FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 49
maggio/agosto 2018

Consenso & Dissenso

 

A GUARDIA DEL MISTERO
Nei versi di Amore senza fine, la compianta Claribel Alegría ci offre una visione della poesia come sguardo nel mistero insondabile

di Marco Testi



La circolarità non geometrica dell’esistente e l’allontanamento da scuole e ideologie, umane e troppo umane: forse è questa una delle cifre più importanti della poetica di Claribel Alegría, una delle più grandi scrittrici latino-americane, scomparsa lo scorso gennaio ad 94 anni (era nata in Nicaragua nel 1924). Ora le Edizioni Fili d’Aquilone con la presentazione del poema Amore senza fine (a cura di Zingonia Zingone), ci permettono di leggere in profondità la poesia di un’autrice riconosciuta a livello internazionale (da noi ha vinto due anni fa il premio Camaiore ed in Spagna il prestigioso Reina Sofía nel 2017) ma ancora ignorata dalla piccola, grande massa dei lettori.

Quello di Claribel è un verso fluido, inarrestabile, in cui la punteggiatura ha il compito di chiudere solo alcune stanze e di porre domande, in linea con una concezione – nuova e insieme assai antica – della parola come viaggio iniziatico. Lontana da ermetismi di ritorno e da oscurità costruite, questa poesia si articola dinamicamente tra mito, fede, qui e ora, sogno e soprattutto incessante musicalità. Se il mandala, la raffigurazione del cosmo (per una più profonda comprensione di questo contesto si legga la profonda prefazione di Martha L. Canfield) torna continuamente nel poema, la sua accezione di circolarità in cui si incontrino micro e macrocosmo a sua volta non è isolata come affermazione prioritaria, ma si fonde con un tutto in cui si aggirano atomi di grecità e di cristianesimo, di mito e di religione rivelata, di oriente induista e buddista, ma anche di interiorità fedele al ricordo e alla propria identità.

Il che significa che si realizza una poetica vera e propria, con una sua identità, lontana da vezzi sincretistici, che legge gli accadimenti dell’esistere come tensione verso l’altro e nel contempo come timore che tutto sia qui. La traduzione di Zingonia Zingone riesce a restituire questo rincorrersi di improvvisi stati d’animo che aprono porte non consuete alla poesia dell’occidente d’oggi, visto che i richiami alla struggente presenza degli dèi nei loro aspetti più abissali sono quelli hölderliniani e se mai in ambito mediterraneo realizzati nella tragica esperienza di Dino Campana.

Il fondamentale tema, dichiarato fin dal titolo, del ricordo d’amore (il marito Darwin J. Claribel, scomparso nel 1995), che qui non è la storia di una passione, ma quella di una vita, il che fa qualche differenza e sostanzia una forza che trova le scaturigini dal sì vero all’altro, si fonde, in una perenne e instabile velocità circolare, con quello del graduale e traumatico – direbbe Freud – riconoscimento della fisica, evidente sessualità del corpo e con quello della soglia come limen, passaggio in cui tutto il prima dovrebbe rimanere indietro e tutto il poi dispiegarsi nella sua rinascita. Il motivo della presenza divina su questa terra, che come abbiamo già accennato trova un anticipo sofferente e struggente in Hölderlin si affaccia quasi apparentemente distratto, sfuggente, come se il meccanismo di rimozione dell’eccesso di potenza sfumasse nella sorridente constatazione, mediata dal mito dell’arcobaleno come comunicazione tra divinità e uomini di

      dèi che scendono
      dall’Olimpo
      e il mio Dio
      dov’è?
La cifra della poesia di Claribel Alegría è celata anche in questo continuo misurarsi della forza celeste, olimpica e anche cristica, con quella ctonia di un pezzo del pensiero occidentale:
      È già da molti anni
      che Darwin e Nietzsche
      ti hanno ucciso.
Se sembra che nessuna delle due forze riesca a prevalere, se la presenza delle interrogative accentua questa aporia, paradossalmente sono le figure femminili del mito e della tragedia a giustificare il senso della vita sotto il mandala dell’enigma. È esso che fa muovere ogni cosa nell’universo, e che pone, da quando si è affermata la scienza del Novecento, limiti alla stessa conoscenza scientifica di un osservatore – l’uomo – che è parte minimale della scena osservata.
Antigone e Medea, Ecate e Persefone sono una tappa del riconoscimento del mistero che avvolge questa vita, del passaggio tra ragione e tenebre e poi di nuovo apparentemente indietro in un gioco di termini che forse alcuni filosofi, presocratici (si pensi ad Anassimandro) e poi d’Ottocento (e qui il discorso che lega i due “rivali” Hegel e Schopenhauer si farebbe troppo lungo) avevano intuito in momenti del loro pensiero.
La lupa che non aggredisce, il serpente e il centauro sono momenti di comunione con il cosmo che presenta opposti svelati come apparenze da alcuni pensatori. L’immagine della lupa che finalmente arriva al faccia a faccia con l’io poetante è forse una delle cose più belle del poema, perché vi è l’intuizione-chiave che può svelare il senso delle cose:
      non c’è violenza
      su questa soglia
      sentenziò il serpente.
Colui che reca in sé la circolarità della terra – e che svela l’inganno umano della linea retta – lascia comprendere il mistero dello sguardo materno che è alle origini dei miti di fondazione, poiché dall’occhio benevolo della lupa – chiunque essa sia stata – due bambini ebbero una vita e il destino di un mondo.

Merito di questa poesia è di aver colto per un attimo le radici, e di averle portate anche solo per quel momento privilegiato oltre la soglia, per indicare agli altri, ora che Claribel non c’è più, il cammino della speranza in una vita che, nonostante tutto, è un passaggio continuo attraverso le soglie – le illusioni, secondo altri – poste a guardia del mistero.


Claribel Alegría, Amore senza fine, a cura di Zingonia Zingone, Edizioni Fili d’Aquilone, 2018, pagg. 114, euro 15.


testi.marco@alice.it