FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 35
luglio/settembre 2014

Soste & Percorsi

 

PABLO LUQUE PINILLA
SFO. Foto e poesie della città di San Francisco

di Gloria Bazzocchi



Pablo Luque Pinilla, già noto ai lettori di Fili d’Aquilone, ha pubblicato, nel 2013, una nuova raccolta di poesie dal titolo SFO. Fotos y poemas sobre la ciudad de San Francisco (casa editrice Renacimiento).
Questa nuova uscita, in cui ai versi del poeta madrileno si accompagnano le fotografie di José Luis Rodríguez Torrego, è stata oggetto di un interessante Seminario di traduzione poetica presso il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione (DIT) dell’Università di Bologna (Campus di Forlì). Vi hanno preso parte lo stesso Luque Pinilla e una ventina di miei studenti del 1° anno del corso di Laurea Magistrale in Traduzione Specializzata.



Il libro nasce da un viaggio a San Francisco realizzato dal fotografo Rodríguez Torrego, in occasione di un convegno scientifico della moglie. Libero da impegni, per cinque giorni ha visitato la città californiana alla ricerca di persone da immortalare, ritrovandosi a farlo con la macchina fotografica all’altezza dei fianchi. Da questo originale reportage, ne deriva una serie di immagini curiose in cui si intuisce una storia personale dei soggetti, del tutto imprevedibile proprio perché non pianificata. Di ritorno in Spagna, il materiale viene consegnato a Pablo nella speranza che riesca a trasformarlo in una sorta di racconto poetico. Il risultato finale, in realtà, va ben oltre le aspettative. Come il fotografo stesso afferma nell’introduzione al libro, lo sguardo del poeta, capace di cogliere l’umanità dei soggetti immortalati in quel preciso contesto, finisce per nobilitare le immagini in modo creativo.{1}

Luque Pinilla, da parte sua, ha accettato la sfida pur senza aver mai messo piede nella metropoli statunitense (anche se è stato a Los Angeles e ha vissuto un anno nell’East Coast) confermando, in un certo senso, la confessione dello scrittore olandese Hans C. Ten Bergue che all’inizio del suo libro De Honkvaste Reizger dichiara di non essere mai stato in nessun luogo e di essersi inventato ogni viaggio da casa sua, o ancora quella di Stefan Hertmans, altro scrittore e viaggiatore, ammiratore di Bergue, per cui chi viaggia rimane sempre un po’ a casa.{2} Questo aspetto è sottolineato nell’opera attraverso il gioco dei contrari come dichiarazione d’intenti nei seguenti versi di “Falling Slowly”: «Todos me dicen que soy distinto desde que estuve en San Francisco» (Tutti mi dicono che sono diverso da quando sono stato a San Francisco).{3}

Nell’intervista rilasciata al giornalista Luis Alemany,{4} Luque Pinilla racconta così la genesi del suo nuovo libro: «Quando ho visto il materiale mi è piaciuto molto, c’era qualcosa di riconoscibile, qualcosa di familiare, così come c’erano molte storie nei ritratti dei personaggi; nella prostituta, nel vagabondo […] Esiste il falso mito che il poeta scrive solo a partire dalle proprie percezioni e ossessioni. A me piace fare il contrario, cercare fuori e scoprire che nulla ci è estraneo». In effetti, come ricordava Luis Ingelmo in occasione della presentazione del libro presso la FNAC di Madrid, «ci troviamo di fronte a una raccolta di poesie concepita con la volontà che siano gli oggetti e le persone a parlare, a coinvolgere con il loro discorso il lettore-osservatore. Ci troviamo, quindi, agli antipodi della poesia confessionale […] A volte abbiamo come la sensazione che le parole si sforzino di tirar fuori le figure dal loro stato di ibernazione, dalla loro quiete eterna, per rimetterle in moto, per infondere loro una nuova vita […] Il desiderio che l’oblio non diventi padrone di ogni cosa, che la parola scritta riesca a prolungare l’istante, lo allunghi e lo rigeneri […] Luque e Rodríguez captano negli angoli di San Francisco la straordinarietà di quanto è ordinario».{5}

In effetti, come ha avuto modo di raccontare il poeta stesso durante il Seminario, il viaggio propostogli dall’amico nasce dal desiderio di approfondire la storia personale che intuiva esistere dietro ai volti di quelle istantanee, nel tentativo di ricostruirne il pensiero e la voce. Dal punto di vista letterario, ha invece avuto chiaro fin da subito che i testi dovevano essere diretti, brevi e agili, in modo da risultare vicini anche a un pubblico non necessariamente lettore di poesia: una specie di prêt-à-porter poetico che rispettasse lo stile sincero e crudo, ma con una buona dose di lirismo, dell’aspetto grafico. In tutto questo San Francisco ha giocato un ruolo fondamentale: città tra le più iconiche e rappresentative dell’America del nord, nonché tra le più cosmopolite, è l’incarnazione di una delle metropoli che meglio sintetizzano l’idiosincrasia del momento attuale. Per Luque Pinilla si è trattato di «un vero laboratorio in cui affrontare i dilemmi e le vicissitudini dell’uomo contemporaneo». Nella combinazione di immagini e parole, ci troviamo quindi a percorrere la città attraverso i suoi luoghi più emblematici, i toponimi, le strade, i viali, gli edifici, i mezzi di trasporto, i ristoranti, in un periplo dettato da una ricerca lucida delle gioie e delle inquietudini che ci sono familiari. Come si legge nella recensione di Santos Domínguez Ramos, sul blog Encuentros de lecturas:{6} «È questa la proposta divenuta realtà di questo libro: l’incontro di uno spazio comune che unisce le due arti negli sguardi sovrapposti degli autori, per affrontare un mondo sfuggente e inaccessibile attraverso immagini che vanno al di là della presentazione di alcune persone specifiche in un ambito specifico, collocando l’individualità nella collettività, e che fanno di un luogo geografico un simbolo della vita contemporanea, trasformandosi non solo nel riflesso di una città e dei suoi abitanti, ma in metafore del mondo e dell’esistenza».

Di seguito presentiamo alcuni testi e immagini da SFO, con le proposte di traduzione emerse durante il Seminario,{7} frutto dell’incontro, sempre unico e arricchente, tra il poeta e i suoi lettori-traduttori: nel fluire di parole dalla lingua spagnola a quella italiana, supportati dalle immagini che hanno illuminato a loro volta il processo traduttivo, in un umile ma al contempo orgoglioso tentativo, riaccade il prodigio di ridare voce nuova a quanto è stato scritto e pensato in una lingua altra.


{1}Con l’idea che anche il lettore possa compiere il viaggio che, se pure in tempi e in modo diversi, Luque Pinilla e Rodríguez Torrego hanno realizzato, è stata concepita una suggestiva applicazione per tablet, con una colonna sonora che riproduce in sottofondo il suono costante della città e una cartina in cui è possibile ubicare testi e immagini. L’applicazione può essere scaricata da iTunes o direttamente dall’iPad Store: itunes.apple.com/es/app/sfo/id650551281?mt=8.

{2}Dalla recensione a SFO apparsa su El Cuaderno, n. 49 (ottobre 2013).

{3}Traduzione mia, così come di tutte le citazioni presenti nel testo.

{4}Cfr. www.elmundo.es/elmundo/2013/06/14/cultura/1371228245.html.

{5}Cfr. www.pabloluquepinilla.com/sfolibro.htm.

{6}Cfr. encuentrosconlasletras.blogspot.com.es/2013/09/fotos-y-poemas-sobre-la-ciudad-de-san.html.

{7}La traduzione delle poesie, con la supervisione della sottoscritta, è stata curata, nell’ordine, da: Sara Guida e Sara Durante; Giada Ferrone e Cecilia Natale; Lorenzo Manconi e Cristian Marrocco; Marta Rota e Ruben Venzon; Nadia Lazzaris, Roberto Magnani e Valeria Suriano; Cristina Mircea e Olimpia Pizzol; Fiorella Cecchini e Marisol Riboldi; Chiara Bartolini e Beatrice Bonacini; Marina Panichi e Riccardo Tarlini; Anna Caruso, Giulia Gramaccioni e Carlotta Viola.





Un camino de luces, una serpiente discontinua, un hongo desplomado en su centro exclamativo. El hueco que en tu ansia se adivina, que te empuja a rastrear un desenlace.

El viaje es largo, y el reposo la arena donde se aguarda la vigilia.

No hay firme ni trazado posible, ni imagen que desdoble un horizonte.
No hay cifra ni temor que agriete tu silencio.

Sólo el afán que en tu trance se desvela; el paréntesis que pauta tu inquietud.

Sólo la inminencia de la ciudad como destino,

y un elocuente anuncio de sorpresa.


Un percorso di luci, un serpente discontinuo, un fungo che si abbandona nel suo centro esclamativo. Il vuoto che si scorge nella tua ansia, che ti spinge a cercare un finale.

Il viaggio è lungo, e il riposo la sabbia dove si attende la veglia.

Non c’è via né tracciato possibile, né immagine che dispieghi un orizzonte.
Non c’è codice né timore che frantumi il tuo silenzio.

Solo il desiderio che nel tuo sonno si rivela; la parentesi che scandisce la tua inquietudine.

Solo l’imminenza della città come meta,

e un eloquente annuncio di sorpresa.


 


B A R T

San Francisco Bay Area Rapid Transit

Una sombra esquina,
un cromado rectángulo de duda,
una imagen desvelando enigmas en los ojos,
el vagón que aferras con piel de ardilla,
con dedos espirales.

Temblores de caracol desaguando en tu garganta
su salmodia de minutos,
su ovillo de estaciones.

La claridad que indaga una promesa
hospedando, alerta,
la tensión en tu mirada.


B A R T

San Francisco Bay Area Rapid Transit

Un’ombra angolo,
un cromato rettangolo di dubbio,
un’immagine che svela enigmi negli occhi,
il vagone che afferri con pelle da scoiattolo,
con dita spirali.

Fremiti a chiocciola che generano nella tua gola
una salmodia di minuti,
un gomitolo di stazioni.

La luminosità che indaga una promessa
custodendo, vigile,
la tensione nel tuo sguardo.


 


SELENE

Velamos de soslayo el nacimiento de la diosa.
El efecto de una gravedad que nos explota en la mirada.
La colisión de Gea y Theia
bajo la oscura cabellera de los astros.


SELENE

Vegliamo furtivi la nascita della dea.
L’effetto di una gravità che ci esplode nello sguardo.
La collisione fra Gea e Teia
sotto l’oscura chioma degli astri.


 


T W I N    P E A K S

Dos rostros que miran hacia el centro,
dos ciruelas de frente transitiva.
Dos colinas abiertas en la cresta de los labios,
bañadas por la silueta del sol en su pendiente:
el subsuelo de tabaco bajo la festuca,
los aros de plata hasta un manto de tréboles.
Accedemos fluyendo entre el asfalto
por laderas de metal y olas de ceniza.
Miramos y al mirar reconocemos:
la divisoria sobre Downtown;
su diagonal trazada
allí
donde se embarcan los ojos
hasta el umbral de la bahía.


T W I N    P E A K S

Due volti che guardano al centro,
due prugne dalla fronte transitiva.
Due colline aperte sulla punta delle labbra,
baciate dal profilo del sole sul pendio:
il sottosuolo di tabacco sotto la festuca,
i cerchi d’argento fino a un manto di trifogli.
Sgorghiamo dentro l’asfalto
tra declivi metallici e onde di cenere.
Guardiamo e guardando riconosciamo:
la linea divisoria su Downtown;
la diagonale tracciata

dove si imbarcano gli occhi
fin sulla soglia della baia.


 


Es germen de debate en la escena del mundo.
En ella pugna con la bondad y la belleza,
formando el trío de ases que dijera Platón.
Es áspera y sedosa, universal y expiatoria,
y rivaliza con lo inaccesible.
Hay quienes la pretenden
y a quienes les sonroja su figura:
«Quid est veritas?»
Mucho o poco, precisa de la ascesis,
pues es profundo el surco de su herida.
Por su carne desnuda nos vincula con lo eterno
y es un sacrificio razonable:

¿Estás dispuesto para la verdad?


È principio di disputa sulla scena del mondo.
In cui si scontra con la bontà e la bellezza,
formando il tris di assi scoperto da Platone.
È ruvida e setosa, universale ed espiatoria
e compete con quanto è inaccessibile.
Qualcuno la rincorre
qualcun altro arrossisce al suo cospetto:
«Quid est veritas?»
Necessita l’ascesi almeno un poco,
profondo è il solco della sua ferita.
È la sua carne viva che ci lega all’eterno
ed è un sacrificio ragionevole:

Ti senti pronto per la verità?


 


Te contemplo como a un escaparate.
Las pestañas del toldo,
el demorarse del día en sus aceras,
las hojas del sol perfilando el silencio.

La distancia es transparente,
y nuestro abismo un muro opaco.
Quisiera atravesar esta avenida,
acercarme junto a ti,
hasta donde pueda rozarte.
Tu presencia me convoca,
aunque te habite una oquedad
que frustra mi delirio.

Encontraremos el mar que no miramos
esperando una voz
que nos finja y nos deshaga.


Ti osservo come una vetrina.
Le ciglia della tenda,
l’indugiare del giorno sui marciapiedi,
le foglie del sole che delineano il silenzio.

La distanza è trasparente,
e il nostro abisso un muro opaco.
Vorrei attraversare questa strada,
avvicinarmi accanto a te,
fino a poterti sfiorare.
La tua presenza mi chiama,
nonostante in te dimori un vuoto
che frustra il mio delirio.

Troveremo il mare che non guardammo
aspettando una voce
che c’inventi e ci distrugga.


 


Un animal tendido en la pradera,
su aleta umbría,
la urgencia de agrupar
el cuerpo con su sombra.
Un instante de acecho,
una señal del fondo,
un mandato de fuerza incontrolable.

Venimos a yacer en la senda
de una intención buscada.
En su ansia de lograr lo duradero.
Miramos y al mirar lo distinguimos.

El amor insta a la belleza,
el signo que nos exhorta al otro lado.


Un animale disteso nel prato,
la pinna ombrosa,
l’urgenza di riunire
il corpo e la sua ombra.
Un istante d’agguato,
un segnale dallo sfondo,
un ordine di forza incontrollata.

Finiamo per giacere sul sentiero
di un’intenzione cercata.
Nell’ansia di raggiungere quel che permane.
Guardiamo e guardando lo distinguiamo.

L’amore sprona alla bellezza,
il segno che ci esorta all’altra parte.


 


DIANA

Eres blanco de todas tus ideas, punto de fuga de tu propia imagen sobre un fondo enmarcado en gasa oscura.

Eres el rostro incierto y su misterio, la esfera que rebasa su contorno, lo finito gritando por la herida.

Por ti el marco en penumbra y el círculo interior, la gruta que te acoge con claridad de orla, la figura encajada en su frontera.

Por ti la carne muda de los labios, el enigma enunciado desde el centro, y el centro pensativo como un cáliz de sed.


DIANA

Sei il bersaglio di tutte le tue idee, il punto di fuga della tua immagine incorniciata su di un fondo oscuro.

Sei il volto incerto ed anche il suo mistero, la sfera che oltrepassa i suoi contorni, il limite che urla per la ferita.

Per te il quadro in penombra e il cerchio interno, la grotta che ti accoglie con chiarezza di cornice, la figura dentro alla sua frontiera.

Per te la carne muta delle labbra, l’enigma pronunciato fin dal centro, e il centro pensieroso qual calice di sete.


 


U R B A N    V I A T O R

Al crecer
los ejemplares jóvenes emprenden el viaje,
se unen a los de su manada.
Esta discurre, veloz y ajena,
trotando en el desfiladero,
ignorando los márgenes que ocupan
los animales rezagados.
Cuantos quedan en la orilla
presa son del estupor,
de la quietud que brota en la impotencia,
del rumbo incierto donde se amplifica la locura.
Miran escépticos a los que galopan,
hacen recuento,
aceptan impasibles la estampida.
Esperan el final sobre un mástil
que subraya
la paradoja de la escena.


U R B A N    V I A T O R

Crescendo
i giovani esemplari intraprendono il viaggio,
si fondono col branco.
Questo fluisce, rapido ed estraneo,
trottando lungo la gola,
noncurante dei margini occupati
dagli animali rimasti indietro.
Quanti sonnecchiano sul bordo
preda son dello stupore,
della quiete che sboccia nell’impotenza,
della rotta incerta lungo cui si propaga la follia.
Ammirano scettici quelli che galoppano,
tirano le somme,
accettano impassibili il fuggifuggi.
In attesa della fine su di un albero
che evidenzia
il paradosso nella scena.


 


Bajo el periódico arrugado de las nubes dibuja su temblor la luz, la simetría en las farolas, el amparo en la bóveda azul que las cobija, su invisible tela de quietud.

La inminencia de las ruedas precipita la imagen enroscándose en un mástil de palabras, propiciando el marco verdadero, el prodigio de la escena que ignoran nuestros pasos.

Al final nos queda la hoja escrita.


Sotto la pagina sgualcita delle nubi, disegna il suo tremito la luce, la simmetria dei lampioni, il riparo nella volta celeste che li ripara, il suo invisibile velo di quiete.

L’imminenza delle ruote anticipa l’immagine che si attorciglia su un tronco di parole, rivelando la vera cornice, il prodigio della scena che i nostri passi ignorano.

Alla fine ci resta il foglio scritto.



gloria.bazzocchi@unibo.it