabilmente sarebbe andato avanti all’infinito se non fosse morto giovanissimo, a soli quarantacinque anni. Questa sua catalogazione infinita mi ha trasmesso un immenso senso di serenità, anzi di invidia, tant’è che per gioco ho cominciato a fare la stessa cosa, con la differenza che io ho cominciato a quarant’anni e non a venti, per cui prima di registrare i nuovi eventi ho dovuto ricostruire tutti quelli passati.

All’improvviso tutta la mia vita mi è sembrata molto più chiara, ho visto il nesso di causa ed effetto che ha legato tutte le mie decisioni, le partenze, gli abbandoni. Molti eventi che per anni ho collocato in modo vago cinque o dieci anni prima nel momento in cui li ho ricordati, da quel momento questi eventi hanno trovato una collocazione esatta, giorno, mese e anno, a volte persino l’orario. All’improvviso ha acquistato senso il fatto che io per quarant’anni non abbia buttato mai nulla. Ho scoperto, perché l’avevo dimenticato, che dietro a tutte le fotografie scattate con la reflex, quando ancora si facevano le foto con la reflex e l’unico modo per vederle era stamparle, ho scoperto che sul retro di tutte le foto stampate fino a quindici anni fa ho scritto una data e i nomi delle persone che vi compaiono, nomi che negli ultimi dieci anni avevo rimosso e che all’improvviso ho ricordato, il che mi ha permesso di capire anche chi frequentavo in quel determinato periodo della mia vita, chi me li aveva presentati, perché non li frequento più.

E così ho cominciato a trascrivere sul mio diario tutti i nomi e tutte le date e tutti i luoghi della mia vita, e là dove c’erano delle lacune ho potuto consultare tutti i biglietti ferroviari e aerei, e i biglietti dei concerti e gli ingressi ai musei, tutte cose che ho sempre conservato e raccolto in decine di faldoni, dentro delle buste trasparenti che soltanto di recente ho scoperto che si chiamano cristal. E anche quando questo sentiero di tracce cartacee si interrompeva, ovvero all’incirca dieci anni fa, nel periodo in cui ho smesso di viaggiare, di andare ai concerti o di usare la reflex, da quel momento in poi ho capito che potevo comunque ricostruire mille dettagli attraverso i miei file digitali e le varie caselle di posta che ho avuto nel corso degli anni. Ho scoperto che i file digitali non riportano soltanto la data dell’ultima modifica ma anche quella della creazione, e cercando a ritroso in tutti i miei account ho ricostruito conversazioni e rapporti che avevo del tutto rimosso. Ho capito perché sono finite delle amicizie, ho capito perché dopo essere stato licenziato, quindici anni fa, mi sono trasferito in Islanda, ho persino capito perché dieci anni fa, a un certo punto, ho smesso di andare ai concerti e di fotografare. Mi sono ritrovato con una mappatura dettagliatissima di ogni mio singolo movimento, di ogni singola cosa fatta per quarant’anni, e tutto ciò che riguardava l’età in cui ero troppo piccolo per lasciare documenti, tutta questa parte della mia vita, fino ai quattordici anni, l’ho ricostruita parlando con i miei e con le mie sorelle, e trovando così un nuovo motivo per parlare con i miei e le mie sorelle, mentre dai quattordici in poi mi sono bastati i diari scolastici, sui quali ai tempi si usava riportare molto di più che gli appunti per la scuola.

Alla fine mi sono ritrovato con una mappatura completa di ogni singolo evento rilevante della mia esistenza, dai primi giorni di vita fino al giorno precedente i miei quarant’anni, ogni singolo evento rilevante ma anche migliaia di eventi irrilevanti che avevo rimosso e che però, in qualche modo, una volta recuperati, mi sono sembrati rilevanti per comprendere meglio quelli importanti. Anzi, a un certo punto non riuscivo più a distinguere gli eventi importanti da quelli irrilevanti, ogni evento irrilevante mi permetteva di capire meglio quelli importanti, e quindi diventava importante anch’esso, e così a un certo punto non sono più riuscito a smettere di compilare questa sorta di mappatura della mia esistenza: prima gli dedicavo tutto il fine settimana, poi ho cominciato a compilarla anche al lavoro, e a quel punto il mio rendimento è precipitato, se ne sono accorti, sono stato licenziato, e dopo alcuni mesi mia moglie se n’è andata, portandosi i bambini, anche se tutto quello che ho provato, in quell’istante, è stato soltanto un enorme sollievo, perché a quel punto nulla poteva più distrarmi dall’intento di riportare sul mio diario ogni singolo istante della mia esistenza, ogni minuto che aveva preceduto un evento irrilevante che poi aveva dato più senso a un evento importante, e così via. Quest’attività di ricostruzione è diventata tutta la mia vita, senza lavoro né bambini non ho più nulla che possa distrarmi, e non c’è nulla che mi dia maggiore soddisfazione.

Se non fosse che adesso ho quasi esaurito tutti gli istanti passati e mi ritrovo sempre più spesso a scrivere del presente, che è un presente sempre più vuoto, un presente fatto di una solitudine magnifica, nella quale a volte rileggo alcuni passaggi di questo caos ordinato, mi annoio quasi subito, e allora comincio a scrivere di me che rileggo alcuni passaggi di questo caso ordinato e mi annoio quasi subito, e mi dico che sarebbe bello non tanto riprendere a vivere, o sapere cosa fanno i miei figli in quel determinato istante, quanto piuttosto aver vissuto molto più intensamente, e avere ancora migliaia di istanti da ricordare, trascrivere e catalogare con una precisione sempre maggiore, e nel modo più dettagliato possibile.

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