FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 59
novembre 2021

Rovine

 

GOCCE DI AMBRA
Sulla poesia della messicana Carmen Villoro

di Alice Carradori



Carmen Villoro, psicanalista e poetessa messicana, ha all’attivo sia volumi di poesia che di prosa poetica, pubblicati in Messico e tradotti in varie lingue.
Liquidàmbar è un omaggio alla scomparsa del padre e al suo ricordo, un testo intimo e personale in cui attraverso l’introspezione, l’autrice sembra voler ritrovare un senso alla vita dopo l’esperienza del lutto.

Il testo è diviso in sei parti, ognuna con caratteristiche proprie, e spazia nei confini della poesia in maniera eclettica e mai banale, utilizzando diversi stili e le varie metriche in accordo con i temi di volta in volta toccati. La raccolta, nel suo insieme, rappresenta un viaggio attraverso le varie fasi del lutto e i vari stadi di presa di coscienza dell’assenza.
Nella prima parte della raccolta il tema centrale delle composizioni è l’albero che dà il titolo al volume e attraverso il quale vive il ricordo del padre scomparso: sul suo tronco scorre il sangue del defunto, imprigionato nell’ambra che lo rende eterno, capace di continuare a vivere anche oltre la morte.

È la fase iniziale del lutto, denotata dal dolore vibrante, potente, liquido, che pervade il corpo e tutto ciò che lo circonda. È un dolore pulsante e condiviso, cocente e manifesto, fisico e animico. Ma è anche un dolore che unisce, che crea una sorta di fratellanza tra chi lo condivide, in cui l’autrice trova il conforto degli indigeni che la circondano («se sei malato qui ti cureranno / se sei triste ti consoleranno»), in una celebrazione della morte che si fa fonte di nuova vita ricca di suoni, profumi e sapori («il baccano dei piattini / le brocche di acqua fresca che promettono sapori di frutta pestata»). È una trasformazione da figlia ad essere adulto, della ricerca della consapevolezza dell’indipendenza («Solo, senza il suo albero / al frutto non rimane altra scelta / che essere albero»).
Ma è quando la sensazione pulsante e impellente si attenua che la mente prende il sopravvento, obbligandosi al confronto con l’assenza, che si traduce in una serie di poesie fortemente metaforiche e introspettive, una presa di coscienza della trasformazione ciclica della vita («mio padre si è reso humus»), della concretezza della morte («prima di te, la morte era un’idea / solo parola oscura. Tu l’hai resa presenza / l’hai resa atto»).

Successivamente, la Villoro si lascia andare alla memoria, con frammenti di ricordi legati al padre, quasi come un omaggio alla sua presenza nella propria vita, che si concretizzano in composizioni brevi e stringate, come flashback che durano giusto il tempo di un lampo.
Infine, la vista dell’autrice si popola di un intricato groviglio di visioni angosciate che riflettono la sofferenza profonda, scaturita dal ricordo che affiora nella solitudine, quando il baccano dei funerali si è attenuato, per arrivare all’ultima parte della raccolta, in cui si celebrano gli insegnamenti lasciati dal padre come un’eredità intellettuale che continua a vivere attraverso la figlia.

Attraverso tutto il volume, il dolore non viene negato né represso ma vissuto in tutta la sua accecante intensità fino alla fine, finché non si esaurisce come il sangue che smette di sgorgare da una ferita e, piano piano, cicatrizza. È un dolore che poco a poco svanisce e libera la vista, come una cortina di fumo, che lascia spazio alla consapevolezza dell’assenza, della mancanza e al tempo stesso dell’esistenza del padre che si prolunga nel ricordo della figlia. Una morte che da creatura mostruosa capace di annientare anche chi rimane in vita, si ridimensiona e diventa evento naturale e ineluttabile attraverso l’elaborazione del lutto.


Carmen Villoro, Liquidàmbar, a cura di Marco Benacci, Edizioni Fili d’Aquilone, Roma 2020, 172 pagine, 15 euro.




POESIE DI CARMEN VILLORO
da Liquidàmbar


GOCCE DI AMBRA
(Gotas de ámbar)


*

Il tu corpo è un gigante
che scalo
fino al cappello.


*

La tua mano prende la forma
di un piccolo dinosauro.
Cammina fino alla mia zuppa.


*

La bicicletta cade.
Io crollo
sul tuo sostegno.


*

Il tuo rimprovero è il tuono:
la sua forza mette ordine
e spaventa la tormenta.


*

Le conchiglie che abbiamo raccolto
in riva al mare
quando te ne sei andato.


*

La foglia del nopal
che ha attraversato la mia mano.
I tuoi pantaloni grigi.


*

La torre Eiffel.
Il giorno dei granchi.
Le stelle.


*

La confidenza
che è rimasta intrappolata
tra gli spaghetti.


*

Seduto su una sedia
davanti alla fonte aspetti
il mio ritorno.


*

I tuoi libri.
La tua voce.
I tuoi occhi.


*

Mi hai regalato
questa clessidra a sabbia
tutto il tempo.


*

La tua vestaglia.
La tua parola preferita
nel corridoio.


*

I fiori sul tavolo
che riempiono di profumo
il soggiorno.


*

Il tuo comodino:
sistema planetario
dei medicinali.


*

La tua pelle rinsecchita.
Le gocce del tuo sangue
sul tappeto.


*

La tua ultima parola.
Il silenzio.
La luce del tuo giardino.






Carmen Villoro
psicanalista e poeta è nata a Città del Messico nel 1958 ma vive a Guadalajara dal 1985. Ha pubblicato libri di poesia e di prosa poetica, tra i quali: El tiempo alguna vez (1990), El habitante (1998), Jugo de naranja (2000 e 2008, tradotto in francese e pubblicato in Canada nel 2017), Obra negra (2006), Espiga antes del viento (2011), Liquidámbar (Mantis editores, 2017, Edizioni Fili d’Aquilone, 2020). Scrive inoltre testi per cataloghi di artisti plastici e saggi sul processo creativo.
Ha ricevuto il «Premio FILIJ Ensayo sobre Literatura Infantil y Juvenil» nel 1993, il «Premio Jalisco» nel 2016 e il «Premio Internacional Hugo Gutiérrez Vega» nel 2018. Membro del Sistema Nacional de Creadores de Arte del FONCA, attualmente è membro del Seminario de Cultura Mexicana e direttrice, presso l’Universidad de Guadalajara, sia della Cátedra de Arte, Poética y Literatura «Fernando del Paso» che della Biblioteca Iberoamericana «Octavio Paz».


alicice@gmail.com