FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 58
luglio 2021

Amici & Avversari

 

UNA STORIA CHE FA RIDERE

di Annarita Verzola



Arrivai davanti al piccolo bar sobbalzando sul motorino e persi tempo per cercare un buco libero tra le automobili parcheggiate. Potevo vedere Andrea appartato, i gomiti puntati sul tavolino e le mani affondate nei capelli; la sua aria avvilita corrispondeva alla voce piatta con cui mezz’ora prima mi aveva telefonato. Entrai e sedetti di fronte a lui, sorridendo per rincuorarlo.

“Scusami, se ti ho fatto aspettare, ma mia madre non la finiva più con le domande. La conosci. Chi era al telefono? Dove vai così di corsa? Quando torni?” Ero certo di divertirlo, invece Andrea si rabbuiò.

“Bella soddisfazione essere diventato maggiorenne e lasciarsi tenere ancora al guinzaglio come un moccioso!”

Non seppi che dire. Andrea non si prendeva mai gioco di me e mi parve brutto segno, così feci finta di nulla.

“Vuota il sacco, ti ascolto.” lo incoraggiai, stringendogli un braccio, ma lui si sottrasse come se la nostra solita intimità all’improvviso lo infastidisse.

“Credi sia facile? Non so da dove cominciare. L’unica cosa di cui sono certo è che non sarai più tanto gentile e disponibile quando avrai capito di che si tratta!” borbottò Andrea, dimenandosi sulla sedia.

Io friggevo per la curiosità, era accaduto qualcosa di grave, ma non riuscivo a immaginare che cosa fosse e infine Andrea si decise, cominciando da quel nome. Isabella.

Rammentai i primi giorni di scuola, quando entrambi l’avevamo notata davanti al cancello del Mamiani, così bella e smarrita fra gli studenti che facevano ressa. Quanti sotterfugi e quante manovre per avvicinarla, e quante amichevoli liti su chi di noi due ne fosse più innamorato. Facevamo a gara per accompagnarla fino alla fermata della metro Lepanto e a volte anche durante il viaggio, benché noi dovessimo prendere la metro a Ottaviano. Sto divagando. Un giorno capii che per Andrea non era più un gioco e mi feci da parte, rinunciando a lei. La voce atona del mio amico mi strappò ai ricordi.

“Non la riconosco più. È diventata malinconica e scontrosa, inventa le scuse più strane per non uscire con me. Mi ha fatto impazzire per giorni, non puoi capire come mi sia sentito, infine stamattina mi ha detto tutto.”

“Bene, così adesso sarà più facile!” non seppi trattenermi dal dire, ma Andrea continuava a scrollare la testa.

“Non puoi capire…”

Io desideravo con tutto il cuore aiutare il mio migliore amico, ma cominciavo a pensare che stesse esagerando. “Se mi hai fatto correre fin qui, sotto ‘sto sole, un motivo ci sarà! Sai bene che farei di tutto per aiutarti!” ripresi in tono conciliante, ma la risposta mi gelò.

“E allora rinuncia a essere mio amico, da ora in poi.”

Credetti di aver capito male, poi mi venne da ridere. Sì, doveva essere uno dei suoi soliti scherzi, in questo era imbattibile.

“Non c’è niente da ridere. Isabella non vuole che mi divida fra te e lei e devo scegliere. O la nostra amicizia o il suo amore e io non ho dubbi, mi dispiace.”

No, non era uno scherzo. Scaricato come un ferro vecchio.

“Ti dispiace? Non credo proprio, altrimenti avresti provato a far ragionare quella… quella! Io sono il tuo migliore amico da quando eravamo due piccoletti che il pomeriggio all’asilo non ne volevano sapere di sdraiarsi sulla brandina a dormire. Io non ho mai fatto niente che potesse intralciarvi e non può essere gelosa di me!”

Mi sentivo ribollire, soprattutto perché la mia collera non scalfiva la corazza d’inaudita indifferenza di Andrea, che si alzò lentamente. Mi accorsi che i pochi avventori di quel pomeriggio dal calore già estivo ci guardavano incuriositi. Uscimmo dal bar in silenzio.

“Mi dispiace che tu non abbia capito, ma in fondo me lo aspettavo. - concluse gelido, stringendosi nelle spalle – Credo sia meglio che ognuno vada per la propria strada.”

Io guardavo i sampietrini della via con una gran voglia di scalzarne uno per tirarlo in testa al mio ex amico.

“Sì, corri pure dalla tua domatrice di pulci. Però avvertimi il giorno in cui ti ordinerà di gettarti nel Tevere con una pietra al collo. Non mi perderei lo spettacolo per nulla al mondo!” urlai, ma Andrea nemmeno si voltò.

Lascia che se ne andasse e mi fermai sul ponte sant’Angelo a guadare l’acqua limacciosa. Il Tevere mi sembrava una pellicola ingiallita sulla quale scorrevano le immagini del nostro passato ancora recente eppure all’improvviso già tanto lontano. Lo sgabuzzino dietro casa mia nel quale ci nascondevamo a fumare; la gita a Firenze, in quarta ginnasio, quando ci perdemmo e i professori ci cercarono per un intero pomeriggio; la sfida contro i bulli del quartiere finita al pronto soccorso; la reciproca compagnia in ogni caso di malattie infantili; le scorribande sul vecchio motorino di mio padre; i sogni, i progetti, le speranze. Tutto in fumo per colpa di una bella ragazza che piaceva da morire anche a me. Sì, proprio così.

Dio solo sapeva quanto avevo penato in quei mesi nascondendo l’amore per Isabella e soffocando i sensi di colpa verso Andrea. Era una beffa del destino o forse no, piuttosto un aiuto insperato per levarmela dalla testa e dal cuore, una volta per tutte. Non prima però di averle sbattuto in faccia quello che mi pesava dentro. Chiamai Isabella e quando mi rispose con quella voce morbida che mi dava i brividi, per un momento non seppi che dire poi la collera riprese il sopravvento.

“Sono Michele, ti aspetto davanti a castel sant’Angelo, subito! Bada che non voglio scuse, è una faccenda troppo importante.”

“Sì, d’accordo. Esco immediatamente, aspettami lì.”

Inaudito. In quel momento la giudicai senza cuore né ritegno.

Non so quanto tempo fosse passato, ma all’improvviso la vidi arrivare in motorino, le guance rosse. La sua bellezza e la sua tranquillità mi irritarono, ma nel medesimo tempo mi sembrò ancora più seducente.

Il discorso che mi ero preparato si squagliò miseramente sotto il sole e soprattutto sotto il suo sguardo limpido.

“Vieni, andiamo a sedere sotto i bastioni, mi piace tanto questo posto.”

Io ero sempre più esterrefatto. Con tutto quello che stava succedendo, pensava all’amenità del luogo in cui ci trovavamo. Isabella non solo era senza cuore, ma doveva essere anche senza cervello, pensai furibondo, ma prima che potessi aprire bocca, parlò lei.

“Erano giorni che aspettavo questo momento, mi domandavo quando Andrea si sarebbe deciso a parlarti. Mi dispiace di essere arrivata a questo punto, ma ho tentato inutilmente in ogni modo di allontanarlo da me. Speravo si stancasse delle mie stranezze e mi lasciasse, ecco perché alla fine gli ho imposto questo odioso ricatto. Se Andrea non avesse accettato, sarei stata libera e non avrei dovuto farlo soffrire dicendogli che non mi importa niente di lui, perché sei tu quello che amo davvero, che ho amato sin dall’inizio, ma me ne sono accorta troppo tardi.”

Non so descrivere ciò che provai, ero incredulo e affascinato, timoroso e ansioso di assecondare quell’inatteso cambiamento eppure non feci nulla, restai fermo dov’ero, tra mamme che spingevano carrozzine e pensionati che leggevano il giornale.

“Dimmi che non ho sbagliato, che non mi sono ingannata suoi tuoi sentimenti. Non lo potrei sopportare!”

Isabella dovette ripetermelo e finalmente trovai le parole. È buffo, ricordo perfettamente lei, ma ho dimenticato ciò che le dissi. Di una cosa sono certo. Dovetti sembrarle convincente perché mi sorrise e mi abbracciò. Ci separammo senza dire altro, senza decidere se, come e quando ci saremmo rivisti. Mi avviai verso casa controvoglia, erano accadute troppe cose in un solo pomeriggio e non mi sentivo capace di affrontare le domande inquisitorie di mia madre. Guidai il motorino da incosciente, rischiando un paio di volte di cadere e di essere investito, ma avevo troppi pensieri in capo.

Quando avevo conosciuto Isabella, era finita da poco la mia travagliata storia con Irene, lunga e difficile, costellata di liti e di riappacificazioni, di incontri intensi e di scontri sanguinosi. Allora avevo pensato che lei fosse una specie di rimedio eroico dopo la cocente delusione di Irene, così avevo sottovalutato e trascurato quel sentimento mentre Andrea me la portava via. Come ragazza del mio migliore amico Isabella era diventata lontana e intoccabile, la lealtà me lo imponeva. E poi? All’improvviso il mio amore veniva riconosciuto e ricambiato, senza contare che il demone meschino della vendetta mi suggeriva di abbandonarmici, visto che Andrea non aveva esitato a scaricarmi pur di non perdere Isabella.

All’improvviso mi parve di capire la sua scelta, il suo disperato tentativo per non perdere la ragazza che amava, e per un attimo mi pentii di averle rivelato che l’amavo anche io. Arrivai a casa con un forte mal di testa così non dovetti fingere con mia madre e potei chiudermi in camera, al buio.

Dovevo rinunciare a Isabella e conservare l’inconsapevole fiducia di Andrea? O invece l’amore di lei e l’egoismo di lui invece potevano giustificare il mio tradimento? Per giorni fu questo il mio assillo e dovette esserlo anche per Isabella perché non cercò di vedermi né di parlarmi, tanto che cominciai a credere si fosse pentita. Fu Andrea a risolvere la questione, nel modo più incredibile. Dopo il famoso pomeriggio al bar non ci eravamo più rivolti la parola con reciproca soddisfazione, ma quella mattina mi aspettava davanti alla scuola, furibondo. Ero in ritardo, così non ci furono testimoni del bello spettacolo.

“E tu hai avuto la faccia tosta di farmi la predica?” mi urlò sul viso, appena lo ebbi davanti.

“Sei pazzo? E come mai adesso ti degni di rivolgermi ancora la parola?”

“Ecco, degnarmi è proprio la parola giusta!”

Io ero stupito e irritato, ma cercai di mostrarmi tranquillo. “Smettila di dare i numeri e dimmi che cosa sta succedendo!”

Quel pugno in pieno viso non me lo aspettavo e caddi come una pera matura. Andrea ne approfittò per assestarmi un paio di calci. Non mi occorse altro per svegliarmi, mi rialzai e cominciammo a picchiarci. Tra un pugno e un’imprecazione Andrea continuava a strillare. “Mi fate schifo, tu e lei, che è riuscita a imbrogliarmi! Per fortuna ci ha pensato Irene ad aprirmi gli occhi e a rivelarmi il vostro sporco gioco. Eravate d’accordo, Isabella mi avrebbe esasperato al punto di costringermi a mollarla e così saresti entrato in scena tu, innocente come un cherubino. Mi fate schifo, vi odio!”

Non poteva essere. Che c’entrava Irene in quella storia? Non poteva sapere che fossi innamorato di Isabella e che cosa ci fossimo detti. Andrea mi lasciò pesto e confuso davanti alla scuola. Mi feci forza per alzarmi perché un pensiero terribile mi aveva trapassato la mente. Dovevo accertarmi che Isabella stesse bene, che quel pazzo non avesse osato toccarla neppure con un dito. Arrivai a casa sua non so come. In una vetrina vidi il mio viso pesto, la camicia strappata e sporca di sangue e sul portone di casa sua mi venne da ridere. Se mi avesse aperto la madre, avrei detto: “Buongiorno, signora, scusi se mi presento per la prima volta e in queste condizioni, ma il ragazzo di sua figlia mi ha pestato perché crede che lo tradisca con me.” Risi ancora e una ragazza che passava si scansò, guardandomi impaurita. Il portone si aprì senza che avessi suonato, salii piano le scale e Isabella mi venne incontro. Era pallida ma sembrava stesse bene.

“Ecco, aggrappati a me. Piano, c’è ancora una rampa di scale, l’ascensore è rotto.” Ansimava per lo sforzo, ero quasi un peso morto con le gambe molli e la vista annebbiata. “Andrea mi ha telefonato stamattina e ho avuto paura, così non sono andata a scuola; stavo dietro la finestra perché temevo venisse qui e invece ho visto arrivare te.” Mentre mi guidava in casa, verso la sua camera, il camicione le scivolò scoprendo una spalla candida e rotonda che non ho mai dimenticato. Mi fece sdraiare sul suo letto, mi tolse la camicia e mi medicò, cercando di non farmi male. Io guardavo la sua camera colorata, piena di pupazzi e di poster. Non mi guardò, mentre parlava. “I miei genitori sono a Bologna per tre giorni.” disse sottovoce, poi si sdraiò accanto a me. All’ora di pranzo telefonai a mia madre e inventai a suo beneficio la più importante bugia della mia vita. Dissi che sarei rimasto per tre giorni a casa del cugino Lorenzo, studente di filosofia e fidatissimo complice. Uscimmo dalla sua camera solo per mangiare qualcosa e quando fu il momento di separarci, Isabella mi disse: “I miei sono andati a vedere la nuova casa, ci trasferiremo a Bologna a fine mese e hanno già comunicato che lascerò la scuola in anticipo. Non dimenticheremo mai questi momenti fino a quando ci incontreremo di nuovo.” La sua voce era poco più che un sussurro, la mia non sarebbe stata neanche quello. Preferii annuire e non compromettermi con parole che sarebbero suonate false già al mio orecchio di scarsissimo mentitore.

Tornai a scuola solo dopo la partenza di Isabella. Rivedere i compagni e partecipare alle loro scemenze mi era impossibile, di colpo mi sentivo vecchio dentro, lontanissimo dai loro scherzi, dai loro interessi. Per giorni Andrea mi seguì come un’anima in pena, senza trovare il coraggio per affrontarmi finché ne ebbi abbastanza e lo feci io. Non avevo nessun desiderio di conoscere la ragione di quel nuovo voltafaccia, ma volevo levarmelo di torno una volta per tutte e lui riuscì a stupirmi ancora.

“Immagino benissimo che cosa pensi di me – incominciò fra sospiri ed esitazioni – e ne hai tutto il diritto. Sono stato imperdonabile e non ho scuse, tranne quella della stupidità per aver ascoltato le farneticazioni di Irene.Sì, perché dopo la partenza di Isabella, mi ha confessato di essersi inventata tutto per vendicarsi di te che l’avevi lasciata. Prova a immaginare come mi sono sentito per aver offeso una ragazza onesta e un amico leale. Purtroppo non posso più rimediare con Isabella, se n’è andata senza volermi rivedere, ma a te posso chiedere di dimenticare e di restare per sempre mio amico, lo farai?”

Faticai per non scoppiargli a ridere in faccia e accettai le sue scuse, disgustato da quell’aria da cane bastonato. Ricostruimmo i pezzi della nostra amicizia, o almeno così lui si illuse che fosse, sul segreto di quella brevissima storia d’amore alla quale ora non avrebbe creduto. Povero diavolo, in fondo mi faceva pena: mi aveva allontanato quando ero sincero per rivolermi accanto dopo che l’avevo tradito davvero. Degna conclusione per una storia che fa ridere.

Sono passati vent’anni eppure io questa storia non l’ho dimenticata. Andrea non mi ha detto mai se si fosse vendicato di Irene e della sua bassezza, ma suppongo di no, visto che l’ha sposata. O forse la punizione è stata proprio questa. Io alla fine mi sono rassegnato alla corte serrata di una compagna di università dal carattere dolce e affidabile. Con Andrea e Irene ci scambiamo inviti a cena di tanto in tanto e regali per le feste comandate; i nostri figli vanno a scuola insieme e sono amici. Sembra che tutto vada bene. Io non ho mai detto o fatto nulla per indurre Andrea a credere il contrario, non mi interessa.

Non ho mai più saputo niente di Isabella, malgrado l’abbia cercata a lungo.


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