| O cielo, cielo, ti vedrò nei sogni.
Non sarà mai che tu divenga tenebra
 e il giorno avvampi come un bianco foglio:
 soltanto un po’ di fumo e un po’ di cenere!
 OSIP MANDEL’ŠTAM
 1
 
Da mesi a parlare di pace e ne sappiamo
ben poco. Tra spine, l’erba alta, formiche
 e un bosco in fiamme. Il fatto di aver
 dormito male mi rende esposto a idee
 pericolose. Trascuro i colori delle foglie
 e del tramonto, l’allegro volo delle rondini.
 2
 
Camminiamo da ore e tutto questo spazio
allarga la vista, lava all’interno. Il passato
 scorre nel fiume, resta la forma di un giorno
 che mai sorgerà perché in fuga da un pugno
 di stelle. Posso afferrarmi al tuo sguardo
 e poi, da un lago di cenere, estrarre l’azzurro.
 3
 
Da anni medito su ciò che pensi e ne so ben
poco. Le parole sono un vezzo d’altri tempi
 ma resisto incollato alla scorza dell’abitudine
 al terrore del vuoto, del baratro. Vorrei
 che mi regalassi un segreto, qualsiasi cosa ma
 non questo freddo sorriso che tiene a distanza.
 4
 
A testa bassa per strade torte, deserte
per oblique scalinate che raggiungono
 le stelle e  lassù passeggiamo e l’erba
 delle nuvole ci carezza i piedi. Le mani
 sono foglie con l’odore dell’alba quando
 con calma si distende su creste innevate.
 5
 
Aspetto che avvampi il buio e mi assale 
la nostalgia di te che getti gioia nell’aria.
 Cerco la pace e il chiasso sfonda le pareti.
 Dare un senso alle pietre che un folle tira
 nel pozzo della memoria? Spunta il sole:
 magnifico osservarlo come la prima volta.
 6
 
Un male antico può risanare le ferite? 
Lavori duro e nessuno se ne accorge:
 sgrava il peso o sprofonderai nella palude.
 Ci si perde e allo specchio c’è un bambino
 triste, pieno di rughe. Il sogno è un viaggio
 sotto un vulcano, un precipizio dove tuffarsi.
 7
 
Il primitivo fiume scorre tra pilastri, abbatte 
barriere. Tirerò su per te una vigna un orto
 una casa. Sotto la corteccia arde l’angoscia
 il sole strizza un occhio e resto colpito
 dall’attenzione che mi riserva. Il vento sprona
 al coraggio, disperde la polvere di questi giorni.
 8
 
Fare qualcosa? Un’accecante luminosità 
e il viola scuro della montagna con la casa
 sotto il paese dove abbiamo vissuto attimi
 che duravano mesi. Ora siamo braccati
 da una valanga, non usciamo da giorni
 e ci diciamo soltanto lo stretto necessario.
 9
 
Sul vulcano colonne di nuvole cariche 
di cenere, per questo restiamo barricati
 in casa. Trilla il telefono: - Ciao come va?
 - Non così male, un po’ all’indietro e tu?
 - Bene, ho finito il mio romanzo. E tu?
 - Cancello parecchio di ciò che ho scritto.
 10
 
Spiove ed è bello contare sul sorriso del sole. 
Un pezzo di gioia tutta nostra dove piantare
 alberi, vederli fiorire. Gorgheggia il pettirosso
 sembra una sfida, chi spintona verso il recinto?
 Attesa: sì, parola difficile da pronunciare
 perché da decenni sappiamo che mai avrà fine.
 11
 
Se rido è perché ho pianto tutta la notte 
e il giorno ha la sua parte di follia. Gli uccelli
 non sbagliano una nota se li ascolti, il loro
 canto è perfetto e salutare sebbene, talvolta,
 noioso. Resistere era lo scopo prioritario
 ora insonnoliti affrontiamo la cenere, il fumo.
 12
 
Tra noi un muro di ombre da attraversare
a nuoto e in solitaria, una bracciata dietro
 l’altra e allora scrivo questo diario per non
 spezzarmi e svanire. In nessuno modo vuoi
 parlarne e davanti al vulcano in eruzione
 avanziamo (chiusi in casa) come se nulla fosse.
 aprile 2020 
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