FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 17
gennaio/marzo 2010

Dissonanze

 

PABLO LUQUE PINILLA
L'esperienza poetica come sguardo aperto al reale

di Gloria Bazzocchi



Il nome di Pablo Luque Pinilla non suonerà nuovo ai lettori di questa rivista; dal numero 5 (gennaio-marzo 2007), in modo pressoché continuativo, Pablo ha infatti curato la presentazione di diversi poeti (Gimferrer, Colinas, d’Ors, Guinda, Gracia Trinidad, Sánchez Rosillo, Maillard, Talens e Linares), corredata dalla scrupolosa selezione antologica di tanta buona poesia spagnola, quasi mai tradotta in Italia. Anche la mia collaborazione con Fili d’aquilone è iniziata come traduttrice dei testi elaborati da Pablo e delle poesie da lui scelte: un viaggio appassionante tra parole e versi in cui ho indegnamente prestato la voce a tanti eccelsi poeti e che, per il momento, si conclude con una nuova proposta poetica che vuole essere una sorta di omaggio a Pablo Luque Pinilla, a sua volta poeta.

Pablo nasce a Madrid nel 1971 e, per sua stessa ammissione,1 diventa un assiduo e anarchico lettore di poesia solo a partire dall’età di ventiquattro anni, mentre i suoi studi universitari lo portano a conseguire il titolo di ingegnere agronomo.
Riflettendo sulla sua formazione poetica, Pablo riconosce che «nel periodo di apprendimento della poesia è fondamentale partire da poeti con cui si condivide la lingua. Solo dopo aver raggiunto una certa abilità nell’interpretazione dell’eufonia della propria lingua, ci si deve aprire ad altre tradizioni».2 Questi i poeti cui fa riferimento: innanzitutto Claudio Rodríguez, soprattutto per la sua concezione della realtà come segno e il conseguente uso di una parola capace di rendere visibile il mistero; quindi, Rafael Morales, per la bellezza espressiva dei suoi versi e la forza poetica delle parole, in grado di salvare la dignità presente perfino nelle situazioni più disprezzabili; José Hierro per la musicalità e la scelta di libertà formale (Libro de las alucinaciones, Agenda e Cuaderno de Nueva York) e Vicente Aleixandre per l’irrazionalismo di Espadas como labios e La destrucción o el amor. Molto importanti sono stati anche Federico García Lorca, per la bellezza con cui ricrea le immagini e lo straordinario uso della metafora (alcune poesie come “La aurora” di Poeta en Nueva York o “La cogida y la muerte” del Llanto por la muerte de Ignacio Sánchez Mejías hanno risuonato a lungo nella sua mente), così come il Pablo Neruda di Residencia en la tierra. A ogni modo, nonostante il riconoscimento nella propria poesia dell’eco di questi artisti Pablo non si considera legato a una determinata scrittura in particolare: «sono piuttosto scampoli, riflessi di uno o dell’altro che possono avermi influenzato, ma non sono ossessionato dalla scelta di un modello da ripetere. È vero che si impara imitando qualcuno, ma quando imito, spesso lo faccio a partire dalla influenze più diverse e insospettabili. Non si tratta di una strada tracciata da seguire, quanto di una permanente inclinazione alla scoperta».3 Questo atteggiamento di apertura l’ha portato a guardare non solo all’opera di poeti e letterati, ma anche ad altre forme artistiche come quelle dell’architetto catalano Gaudí o del mosaista sloveno Rupnik: «Vi sono alcuni artisti che mi commuovono per come hanno vissuto e concepito la loro arte. È il caso dell’architetto Gaudí, il cui valore e la cui capacità di essere innovativo nascono da un amore profondo per l’uomo, per la bellezza e per la tradizione di cui è erede. O Mario Rupnik, la cui capacità di intendere l’opera d’arte come qualcosa al servizio dell’uomo si è rivelata, per me, di fondamentale importanza. Potrà sembrare curioso, ma un semplice articolo di Rupnik sulla teologia del mosaico può avere più influenza su di me di cento poetiche».4

I primi componimenti li scrive dopo un paio d’anni dal nascere della sua passione letteraria e, contestualmente, inizia a vincere alcuni premi letterari, tra cui il “Premio Jóvenes Creadores” che gli viene conferito dal Comune di Madrid. Entrato a far parte della Red de Arte Joven della Comunidad de Madrid, partecipa a diversi recital di poesia, accompagnato da altri artisti in ambito musicale e fotografico.
Nel 2004 pubblica la sua prima raccolta di poesie, Los ojos de tu nombre, per la casa editrice Huerga&Fierro e, parallelamente, comincia un’intensa attività come critico letterario.
L’incontro con i poeti italiani Gianfranco Lauretano e Davide Rondoni porta a un contributo sulla rivista clanDestino dove pubblica, nel 2006, una breve antologia (16 testi) di otto poeti spagnoli contemporanei (Lamillar, Valverde, Benítez Reyes, Marzal, Luque, Gallego, Mateos, Oliván), preceduti dal saggio critico “Il cambio della guardia generazionale nella poesia spagnola contemporanea”.5 Anche i poeti selezionati per questa pubblicazione hanno avuto un influsso sulla formazione poetica di Pablo, soprattutto per il tentativo di superare il colloquialismo mediante procedimenti ellittici della sintassi e per la loro apertura all’esperienza metafisica.
Da questa collaborazione con clanDestino nasce poi l’invito a partecipare, nel luglio del 2008, alla VI Edizione dell’Ambologna Poesia Festival, organizzato dal Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna, presieduto da Ezio Raimondi e diretto da Davide Rondoni.

Il rapporto con l’Italia si rafforza anche grazie ad un altro significativo incontro, quello con Alessio Brandolini, che lo invita a proseguire, sulle pagine di Fili d’aquilone, la proposta di poesia spagnola contemporanea iniziata con clanDestino. Se in quell’occasione si era occupato di poeti nati tra il 1939 e il 1968, in questa passa in rassegna la poesia dei “nuovi classici spagnoli”, nati tra il 1939 e il 1953.
Il lavoro di critica e selezione antologica pubblicato in Italia, alla fine 2009 si concretizza nell’antologia Avanti. Poetas españoles de entresiglos XX-XXI, uscita in Spagna per la casa editrice Olifante.6 Come lo stesso Pablo afferma nell’introduzione (pagina 19), l’uso della parola “avanti”, oltre che mettere in evidenza il carattere di scrittura in movimento, vuole testimoniare l’origine italiana della pubblicazione. Sempre nell’introduzione, a pagina 13, vengono indicati i criteri di selezione dei testi: «sono state privilegiate quelle espressioni poetiche che presentano un maggior grado di implicazione con la bellezza – intesa, alla Gaudí come splendore della verità – e le questioni legate all’umano […], testi in cui si potesse intuire un sincero rapporto tra la parola e il mondo di cui si nutre, con l’obiettivo di suscitare nel lettore un’esperienza con cui confrontarsi».

Attualmente Pablo sta lavorando a una nuova raccolta di poesie che riserverà molte sorprese e cambiamenti sia dal punto di vista contenutistico («abbandono la trincera della contemplazione che presiedeva la scrittura de Los ojos de tu nombre per occuparmi di moltissimi temi») sia sul piano stilistico («impiego una maggiore ricchezza metrica e formale»).7 Le novità del nuovo libro derivano anche da un approfondimento dello studio della tradizione lirica spagnola, a partire da quella medievale, e da un avvicinamento alla cultura greco latina: «spesso in queste nuove poesie i miti classici convivono con l’iconografia contemporanea».8 La poesia si fa eco, poi, di altre tradizioni letterarie: dalla Polonia al mondo anglosassone in generale, con particolare attenzione alla poesia irlandese. Dal punto di vista stilistico riconosce l’importanza della proposta intellettuale di studiosi della forma poetica, come Denise Levertov, Maria Victoria Utrera Torremocha, Isabel Paraíso e José Domínguez Caparrós.
In attesa di vedere pubblicata la sua ultima fatica, Pablo si è dedicato ad altri due progetti legati all’esperienza poetica: la Tertulia Esmirna e la rivista Ibi Oculus, nate entrambe, come nel caso italiano, dall’accettare con entusiasmo una sfida che nasce all’interno di un’amicizia. Lo scopo di entrambe le iniziative è quello creare luoghi per la poesia, intesa come ambito privilegiato di confronto sui temi più strettamente legati alla vicenda umana e al suo destino.

È così che, nell’estate del 2007, Pablo accoglie l’invito dello scrittore, poeta e critico cinematografico Pedro Antonio Urbina di fondare assieme a Juan Meseguer Velasco, la tertulia poetica Esmirna. Il nome del gruppo, suggerito dallo stesso Urbina, poi scomparso nel 2008, fa riferimento all’antica città turca attualmente considerata un ponte ideale tra Occidente e Oriente. Esmirna si riunisce una volta al mese in un pub di Madrid e si concepisce, appunto, come “un lugar para la poesía”, una poesia che «nasce dalla vita, quindi, dall’artista che sperimenta nel profondo le domande e i dilemmi che la vita stessa pone. In questo senso, l’idea della tertulia ci è parsa una grande occasione per erigere un luogo in cui fosse possibile condividere tale inquietudine e verificare come, da questa prospettiva, l’orizzonte creativo personale cresce e si allarga».9
La rivista elettronica Ibi Oculus, di cui Pablo è direttore, è stata presentata per la prima volta nel dicembre del 2008 e nasce, in questo caso, dall’amicizia con l’editore Manuel Oriol di Ediciones Encuentro. Come si può leggere nell’editoriale del numero uno, l’intenzione è quella di avvicinarsi al fatto poetico guidati dalla frase “ubi amor, ibi oculus”. Di nuovo un luogo per “guardare” la poesia, a partire dalla concezione del reale e dell’opera letteraria come un dato che rimanda a qualcosa d’altro, al mistero che ci trascende: «Si fa eco di un punto di fuga ultimo, artistico e personale, che dialoga con le nostre esigenze e i nostri desideri più profondi […]. Un punto di fuga che, in quanto umano, è anche razionale (cos’è, se non questo, la ‘ragione poetica’ di María Zambrano?) e grazie al quale, in definitiva, comincia a respirare il desiderio di infinito e le sue innumerevoli espressioni all’interno dell’esperienza umana (desiderio di bellezza, di verità, di giustizia, comunicazione, conoscenza, sorpresa e tutto quanto contribuisce al bene personale e sociale)».10

Il tema degli occhi costituisce anche l’asse centrale attorno a cui ruota il primo libro di poesie di Pablo, Los ojos de tu nombre (“Gli occhi del tuo nome”) da cui sono stati selezionati i brani di seguito proposti e tradotti. Il libro inizia con una poesia che, in realtà, a livello temporale, precede quelle che compongono le tre parti in cui si divide (Los pasos, Las distancias, La morada). Il soggetto poetico è un tu in viaggio attraverso le diverse parti del giorno (mattina, mezzogiorno, tardo pomeriggio-sera) e che si muove a partire da un’esperienza contemplativa, quella dei propri occhi: uno sguardo stupito che si posa su persone e cose alla ricerca di un significato. Nella poesia iniziale, il protagonista, i cui occhi hanno ormai ceduto alla quiete della notte, si trova a riflettere sul cammino compiuto durante il giorno: in una sorta di percorso a ritroso scoprirà, alla fine, lo svelarsi del mistero che fa tutte le cose, capace di dare un senso ai suoi stessi occhi, a quello sguardo interrogativo che ora, finalmente, conosce il proprio nome: Y así, al acercarse la mañana, al saberte/ nombrado por el misterio que te aguarda/en el quejido de una nueva madrugada/comprendes el porqué de la mirada,/ el porqué de esos ojos que te salvan;/ esos que ahora abres seguro y cierto:/esos tus ojos, los ojos de tu nombre (E così, mentre si avvicina la mattina, sapendo/ di essere stato chiamato dal mistero che ti aspetta/ nel gemito di un nuovo giorno/ capisci il perché di quegli occhi che ti salvano;/ che ora apri sicuro e certo: quegli occhi, gli occhi del tuo nome).
Il poeta Ángel Guinda, durante la presentazione del libro presso il Circolo di Belle Arti di Madrid nell’aprile del 2004, ha affermato che leggere le poesie di Pablo significa «aprire una finestra su ciò che è invisibile, su tante cose che pur essendo così reali, presenti e vicine, a mala pena riusciamo a vedere perché non le guardiamo con gli occhi dello spirito, non le tocchiamo con le dita dell’anima. Il nostro poeta possiede una prospettiva ideale per conoscere la realtà senza schiacciarla, senza venirne schiacciato».11



1Intervista rilasciata al programma radiofonico Noche de Cometas (Cadena Cope, 10.01.2010), disponibile alla pagina web www.cope.es/noche-de-cometas.

2Comunicazione personale da parte dell’autore.

3Cfr. nota 2.

4Cfr. nota 2.

5In quella stessa occasione, inizia anche la mia collaborazione con Pablo, in veste di traduttrice.

6L’antologia, presentata al Teatro Principal di Saragozza il 18 dicembre del 2009, propone testi di: Gimferrer, Talens, Colinas, d’Ors, Guinda, Gracia Trinidad, Linares, Maillard, Martínez Mesanza, Campos Pámpano, Valverde, Luque, Iglesias Serna e Mateos.

7“Entrevista a Pablo Luque Pinilla”, Perkeo, 24, dicembre 2009, www.perkeo.es/articulo.php?id_article=154. Traduzione mia, come di tutte le altre citazioni inserite nel testo.

8Cfr. nota 2.

9Da “Palabras de presentacion”, Ibi Oculus 1, www.ediciones-encuentro.es/ibioculus/view.php?menu=2&smenu=4"

10Cfr. Nota 2.

11Il testo completo in spagnolo è disponibile su www.pabloluquepinilla.com/losojosdetunombre.htm#488009615


BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA

POESIE DI PABLO LUQUE PINILLA


A-42

I

La blusa del día suspende láminas de polvo, y gotas circulando donde la atmósfera cubre el suelo. Lo que dura la secuencia del paisaje dura el cambio de marcha, y dobla el lomo del arcén si en el volante irrumpe un giro.

Sólo el instante muestra una señal y bloques con pisos en cascada.

El camino es lento, y la mirada un hábito donde surgen coches y nubes de CO2 retando al ojo. No hay pasos ni huellas que seguir, ni la clausura de la avenida donde se abastecen las horas en la trastienda de los deseos.

Sólo un oculto beso filtrándose en las toberas de la calefacción, y la imagen de los retrovisores donde yace ingrávida la nostalgia que te adivina.

II

La atmósfera no se repliega, pero pasa páginas dormidas, y acerca hojas de silencio donde se agita lo invisible.

Sólo un haz de imágenes proyectado desde el parabrisas abre el párpado que aguarda, y refleja un lago de misterio que rompe el vidrio de la ausencia.

El coche es tu morada y el aire la ferocidad donde se mueve.

Bate el viento con sus labios y alcanza a tientas la carrocería, encontrando los conductos de la ventilación, que depositan, intrépido, su beso.

III

Nubes reposando la inquietud del agua dormida. Señales sobre letras de humo ocupando lechos fabricados a la medida del aire.

Son más de las trece en el reloj del cuadro de mandos, cuando se escucha un boletín horario descargando las atrocidades peores, y se despacha un locutor con un «Adiós, buenas tardes».

El sol de mediodía, el sol de punta, duele.

En el habitáculo un sobrevuelo de pájaros abre una grieta en el espacio de la distracción, y se disipa en el punto de fuga del asfalto, entre las luces primeras de la conciencia adormecida.

IV

El enunciado del paisaje, dibujado en el umbral del parabrisas, nombra en sílabas de bruma los contornos de la autovía.

Son brazos donde descansa el vértigo de lo imprevisto, el alfabeto de señales que se sucede kilómetro a kilómetro, como se sucede la silueta de los edificios y las industrias.

No importa si son fábricas, gasolineras o almacenes, ni la prohibición de pasar de noventa, cuando en pozos de sentido se vislumbra el hallazgo de los deseos. No importa si son bloques o adosados, o el destello de sus guiños menores en los autobuses de línea.

La distancia es el tiempo y el asfalto su mediación intercesora.

El transcurrir de los kilómetros deletrea los cercos de un misterio, como se deletrean los números del cuentakilómetros, y se desvela el lugar inalcanzable donde se embarcan los ojos.


A-42

I

La camicia del giorno sospende lamine di polvere, e gocce che circolano dove l'atmosfera ricopre il suolo. La sequenza del paesaggio dura il tempo di cambiare marcia, e si invade il bordo della banchina se nel volante irrompe una sterzata.

Solo l'istante mostra un segnale e condomini con piani a cascata.

Il cammino è lento, e lo sguardo un’abitudine dove si levano automobili e nuvole di CO2 che sfidano l'occhio. Non ci sono passi né impronte da seguire, né la clausura del viale dove le ore fanno rifornimento nel retrobottega dei desideri.

Solo un occulto bacio che s’infiltra negli ugelli del riscaldamento, e l'immagine degli specchietti retrovisori dove giace lieve la tristezza che ti rivela.

II

L'atmosfera non si ripiega, ma attraversa pagine addormentate, e avvicina fogli di silenzio dove si agita l'invisibile.

Solo un fascio di immagini proiettato dal parabrezza apre la palpebra che attende, e riflette un lago di mistero che rompe il vetro dell'assenza.

L'auto è la tua dimora e l'aria la ferocia in cui si muove.

Sbatte il vento con le sue labbra e raggiunge a tentoni la carrozzeria, trovando i condotti della ventilazione, che depositano, intrepido, il suo bacio.

III

Nuvole in cui riposa l’inquietudine dell'acqua addormentata. Segnali sopra lettere di fumo che occupano letti fabbricati su misura dell'aria.

Sono passate le tredici nell'orologio del quadro dei comandi, quando si sente un bollettino orario che riversa le peggiori atrocità, e un conduttore si congeda con un “Arrivederci, buon pomeriggio”.

Il sole di mezzogiorno, il sole di punta, fa male.

Nell'abitacolo un volo di uccelli apre una crepa nello spazio della distrazione, e svanisce nel punto di fuga dell'asfalto, tra le prime luci della coscienza addormentata.

IV

L'enunciato del paesaggio, disegnato sulla soglia del parabrezza, nomina in sillabe di bruma i contorni della superstrada.

Sono braccia in cui riposa la vertigine dell'imprevisto, l'alfabeto di segnali che si succede chilometro dopo chilometro, come si succede il profilo degli edifici e delle industrie.

Non importa se sono fabbriche, distributori di benzina o magazzini, né il divieto di oltrepassare i novanta kilometri orari, quando in pozzi di senso si intravede il ritrovamento dei desideri. Non importa se sono condomini o case a schiera, o il lampo del loro ammiccare sugli autobus di linea.

La distanza è il tempo e l'asfalto il suo mediatore.

Il trascorrere dei chilometri scandisce i contorni di un mistero, come si scandiscono i numeri del contachilometri, e si svela il luogo irraggiungibile dove s’imbarcano gli occhi.


CARRETERAS SECUNDARIAS

I

Un reflejo delatando sombras proyectadas desde algún voladizo, un frenazo en la geometría de un coche haciendo la rotonda.

Quietos quicios de luz y el sol basculando sus agujas.

Algunos giros, algunos cambios de marcha, cuando se abran los semáforos y caigan rayos reflejados en el lado opuesto del chasis.

La tarde inaugurada desvelará la inocencia de los parachoques traseros, y las huellas de sus golpes en el oleaje de las respiraciones.

La tarde inaugurada dibujará su sábana virginal, depositando sus labios más secretos en la tensión última de la monotonía.

II

Oficinas metálicas vertebrando la nuca de las nubes, altos pájaros de gas emitiendo su luz desde las plantas.

Son el inciso abierto en la pantalla del retrovisor, cuando anchas ventanillas encuentran la onda de una brisa, y descubren la lengua del asfalto recostada a derecha e izquierda entre meandros de humanidad.

Son viejas carreteras como venas capilares, entre urbanizaciones de bajo coste y proyectos de construcción.

Entre lagos de silencio donde bulle el transcurrir de vidas plateadas.

III

El parpadeo de los árboles mueve el filo de las hojas, agitando polillas de sencillez entre las grietas del asfalto. Pequeñas ráfagas de viento sobrevolando la trayectoria de tu coche, apremiando el vientre de los dedos que con firmeza te conducen.

No es el cuadro de mandos, ni su túnica de plástico polvoriento, ni el mullir de las alfombras desportilladas, donde un velo de cordura equilibra los sentidos y una elocuente calma pulsa la monotonía. Es la quietud de los encuentros mejores, cuando un golpe de realidad interroga tu mirada, y un ámbito de misterio llena el cuenco de las dudas.

Cuando un calor resquebrajado dialoga con el arco de tus deseos, y esas manos al volante, sedientas y al acecho, se festejan libres en una calzada que de completa ofende.


CARATTERI SECONDARI

I

Un riflesso che rivela ombre proiettate da una qualche sporgenza, una brutta frenata nella geometria di un’auto che percorre la rotonda.

Quieti cardini di luce e il sole che fa oscillare i propri aghi.

Alcuni giri, alcuni cambi di marcia, quando si accenderanno i semafori e cadranno raggi riflessi sul lato opposto del telaio.

Il pomeriggio inaugurato svelerà l'innocenza dei paraurti posteriori, e le tracce de suoi colpi nell'ondosità dei respiri.

Il pomeriggio inaugurato disegnerà il suo lenzuolo verginale, posando le sue labbra più segrete nella tensione ultima della monotonia.

II

Uffici metallici che sostengono la nuca delle nuvole, uccelli di gas che emettono la loro luce dai piani più alti.

Sono l'inciso aperto nello schermo del retrovisore, quando ampi finestrini trovano l'onda di una brezza, e scoprono la lingua dell'asfalto appoggiata a destra e sinistra tra meandri di umanità.

Sono vecchie strade come vene capillari, tra urbanizzazioni a basso costo e progetti di costruzione.

Tra laghi di silenzio in cui ribolle il trascorrere di vite argentate.

III

Il balenio degli alberi muove il bordo delle foglie, agitando tarme di semplicità tra le crepe dell'asfalto. Piccole raffiche di vento che sorvolano la traiettoria della tua auto, mentre sollecitano il ventre delle dita che con fermezza ti guidano.

Non è il quadro dei comandi, né la sua tunica di plastica polverosa, né la morbidezza dei tappeti sbreccati, dove un velo di saggezza equilibra i sensi e una calma eloquente sonda la monotonia. È la quiete degli incontri migliori, quando un colpo di realtà interroga il tuo sguardo, e un ambito di mistero riempie la ciotola dei dubbi.

Quando un caldo screpolato dialoga con l'arco dei tuoi desideri, e quelle mani al volante, assetate e in agguato, si festeggiano libere in una carreggiata che da quanto è completa, offende.



Le poesie qui proposte sono tratte da Los ojos de tu nombre, 2004, ma in una versione modificata recentemente dall’autore.

Traduzione dallo spagnolo di Gloria Bazzocchi


gloria.bazzocchi@unibo.it