FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 59
novembre 2021

Rovine

 

CATASTROFE

di Annarita Verzola



Mi chiamo Edoardo e frequento l’ultimo anno del liceo scientifico nella mia tranquilla cittadina di provincia. Gli amici mi chiamano Edo, convinti sia un modo un po’ snob di abbreviare il mio nome. In realtà è un omaggio al Giappone, una delle mie fissazioni, e all’originario nome di Tokyo, rimasto in uso fino al 1868 quando con la restaurazione Meij diventò la nuova capitale del paese e pertanto fu ribattezzata. Scusate, ma quando si tratta di una delle mie fissazioni, come dicevo prima, ho la tendenza a divagare.



Credo mi si possa definire tranquillamente un nerd, nel senso più positivo del termine, data la mia predisposizione alla tecnologia, ma sono anche un appassionato e onnivoro lettore e sono qui nel tentativo catartico di riprendermi dalla rovina che mi è piombata addosso, raccontandovela con la speranza di non tediarvi. Cominciamo ab ovo.

La vedova del piano di sopra. Abito con i miei genitori e con mia sorella minore in una palazzina abbastanza vicina al centro storico e la vedova si è trasferita nell’appartamento sopra il nostro da circa un anno. Quando è venuta a presentarsi, ha detto ai miei che, con la vedovanza e la conseguente solitudine, non se la sentiva più di vivere in periferia e le era capitata quell’occasione che aveva colto al volo. Da un mesetto circa ho fatto notare a mia madre una chiazza di umidità in un angolo del soffitto della mia stanza e le ho detto che la faccenda mi preoccupava, soprattutto perché la chiazza si stava allargando, lentamente, ma si stava allargando. L’avrei presa con maggior filosofia in bagno, in cucina, in camera da letto dei miei o di mia sorella, ma nella mia no.



Dovete sapere che la mia camera da letto è la più grande delle stanze di casa e che le pareti sono state interamente rivestite di scaffali nei quali ho disposto con amore e con precisione i miei libri e i miei manga preferiti. Si potrebbe definire una piccola biblioteca con un letto, un armadio e una scrivania. Anzi, neppure una scrivania. Si tratta di uno sportello della libreria che cela un tavolino a ribalta. Mio padre è stato molto comprensivo e mi ha fatto arredare la stanza su misura, sospetto soprattutto perché fosse stanco di dribblare i miei libri e i miei manga sparsi un po’ ovunque in ogni stanza e in ogni angolo della casa.



Dopo aver sollecitato più volte i miei genitori, che non avevano mai trovato il tempo per farlo, alcuni giorni fa sono salito io stesso dalla vedova e le ho esposto la mia preoccupazione per la chiazza di umidità. Lei mi ha assicurato che avrebbe chiamato il figlio a dare un’occhiata. Ieri sera mi ha fatto sapere che sarebbe venuto stamattina presto a controllare per poi parlare con l’amministratore sul da farsi.

Bene, naturalmente sono rimasto in casa ad aspettarlo, dato che i miei uscivano prima di me per andare al lavoro e che su mia sorella ovviamente non potevo fare affidamento. Lui però è venuto in ritardo e ho perso il tram che tutte le mattine mi porta a scuola, così sono tornato indietro a prendere il motorino, che non è partito.

Ho fatto la strada di corsa e sono arrivato proprio mentre suonava la campanella tra la seconda e la terza ora ed ero stato naturalmente segnato assente sul registro elettronico.

C’è stato un compito in classe a sorpresa e il distributore automatico mi ha rubato due volte i soldi senza darmi né il caffè né la merendina che avevo scelto.



Siccome avevamo attività di laboratorio nel pomeriggio, sono andato nel solito baretto a mangiare qualcosa e il mio tavolino preferito era occupato da tre oche giulive della VB che si ammiravano a vicenda la french delle unghie.

Tornati a scuola, mentre ero impegnato nel laboratorio, ha chiamato mia madre per uno dei suoi soliti sondaggi familiari e sapere che cosa preparare a cena.

Gabriella, la mia ragazza, ha stigmatizzato via WhatsApp la mia discutibile tendenza a procrastinare questioni fondamentali della vita, tipo il posto da scegliere per la nostra prima vacanza insieme dopo la maturità o la sera in cui uscire a mangiare una pizza con sua sorella e il suo ragazzo palestrato con un solo neurone, suggerendo una pausa di riflessione sul nostro rapporto.



All'uscita pioveva e mi sono infilato a fatica nel tram, fra una donnona sudata con le borse della spesa e un ragazzetto con l’IPod a palla.

Sono dovuto scendere un paio di fermate prima della mia perché i Vigili del Fuoco avevano bloccato la strada e mi sono fatto il resto del tragitto di corsa; ho individuato i miei genitori e mia sorella, stretti in un gruppo laocoontico, sul marciapiede opposto al nostro palazzo.

Le finestre dell’appartamento sotto il nostro rigurgitavano un fumo nero e denso, mentre la giovane coppia proprietaria guardava con desolazione e spavento l’esito funesto dell’incendio.



Ho incollato gli occhi sulla cisterna che inondava il palazzo e ho seguito la traiettoria del getto d’acqua con il cuore sotto le scarpe.

La vedova del piano di sopra accarezzava il gatto obeso che teneva in braccio e mentre io guardavo, con desolazione e spavento, l'unica finestra aperta della facciata, quella della mia stanza, ha chiosato: "E tu che ti preoccupavi per una chiazzetta di umidità..."




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