FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 62
novembre 2022

Arrivi

 

IN ATTESA

di Rossana Carturan



Paola, tremante, si alzò sulla punta dei piedi e sbirciò fuori attraverso la crepa che il muro aveva schiuso con l’ultima scossa. Vi era polvere ovunque. Sul ciglio dell’asfalto, che riusciva a malapena a intravedere, si erano poggiati enormi calcinacci e rami spezzati; un lampione aveva ceduto sdraiandosi sul muso di una macchina parcheggiata. Incollò gli occhi alla fessura, tutto era opacizzato. Le persone scivolavano a destra e a sinistra coprendosi la mano con la bocca. Provò a tirare dei pugni alla parete ma nessuno riusciva a sentirla e il gesso dell’intonaco iniziò a sgretolarsi facendola indietreggiare. Non poteva urlare perché era muta e non poteva ascoltare perché era sorda, ma le vibrazioni del terreno, sì, quelle le percepiva. Era incastrata tra due assi e un frigorifero, che in diagonale sbarravano qualsiasi via di fuga. Si sedette a terra succhiando un lembo della canottiera. Era accaduto tutto velocemente. L’ultimo ricordo era la mamma che l’aveva baciata in fronte prima di andare in fabbrica a fare il turno di notte e la nonna che era tornata in sala a guardare la tv dopo che l’aveva messa a dormire.

Un sussulto forte e un sibilo all’orecchio che le stava per esplodere l’avevano svegliata e buttata giù dal letto. Si era alzata nel buio inciampando al comodino che si era allontanato dal muro. Con il ginocchio dolorante si era mossa all’indietro fino alla parete. Un’altra scossa, un altro rimbombo. Una parte del soffitto era venuto giù. Scivolata a terra aveva iniziato a singhiozzare impaurita. Poi tutto si era calmato.

Nonna soffriva di insonnia per cui era di sicuro ancora sveglia. Paola si alzò di nuovo e tra le assi tirò calci al frigorifero ma nulla, riuscì solo a far cedere i legni chiudendola ancora di più e una pioggia di detriti a oscurare del tutto la porta. Pianse, pianse come sapeva farlo lei, priva di suoni. Infilò la testa tra le ginocchia e con le braccia si rannicchiò. Pensò che aveva solo otto anni e che non sarebbe riuscita ad uscire da lì senza un aiuto, aiuto che non era in grado di richiedere. Il tempo passava e la luce dell’alba lasciò il posto ad un sole deciso che filtrò dalla feritoia schiarendo i contorni della stanza. Nulla era al suo posto. Un ammasso di macerie aveva coperto il letto e i peluche, lo specchio dell’armadio era andato in frantumi. Vide la lampada sul comò si avvicinò per accenderla ma senza alcun risultato. Tornò a sedersi e attese. Sua mamma sarebbe venuta a prenderla doveva solo avere pazienza, questo le diceva la nonna quando desiderava qualcosa che non poteva ottenere all’stante. Pazienza. I minuti e le ore passarono. Una sensazione di umido tra le gambe la colse di sorpresa, si era fatta la pipì addosso. Avvampò di vergogna. A carponi si avvicinò al comodino e piano aprì un cassetto, tirò fuori un paio di mutandine impolverate. Si sfilò le bagnate, nascondendole sotto un calcinaccio e indossò le asciutte. Ora andava meglio. Aveva fame, sete, paura e caldo. Si alzò di nuovo a controllare cosa accadesse fuori nella speranza di scorgere la mamma. Notò un’enorme ruspa, simile a quella che aveva suo zio ma molto più grande. Lentamente avanzava verso di lei. Ebbe un sussulto, se si avvicinava ancora di più avrebbe potuto notare i suoi piccoli occhi che spingevano fuori dal muro per farsi spazio. La vibrazione della scavatrice che lentamente si accostava la fece retrocedere. Alzò lo sguardo, una parte del soffitto era ancora lì ma una pioggia di sassolini sempre più grandi iniziò a cadergli in testa. Tutto stava per crollare, tornò alla parete e con le labbra sulla spaccatura del tramezzo gridò muta al gigante di ferro di fermarsi. Non la ascoltò.

La casa cedette accompagnata dalle grida di una donna che, correndo, urlava il suo nome.

rossana.carturan66@gmail.com