FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 40
ottobre/dicembre 2015

Forza & Debolezza

 

UN BLUES DEBOLMENTE FORTE: MARIO LICÓN CABRERA
Poesia messicana in Australia

di Lucia Cupertino



Incuneato tra il brulicante centro, la Blackwattle Bay che volge lo sguardo all’Anzac Bridge, l’enclave residenziale italiana di Leichhardt, l’università e il quartiere aborigeno di Redfern, Glebe è il quartiere di Sydney che sintetizza e riassembla in arte i contrasti urbani, sociali della città ed è il luogo che Mario Licón Cabrera (Messico, 1949) ha eletto da ormai vent’anni come base poetica. Attraverso la sua voce e i suoi incontri mensili di poesia, veri e propri convivi letterari, Glebe accoglie uno degli epicentri decentrati della letteratura ispanoamericana. Una voce messicana in Australia.
Quella di Cabrera è una poesia dalla distanza e della distanza, compunta di vuoti e ripartenze, situata e allo stesso tempo sfuggente, intinta di teppismo e dolcezza. La reverberación de la ceniza e Yuxtas sono le raccolte poetiche che portano a piena maturazione questi elementi-chiave della sua scrittura, quasi fino a spingerli all’estremo della loro deflagrazione e all’approdo in una terra dalle coordinate sconquassate.

La distanza, si diceva, declinata in mille modi ed esplorata fino a rintracciarne le radici proprio nel cuore del poeta. A volte può sembrare una semplice distanza geografica e circostanziale, ma è in realtà molto di più, è una distanza identitaria e che descrive un collocamento nel Mondo – reale e poetico – consapevole e crucciato, proprio perché parte dalla periferia e procede di periferia in periferia e perché esalta la vita marginale. Questo è il distante del Cabrera pubblico e privato, dell’uomo ribelle e malinconico, del poeta delle grandi città e degli appena auscultabili ripiegamenti interiori. Attraverso un linguaggio piano, discorsivo e apparentemente incurante della tradizione letteraria e delle armi del mestiere poetico, Cabrera vuole dare testimonianza in letteratura di un vivere altro, un po’ nomade, un po’ irritato dalle costrizioni del sistema ma soprattutto molto nostalgico. Un io, in definitiva, più blues che beat.

Uno dei dispositivi poetici più salienti attraverso cui Cabrera fa parlare la distanza è l’accumulazione di squarci, di contemporaneità impossibili, di nostalgie abissali. L’affastellarsi ossessivo di elementi rivela in definitiva il suo opposto: la negazione della presenza. Essa si articola in En todo estás attraverso gli insistenti deittici e una sottile inversione finale del verbo estás rispetto al primo verso, tutto a marcare l’inevitabile assenza della donna amata. Procedimento specularmente rintracciabile nell’inedito Para Karin. Qui è il rievocare l’assenza che rimarca la presenza, una presenza nient’altro che spettrale.

Anche nell’omaggiare Cabrera non rinuncia all’accumulazione. E, al catalogo di poeti che menziona tra i suoi prediletti in Léctura pública, aggiunge altri nomi di poeti italiani del Novecento con cui sente un profondo legame: sono Ungaretti, Pavese, Pasolini e, più di tutti, Montale per “l’estensione di certi suoi versi il ritmo preciso dei componimenti e l’enorme capacità di creare immagini e far sentire la prossimità della tragedia”. Quella stessa che deflagra nei suoi versi. La traversata che conduce il poeta messicano con la sua opera è quella più grande e interminabile nella memoria a cluster del viaggiatore, costruita secondo i principi della dissipazione e dispersione piuttosto che della compattezza. È la scrittura poetica, di contro, lo strumento a disposizione per mettere insieme i cocci del vivere, del ricordare e dell’omaggiare. Una malta che non ricompone del tutto ma perlomeno tiene insieme.




POESIE DI MARIO LICÓN CABRERA


Da Yuxtas, Back & Forth,
Cervantes Publishing, Sydney, 2007


HERMOSILLO CITY BLUES

Aquellas noche en Hermosillo,
en vez de caminar hasta la casa de mi hermana,
seguido dormía bajo el follaje de los Yucatecos,
en las duras bancas de los parques o sobre el mosaico
de los quioscos -like a real loafer.

Pero eso no era nada:
aparte de la jodida distancia evitaba
pasar por algunas zonas de alto riesgo;
el transporte público se detenía
a horas ridículas de la noche.

Mejor optaba por dormir allí, en el corazón de la ciudad,
entre los cantos de los pájaros nocturnes y el rápido
deslizamiento de los autos y el arrullo
de algunos trios ensayando para una serenata.

Las memorias llegaban. Memorias de mis ya distantes
infancia y juventud y memorias de un Sídney
aún mucho más distante.

Me veía vendiendo periódicos católicos en Catedral.
En innumerables e interminables manifestaciones
en contra de rectores espurios.

Me veía llegando al faro en Palm Beach.
Descargando una troca con diez toneladas de bolsas
de barro en Newtown. Bailando
en el ferry al regreso de Mackrelle Beach.

Me veía ascendiendo El Tepozteco –la Montaña Sagrada. Atravezando
la espesa oscuridad entre los rabiosos
ladridos de los perros.

Extrañaba Hermosillo Sídney y Tepoztlán
y todo a un mismo tiempo.
Extrañaba el cerca lo junto y lo lejos
y todo a un mismo tiempo.


HERMOSILLO CITY BLUES

Quella notte a Hermosillo,
invece di camminare fino a casa di mia sorella,
dormì difilato sotto le fronde dei Yucatecos,
sulle dure panchine dei parchi e sul mosaico
dei chioschi – like a real loafer.

Ma questo non era nulla:
oltre alla maledetta distanza evitavo
di attraversare alcune zone ad alto rischio;
i trasporti pubblici si arrestavano
in ore ridicole della notte.

Piuttosto preferivo dormire lì, nel cuore della città,
tra il canto degli uccelli notturni e il rapido
fluire delle auto e il mormorio
di qualche trio che provava una serenata.

I ricordi arrivavano. Ricordi delle mie già distanti
infanzia e gioventù e ricordi di una Sydney
ancora più distante.

Mi vedevo vendere giornali cattolici nella Cattedrale.
In innumerevoli e interminabili manifestazioni
contro fasulli rettori.

Mi vedevo raggiungere il faro di Palm Beach.
Scaricare un camion con dieci tonnellate di sacchi
di fango a Newtown. Ballare
nel ferry al ritorno da Mackrelle Beach.

Mi vedevo ascendere El Tepozteco – la Montagna Sacra. Attraversare
la fitta oscurità tra i rabbiosi
latrati dei cani.

Mancavano Hermosillo Sydney e Tepoztlán
e tutte allo stesso tempo.
Mancava ciò ch’è vicino, prossimo e lontano
e tutto allo stesso tempo.


LECTURA PÚBLICA

Esta noche no leeré
ninguno de mis poemas.
Esta noche quiero solamente dar gracias.
Gracias a la poesía y a una pandilla de poetas.

A la Poesía misma porque me ha dado
otra voz,
otra voz con la que puedo hablar
con los árboles y las piedras y los pájaros.

Quiero dar gracias al poeta azteca
Ayocuán Cuetzpaltzin
por su vasto conocimento del corazón humano.
A San Juan de la Cruz
por sus consejos de cómo hacerle el amor
a mi alma.

Y gracias a Dante Alighieri y Arthur Rimbaud por
darme tan buenas instruciones de como entrar y salir
de los infiernos.

A la poesía por darme unas manos
con las que puedo saludar al viento y tocar
el rostro de mis queridos muertos.

A Walt Whitman y Federico García Lorca
por la profunda resonancia de sus cantos y por
lo tanto que el segundo amó al primero.

A Vicente Huidobro y Nicanor Parra por
haberle quitado el rostro tan solemne que Pablo
Neruda le dió a la poesía. Y por que el primero me
enseño a caer de abajo hacia arriba.

Gracias a Jorge Luis Borges porque
en su noble ceguera confundió
el paraíso con una biblioteca.
Y gracias a César Vallejo por toda su tristeza
y todas sus soledades y toda su bravura de poeta.


LETTURA PUBBLICA

Questa notte non leggerò
nessuna delle mie poesie.
Questa notte voglio solamente dire grazie.
Grazie alla poesia e a una brigata di poeti.

Alla stessa Poesia perché mi ha dato
un’altra voce,
un’altra voce con la quale posso parlare
con gli alberi e le pietre e gli uccelli.

Voglio dire grazie al poeta azteco
Ayocuán Cuetzpaltzin
per la sua vasta conoscenza del cuore umano.
A San Juan de la Cruz
per i suoi consigli su come fare l’amore
con la mia anima.

E grazie a Dante Alighieri e a Arthur Rimbaud per
darmi così tanti buoni consigli su come entrare e uscire
dagli inferni.

Alla poesia per darmi mani
con le quali poter salutare il vento e toccare
il volto dei miei cari morti.

A Walt Whitman e Federico García Lorca
per la profonda risonanza del loro canto e per
quanto il secondo amò il primo.

A Vicente Huidobro e Nicanor Parra per
aver rimosso la maschera tanto solenne che Pablo
Neruda aveva dato alla poesia. E perché il primo mi
insegnò a cadere dal basso verso l’alto.

Grazie a Jorge Luis Borges perché
nella sua nobile cecità confuse
il paradiso con la biblioteca.
E grazie a César Vallejo per tutta la tristezza
e tutte le sue solitudini e tutta la sua bravura di poeta.


Da La reverberación de la ceniza,
Mora & Cantúa Editores, Messico, 2005


EN TODO ESTÁS

En todo estás
en cada escalera-puerta al vacío
en este pasto ajeno a tus pisadas
en este mediodía que se esfuma
bajo el mismo cielo que nos toca
sin tocarnos.

En cada rincón de mis vísceras
en cada cuello por donde mis labios
resbalan sin tocar fondo
en cada labio ojo cabello esquina
estás a toda hora en cada canción
en esa luna que asoma entre ladridos estás
cada día más
lejos.


SEI IN OGNI COSA

Sei in ogni cosa
in ogni scala-porta sul vuoto
in questo prato estraneo alle tue orme
in questo mezzodì che sfuma
sotto lo stesso cielo che ci tocca
senza toccarci.

In ogni piega delle mie viscere
in ogni collo su cui le mie labbra
scivolano senza toccare il fondo
in ogni labbro occhio capello angolo
ci sei ad ogni ora in ogni canzone
nella luna lì che si affaccia tra latrati ci sei
ogni giorno più
lontana.


Inedito


PARA KARIN

Se me ha perdido el mundo
y no sé cuándo
comienza el tiempo
de empezar de nuevo
J.E. Pacheco

Tú eres
las manecillas y el cuerpo
mismo de la brújula que un día
el tiempo pusiera entre tus manos

Pero ahora con
toda tu ausencia y toda
la frescura de tu aroma y la seda
ausente de tu piel y tan distante

es muy fácil que pierda
el nombre el número y el rumbo
de mis aciagos y brumoso perdido mundo

Tal vez
si algún de repente apareces
traigas entre tus brazos y entre
tus labios y en tu sosegado azul
mirar traigas otro nuevo empezar.


PER KARIN

Ho smarrito il mondo
e non so quando
comincerà il tempo
di dare nuovo inizio.
J.E. Pacheco

Tu sei
le lancette e il corpo
stesso della bussola che un giorno
il tempo avrebbe posto tra le tue mani

Ma ora con
tutta la tua assenza e tutta
la freschezza del tuo profumo e la seta
assente dalla tua pelle e così distante

è molto facile che perda
il nome il numero e la rotta
delle mie disgrazie e del brumoso mondo smarrito

Forse
se a un certo punto dovessi apparire
porta tra le braccia e tra
le labbra, porta nel tuo sereno sguardo
azzurro un altro nuovo inizio.


Traduzione dallo spagnolo di Lucia Cupertino




Mario Licón Cabrera (Nuevo Casas Grandes, Chihuahua, Messico, 1949)
Poeta messicano, tra i massimi traduttori della poesia australiana in lingua spagnola e promotore culturale. Dal 1992 vive a Sydney dove è stato rappresentante e collaboratore dell’insigne rivista messicana Alforja.
Sue poesie sono apparse in molteplici antologie pubblicate in Messico e Australia.
Ha esordito con Divagagavad e Rostros en el umbral, nel 2005 ha pubblicato La Reverberación de la Ceniza (Mora-Cantúa Editores, Sonora), nel 2007 Yuxtas (Back & Forth), edizione bilingue realizzata con il sostegno dell’Australian Council for the Arts.
Ha tradotto in spagnolo numerosi poeti australiani, tra cui Les Murray, Dorothy Porter, Robert Adamson, Judith Beveridge e Peter Boyle.


luciacupertino@email.it