FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 49
maggio/agosto 2018

Consenso & Dissenso

 

UN LIBRO DI POESIE E RITRATTI
Alessio Brandolini e Stefano Cardinali, Il volto e il viaggio

di Daniele Zerbinati



Contro il buon mercato, contro l’inverosimile, contro l’appiattimento, contro la parzialità. Al primo colpo di baionetta, la battaglia campale de Il volto e il viaggio (2017, Edizioni Fili d’Aquilone) di Alessio Brandolini e Stefano Cardinali ha già demistificato i vezzi intellettuali del contemporaneo. È l’esatta declinazione della vita umana in cinquantanove poesie, un racconto e trenta ritratti: una silloge poetica maturata in una sorta di corrispondenza virtuale che per mesi ha tenuto impegnati entrambi, il poeta e il ritrattista, Brandolini allo scrittoio e Cardinali al cavalletto, pronti, una volta completati, a scambiarsi i frutti dei loro mestieri osservando con puntualità i dettami di quest’epoca “multitasking” – neanche a dirlo, via mail – e per ogni scintilla deflagrata nel punto d’incontro è venuta fuori una storia, spaccata tra il racconto intimo di un “eroino” lontano dal mondo e la testimonianza figurativa del suo sguardo immolato all’altrove.

Domanda e risposta, arringa e sentenza, forti dell’assoluta autonomia semantica che non consente di recepire l’una come la rappresentazione dell’altra, e il libro nel tempo continuava a prendere spessore. L’uno scriveva, da bravo letterato, e l’altro già aveva imbrattato di grafite la maglia bianca “da casa”, bravo pittore. La ricerca di entrambi si dipanava a parole, a pensieri, a immagini, o di converso nel silenzio, incontro alla solitudine, concepita come l’atto finale di un ineluttabile allontanamento, e quando poi, insieme, hanno pubblicato Il volto e il viaggio, Brandolini e Cardinali sapevano bene di aver siglato un esauriente interrogatorio all’esistenza, benché a guidare l’orda delle sue innumerabili tappe e sfaccettature fosse sempre stata quella. La solitudine: il rifugio, una sala d’attesa, un palliativo senza data di scadenza, oppure l’ombra spugnosa che si fa sempre – o quasi – fatica a scegliere, o perché stringe il collo meglio che il nodo scorsoio dei rimpianti serali, o perché sceglie lei come e se lasciare vuoto lo spazio intorno. E decide anche quali sentimenti instillare negli occhi e nei tempi del personaggio che di lei – beata solitudo, sola beatitudo – ha già fatto dimora: rabbia, sospetto, incertezza, silenzio, delusione, fede, resa, follia, speranza, sdegno, amore, stanchezza, cura, menzogna, lutto, violazione, la fanno da chiavi di lettura di questo e quel particolare, mai vincolati ai ritmi limati di una visione d’insieme, bensì procurati al lettore come il bilancio di uno status quo compromesso dagli accidenti della vita e, poi, come la cronaca coscienziale del tempo della “ricostruzione”, della guarigione.

C’è l’architetto a pagina 12, “ben saldo, in piedi, in trincea/ a riflettere per ore sul possibile riparo/ sull’inaccessibile costruzione difensiva”; l’amante al capolinea di una passione galeotta che un tempo aveva ragione di rendere entrambi “uccelli sonori, liberi/ di volare nel cielo stellato dei sogni”; la bambina “che gioca/ da sola in casa, nel giardino, al mare/ o stando rinchiusa e aggrovigliata/ a corde scivolose, a lacci spietati/ a tentacoli e più che del presente/ ho paura del futuro, come nel bel/ mezzo di una fiaba nera”; la parabola nichilista prima e poi fiduciosa del villeggiante: “Presto qualcuno verrà a cercarmi/ chiederà chi sono e non saprò cosa/ rispondere, avrò paura di lui, di me/ e lotteremo. Poi ci sarà il vuoto/ tutto intorno a noi”. E l’amico che è cambiato, con gli occhi bistrati e l’anima prostrata, non ha chiesto più niente da quella volta. È cambiato.

L’operazione “multilinguistica” degli autori rende palpabile la scia di tutti loro, coadiuvata dalla sobrietà – a tratti colloquiale – di una poesia che rifugge l’eccesso e le pastoie di un’eleganza leziosa, plastica, il frangente melmoso in cui la saccenteria immiserisce le sottilità dell’atto lirico, e l’errore marchiano di confortare solo se stessa. I profili prendono rilievo, premono contro le pagine, e nel tratteggiare i propri cammini – che sono percorsi di tutti –, sulla scorta del linguaggio accessibile di Brandolini e Cardinali, dalle distese altrettanto accessibili della plausibilità sconfinano nel vero, puro e disarmante, dove il silenzio sarà la soglia di una tregua inderogabile oppure un epilogo perverso che apre spazi vacanti tra segnali di umanità.


Alessio Brandolini e Stefano Cardinali, Il volto e il viaggio, con una introduzione di Marco Testi, Edizioni Fili d’Aquilone, 2017, pag.102, euro 13.




DUE POESIE, DUE RITRATTI
da Il volto e il viaggio


ARCHITETTO

Quante buone ragioni per essere
così pensoso e irrequieto?
Più di una, dirai, nell’oscuro
scenario nell’imprevisto
che trasforma il pane in briciole
di muffa. Nervi tesi e frasi color
porpora duplicate dal trambusto
mediatico. Frattanto un sole ubriaco
racconta storielle adagiato sugli abeti.

Hai smarrito il tocco della tua antica
creatività e ora mormori frasi
sconnesse, frammenti di mappe
urbane. Le risate sono astratte ferite
e il sudore riga il volto, scroscio
interno di grandine: una visione
della Tunisia, è da lì che sei partito!

Ecco il culto delle facili scommesse
edificate dalla pressione minacciosa
ingombrante alle cinque del mattino.
E tu ben saldo, in piedi, in trincea
a riflettere per ore sul possibile riparo
sull’inaccessibile costruzione difensiva.


BAMBINA

Come sentirsi felice e sollevata
ritrovandosi all’improvviso
chiusa in un pozzo? Imbrigliata
a corde e secchi sfondati, al freddo
e con l’aria appena sufficiente
a tenersi in vita: imbrogliona! dico
per svago e immaginando il peggio
guardo in basso, in alto e nel tubo
dei sogni sono la bambina che gioca
da sola in casa, nel giardino, al mare
o stando rinchiusa e aggrovigliata
a corde scivolose, a lacci spietati
a tentacoli e più che del presente
ho paura del futuro, come nel bel
mezzo di una fiaba nera. La fantasia
è un filo stellare che tutto sorregge
e avvicina al cielo. Giunge il sospetto
– ormai sono quasi grande – che nulla
resterà d’importante se non la gioia
intensa di quei giorni dai mille ostacoli.

Già notte, per tornare a casa attendo
che il sole spunti dalla parte giusta
e l’orizzonte si affila, si allunga
come una corda tirata da un punto
all’altro del mondo: e allora?
Corro a perdifiato e provo a saltarla!



d.zerbinati96@gmail.com