FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 58
luglio 2021

Amici & Avversari

 

CRITICHE AMICHE: ARAZZI DEL SOGNO
DI LOUISE MOREY BOWMAN (E AMY LOWELL)

di Stefano Serri



Louise Morey Bowman, nata Lily Louise Dyer Morey, nasce a Sherbrooke, nel Quebec, il 17 gennaio 1882, da Samuel Foote Morey, banchiere, e Lily Louise Dyer. Nel corso degli studi, prevale l’interesse per la letteratura e lo studio del violino; un lungo viaggio in Europa, tappa obbligatoria per una ragazza canadese di buona famiglia dell’epoca, completa la sua formazione.

Nel 1909 sposa Archibald Abercromby Bowman (1875-1934), un ingegnere elettrico di origini scozzesi, e si trasferisce a Toronto, dove vive fino al 1911. Per seguire il marito nella nuova sede lavorativa si sposta a Montreal, dove rimane fino alla sua morte eccetto qualche rara parentesi. Pur partecipando alla vita culturale in associazioni come la Canadian Authors Association, l’International Pen Club e la Montreal Women’s Art Society, il trasferimento avrà un peso notevole sull’attività artistica della Bowman, che a Toronto aveva una piccola ma intensa comunità artistica con altre donne, mentre a Montreal si sentirà isolata e priva di stimoli. La poetessa, che avrebbe voluto vedere la propria opera uscire dai confini della sua nazione, si rammaricò spesso che la sua casa editrice, la Macmillans, non riuscisse a varcare i confini europei e statunitensi. A consolarla di questo isolamento, saranno amici come lo scrittore Frank Oliver Call e la poetessa, giornalista e traduttrice Florence Randal Liversay. Anche se i suoi libri hanno ricevuto gli apprezzamenti di scrittori autorevoli come Amy Lowell o Harriet Monroe, la ricezione e l’apprezzamento critico della sua opera sono, a tutt’oggi, controversi, pur venendo considerata come una delle prime voci poetiche del modernismo canadese anglofono.

Muore il 28 settembre 1944 per le complicazioni insorte dopo un intervento chirurgico. È sepolta all’Elmwood Cemetery di Sherbrooke.

La Bowman pubblica la sua prima poesia, North Room, nel 1913 sulla rivista «Outlook». La collaborazione con riviste, canadesi o statunitensi, riveste un ruolo fondamentale, spesso complementare alla produzione in volume che annovera solo tre titoli. Pubblica a quarant’anni la prima raccolta di versi, Moonlight and Common Day (1922), dedicata a sua madre Lily Louise; seguiranno Dream Tapestries (1924), da cui sono estratte le poesie qui proposte, che riceve il Prix David dal governo del Quebec, e Characters in Cadence (1938), la sua ultima raccolta. Alcuni testi pubblicati su rivista, a volte tra i più interessanti e sperimentali, rimarranno esclusi dai volumi, come nel caso di Waxworks una serie di poesie ispirate al jazz pubblicate nel 1927 su «Poetry».

Oranges, poi pubblicata in Dream Tapestries, riceve nel febbraio 1923 una menzione d’onore nel Blindman Prize; tra gli oltre quattrocento componimenti in gara, la poesia della Bowman è selezionata insieme a quelle di altri dieci autori, tra i quali Wallace Stevens. Giudice del premio è la poetessa ed editrice Amy Lowell; tra le due scrittrici inizia uno scambio epistolare, composto da una ventina di lettere, interrotto dalla morte della Lowell nel 1925.
Emerge dal carteggio l’importanza del contributo della Lowell alla versione finale di Dream Tapestries. La Bowman, infatti, le aveva inviato ventitré poesie destinate al futuro libro (di queste, sei non vennero pubblicate nel volume) e la Lowell commentò ogni testo, consigliando modifiche o sostituzioni che daranno al libro la sua attuale fisionomia. La Bowman accetterà i consigli della Lowell anche quando, come nell’elogio di The Mountain that Watched, saranno in contrasto con quelle del caro amico e poeta Frank Oliver Call. Attraverso giudizi cortesi ma sinceri, lettera dopo lettera, la raccolta muta profondamente; alcune delle poesie scartate, come un lungo poemetto, Pauline, giudicato troppo sentimentale, rimarranno inedite. Una volta pubblicato, Dream Tapestries presenta per la Lowell ancora qualche sorpresa con l’inserimento di testi nuovi, come la sezione di haiku; ma nel complesso, la scrittrice confermerà per il libro e per le singole poesie il suo giudizio positivo.

Quella tra le due autrici è un tipo di condivisione a distanza abbastanza frequente, per l’epoca e per la geografia letteraria del Canada; insieme alle riviste letterarie, lo scambio epistolare poteva diventare infatti un importante antidoto all’isolamento: il ritardo culturale, il debito verso l’Europa, la dimensione provinciale della poesia canadese si riscattano, per la Bowman come per altri autori, nel mutuo riconoscimento delle emergenti isole poetiche di cauta innovazione e meditata esplorazione. Isole, quelle della poesia canadese, che possono tradurre in ponte la barriera del bilinguismo, o trasformare le vaste distese e la separazione fisica in opportune pause dove far decantare visioni: nel mare che li circonda, i poeti sanno tracciare corridoi luminosi e formare un vero e proprio arcipelago, in gran parte ancora inesplorato dai traduttori italiani.

Pur nella varietà di forme sperimentate (dalle minime trafitture d’esistenza racchiuse nei tre versi dell’haiku, fino al poemetto, che innesta sulla scorta di antiche ballate gli stridori di un fantastico tutto contemporaneo), la Bowman riesce sempre a coniugare due direzioni del poetico, ovvero la concentrazione dell’immagine e il dispiegamento del racconto. Da un lato ogni poesia ci consegna un’immagine vivida, un’epifania, un cammeo imagista che partendo da un frutto, un colore, un elemento della natura, sa trarre un emblema senza mai perdere, nei contorni sfumati del simbolo, i vividi dettagli e l’irripetibilità del singolo oggetto; viceversa, ogni poemetto o sezione tenta un racconto, una piccola epica portatile che si aggira in quel palazzo a tre piani (famiglia, villaggio, popolo) che riassume la Storia per la poetessa canadese. Il tutto orchestrato con grande varietà di ritmi, alternando dialoghi vivaci e pause contemplative: perché tutto ciò che si può contemplare (un negozio, un frutteto, una montagna) lo si può anche raccontare.




POESIE DI LOUISE MOREY BOWMAN
da Dream Tapestries (Arazzi del sogno, 1924)



MEMORY

Through tortured weeks of hospital surgery
The old fruit garden of my childhood days
Grew close about me. Through black storms of pain
Swayed joyous boughs of rosy apple-bloom;
White blossomed branches of an old plum-tree;
Old grape-vines clinging to a sunny wall;
Great bushes of red currants and raspberries.
Through hours of torturing thirst I found again
That old fruit garden — as if body and soul
Clutched at cool juicy fruits — remembering —
Devouring them through a parched mouth of the brain.


RICORDO

Tra straziate settimane d’ospedale in chirurgia
Il vecchio frutteto della mia infanzia
Mi cresce accanto. Tra stormi di dolore neri
Ondeggiano rosa e gioiosi i fiori del melo;
Bianchi rami gemmati di un vecchio susino;
Vecchie viti aggrappate ai muri nel sole;
Grossi arbusti di ribes e lamponi.
Tra ore di torture e sete trovo come ieri
Quel frutteto antico – con anima e corpo
Stretti ai frutti succosi e freschi – se ricordo –
Li divoro con la bocca prosciugata dei pensieri.


AMBER RASPBERRIES

Old Jock and Marie Anne could never find
Raspberries of the glowing amber kind
To fill the “ancient porcelain bowl.” (’Twas lined
With amber glaze; outside a gold vine wound
In such a graceful pattern round and round.)
But if my Mother looked she always found
Enough to fill the bowl. That day we’d three
Distinguished guests. I loved to have them see
My lovely Mother as she looked at tea...
Her gown of creamy lace — her shining hair,
Her beads of old carved amber... all her rare
Fragile soft richness, like the berries there
With their pale amber bloom. I loved her so...
I wished that every body there could know...
“Why don’t you eat your berries, Child? … then low
I bent my head to hide two burning tears
Of yearning love. How strange those vague cold fears
My child heart knew that day... what long long years
Since those last lovely hours of ecstasy
When she made Beauty live and thrill for me.


LAMPONI AMBRATI

Il vecchio Jock e Marie Anne non han mai trovato
Quel tipo di lampone lucido e ambrato
Per riempire l’ “antico vaso di porcellana.” (Era foderato
Da uno smalto d’ambra; all’esterno un fluido dorato
Scorreva in un fine disegno tutt’attorno.)
Ma se mia madre guardava, trovava ogni giorno
Abbastanza da riempire il vaso. Quella volta avevamo tre
Ospiti distinti. Amavo che vedessero com’è
La mia cara madre quando si veste per il tè…
La sua gonna di pizzo color crema – la luminosa testa,
I grani di ambra intagliata… tutta la sua modesta
Rara fragile ricchezza, come i frutti dove resta
Una pallida peluria d’ambra. Lei, l’amavo talmente…
Volevo che ognuno di loro lo avesse presente…
“Perché non mangi i tuoi frutti, piccola?”… al pavimento
Piegavo la testa a celare un infuocato pianto
Di amore straziante. Quanto strani i vaghi e gelidi affanni
Che il cuore bambino allora conobbe… quanti lunghi lunghi anni
Dopo quelle ultime ore amorevoli di ebbrezza
Quando lei fece vivere e fremere per me la Bellezza.


A SKETCH

I hear him humming as he drives his car,
In mellow baritone, an ancient psalm —
Drifting down to his subtle modern brain
From his old covenanting ancestors,
Who strode bare-kneed through purple heather bloom,
Praising their God on wind-swept Highland hills.
I am his wife. Beside him vividly,
I see now not the crowded city streets,
Through which he presses, strong, aloof and calm,
Factories and shipyards where his vast machines
Whirr steadfastly, obedient to his brain —
I see now just those small and golden hours
When he is mine.


UN PROFILO

Lo sento mentre guida che canticchia,
Caldo baritono, un salmo antico –
Sommerso il suo fine e moderno cervello
Dai suoi vecchi antenati qui riuniti,
A cavallo senza sella tra rossi fiori d’erica,
Pregando nel ventoso Highland il loro Dio.
Sono sua moglie. Vivide dietro di lui,
Ora vedo non le gremite strade urbane,
Dove si affretta, forte, calmo e distaccato,
Tra fabbriche e cantieri dove le sue macchine enormi
Rombano risolute, obbedienti al suo cervello –
Vedo adesso solo quelle brevi ore dorate
Quando lui è mio.


PRAYER IN SCARLET AND WHITE PAINT

There is a marvellous washing
creamy and snowy-white
hung high on lines
stretched from upper and lower balconies
in the back-yard, across the narrow lane
behind my rusty apple-tree
and dusty lilac hedge;
and a great splendid ‘woman-by-the-day’
comely and fat, with a bronzed skin
and tumbled blue black hair,
and an ugly and joyous scarlet gown,
is hanging out the clothes...
wet heavy clean white clothes...
soft liquid splashes of light amidst dull dusty trees
and sombre dirty bricks.
The laden lines begin to ripple seductively
in the cool sour east wind.
There is no sun to-day,
but the great splashes of high-hung white,
the competent brown arms,
the comfortable strength in vivid scarlet...
they have given me the warmth and wonder
and the refreshment
of tumbling woodland waters
and blazing sun.
I thank you... Life!
I daub it in on a bit of canvas
(with a copy of a Botticelli madonna on the other side!)
so I may remember…
the sordid back lane has become quite immaterial...
I thank you... Life!


PREGHIERA IN UN QUADRO BIANCO E SCARLATTO

C’è un magnifico bucato
color crema e bianco-neve
appeso in alto sui fili
stesi su e giù tra i balconi
nel cortile sul retro, contro la stretta stradina
dietro il mio vecchio melo
e la siepe di lillà polverosi;
e una “donna a ore” splendida davvero
grassa e graziosa, pelle di bronzo
e una chioma blu nera arruffata,
e una gonna scarlatta allegra e brutta,
che appende i vestiti…
umidi grevi lindi bianchi vestiti…
schizzi di liquida luce tra alberi tristi
e tetri luridi edifici.
I fili carichi s’incurvano suadenti
nel vento dell’est freddo e pungente.
Non c’è sole oggi,
ma i grossi schizzi di bianco appesi in alto,
le braccia marroni efficienti,
solidità cordiale nel vivido scarlatto…
mi hanno dato calore e stupore
e la freschezza
di cascate boschive
e sole ardente.
Vita… Ti devo ringraziare!
Ne faccio un abbozzo su un pezzo di tela
(una copia della madonna del Botticelli dall’altro lato!)
così posso ricordare…
il sordido vicolo sul retro è diventato quasi immateriale…
Vita… Ti devo ringraziare!


FLORENCE

How this old terrace of mellow, creamy stone
Grows warm in this noontide sun of Italy...
I sit alone
And dream a piteous dream of ecstasy
And suddenly wake!
In that raw town by a Canadian lake
Does she pause now... to watch the falling snow?
Before me stretch the olive trees that glow
With their soft silvery radiance; far below
The towers of Florence rise, like tall carved flowers.
Ah I know well she does not count her hours
That swiftly pass from dawn to candle-light...
She has the sun-filled day...
I but the night!


FIRENZE

Come questa vecchia terrazza gialla di pietra lussureggiante
Si scalda al sole di questo mezzogiorno italico…
Siedo distante
E sogno un pietoso sogno estatico
E subito son desta!
Su un lago canadese, in una città mesta
Ora lei si ferma… e guarda la neve cadere?
Davanti a me si stendono gli ulivi in un fulgore
Di argenteo splendore gentile; lontano vedi salire
Le torri laggiù di Firenze, come alti fiori mietuti.
Ah so bene che lei non li conta i minuti
Che vanno veloci dall’alba al tramonto. . .
Lei ha il giorno che il sole riempie…
Io la notte soltanto!


VENICE

Dense violet sky of sparkling stars above,
And all around
The soft, mysterious stirring of dark velvet water
That makes no sound.
And here in the old Square
Life... surging, swaying, sparkling everywhere,
As if it held at arms’ length waiting there
The sky and water and their mysteries.
But near me at a little table alone,
A red-haired, black-eyed woman broods and waits,
Gazing across the empty cups and plates.
Her bright hair makes a glory in the light,
But her dark eyes, unseeing, bring the night,
Too near!


VENEZIA

Cielo viola opaco con stelle lucenti in alto,
E intorno e accanto
Dolce moto segreto di acqua nero velluto
Senza suono alcuno.
E qui nella vecchia piazza
Vita... s’alza, oscilla, ovunque sprizza,
E qui aspetta, a distanza di sicurezza,
Il cielo e l’acqua e i loro segreti.
Ma accanto a me a un tavolino
Una rossa, occhi neri, pare che mediti e aspetti,
Fissa da presso le tazze vuote e i piatti.
La chioma brillante è un trionfo di luce,
Ma l’occhio nero e cieco la notte mi conduce
Troppo vicina!


ROME

So... only the little things are left to me...
Cold comforts they!... Beauty my only home.
Drifting of almond bloom... gray ruins of Rome...
The Italian sun that makes these old stones warm...
Lilt of old poems... sight of a girlish form...
Gay little laughter... moon through the cypress trees...
I occupy myself quite well with these.


ROMA

Così... mi restano solo le piccole cose…
Magre consolazioni... Bellezza, mia unica casa.
Corrente di mandorli in fiore... Roma e la grigia rovina…
Sgela questi ruderi la luce italiana…
Cadenza di antichi poemi... una forma di ragazza s’indovina…
Un’allegra risatina... in mezzo ai cipressi la luna…
Con queste cose me la passo piuttosto bene.


Traduzione dall'inglese di Stefano Serri


serristefano80@gmail.com