FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 48
gennaio/aprile 2018

Piccolo & Grande

 

LA POESIA DI ELSA CROSS

di Stefano Tedeschi



Elsa Cross (1946) ha iniziato a pubblicare poesia negli anni sessanta e ad oggi ha al suo attivo un’opera vasta, variegata e profondissima: fin dall’inizio della sua traiettoria poetica si distinse per una personalissima voce poetica che, pur assorbendo la grande tradizione della poesia messicana del Novecento (López Velarde, Gorostiza, Villaurrutia, Paz, Sabines), la reinterpreta e la rielabora, per giungere a una trasparenza e profondità di linguaggio assolutamente personali.

Fin dai suoi primi libri Cross mostra poi di voler tessere una trama di fitti dialoghi con le tradizioni culturali più diverse, tra le quali se ne possono segnalare almeno tre, che in questa breve selezione sono variamente rappresentate. La prima è naturalmente quella con la propria tradizione preispanica, recuperata e riletta a partire dalle testimonianze artistiche che ha lasciato, che vengono però collegate all’eredità viva di quella storia, sia nella cultura messicana contemporanea che nel vissuto delle popolazioni eredi degli antichi abitanti del Messico.
La seconda è quella dell’India e della sua spiritualità: Elsa Cross ha vissuto due anni in India e ha studiato in maniera penetrante la religione e la filosofia indù, e questa tradizione ha fortemente nutrito la sua poesia soprattutto a partire dagli anni novanta.
La terza è invece quella mediterranea, e in particolare la cultura greca classica e quella italiana, a cui è legata fin dalla prima raccolta (intitolata Naxos) e che si ritrova puntualmente in quasi tutti i suoi libri, fino dedicare ad essa il poemetto Bomarzo del 2009.




Da Naxos
(1964-1965)

NOSOTROS

Esa protesta sería ahogada una vez y otra. Nosotros sólo teníamos pocos años y un impulso de lucha que siempre terminaba en un llanto de furia e impotencia. Ellos tienen la fuerza y es difícil seguir cuando se sabe desde antes la derrota.
Los cobardes desertamos y poderosamente nos fue envolviendo la riqueza de una música polifónica, las líneas o los matices de un cuadro, un libro de lectura interminable. Era un afán desesperado de evasión.
Sin embargo, yo sé que cada vez que pasa a nuestro lado un hombre con la mirada perdida y triste, vuelve a nosotros la antigua inquietud, y con el remordimiento un débil deseo de regresar definitivamente algún día.


NOI

La protesta verrà soffocata, più e più volte. Noi eravamo molto giovani, con una voglia di lotta che finiva sempre in un pianto furioso e impotente. Loro usano la forza ed è difficile continuare quando da prima si sa la sconfitta.
Codardi abbiamo disertato e possente ci avvolse la ricchezza della musica polifonica, le linee o i dettagli di un quadro, un libro dalla lettura interminabile. Era un desiderio disperato di evasione.
E nonostante tutto, io so che ogni volta che vicino ci passa un uomo con lo sguardo perduto e triste, ritorna in noi l’antica inquietudine, e con il rimorso un debole desiderio di ritornare un giorno e una volta per tutte.


Da Herencia
(1966-1970)

EL PADRE

Sentir bajo el techo y los muros sólidos
que ningún mal podía penetrar en esa casa,
ni siquiera un ladrón.
Sentir como un timón en manos firmes;
Ninguna vuelta en falso,
Ningún sacudimiento.
Paz, abundancia
y el júbilo al retorno de sus viajes,
los regalos extendidos sobre la mesa.
Y el regalo de su presencia.
Nada turbó la placidez
de ese redondo sol de cada día.


IL PADRE

Sentire sotto il tetto e le solide mura
che nessun male poteva penetrare nella casa,
nemmeno un ladro.
Sentire un timone in mani ferme;
nessun giro a vuoto.
nessuno scossone.
Pace, abbondanza
e la gioia al ritorno dai suoi viaggi,
i regali distesi sul tavolo.
E il regalo della sua presenza.
Nulla turbò la serenità
di quel rotondo sole quotidiano.


Da La dama de la torre
(1969-1970)

VIA APPIA ANTICA

Bellos los cipreses todavía.
Distinto el tiempo, la estación del año.
Distinta manera de andar
entre las mismas piedras,
sobre el mismo polvo y su color rojizo.
Venga a nosotros su condición de olvido,
su lenguaje terrestre...
Luz de oro viejo en el camino,
tristeza en la conciencia,
otras historias.


VIA APPIA ANTICA

Ancora belli i cipressi.
Diverso il tempo, la stagione dell’anno.
Diverso il modo di andare
tra le stesse pietre,
sulla stessa polvere e il suo colore rossiccio.
Discenda su di noi la sua condizione di oblio,
il suo linguaggio terrestre…
Luce d’oro vecchio sul cammino,
tristezza nella coscienza,
altre storie.


Da Destiempo
(1970-1981)

MURMULLOS

El agua se bebe a sí misma
contra la tierra húmeda.
Las ocas comen de mi mano.
Ocas silvestres
tiraban de barcas en el aire
en un tiempo perdido.

Voces se acumulan.
Capturo al sesgo
aquellas que no puedo recordar,
unas palabras a punto de formarse--
pero se extinguen los murmullos,
como a la orilla
la ondulación del viento sobre el agua
o la estela del cisne que pasaba


SUSSURRI

L’acqua beve sé stessa
nella terra umida.
Le oche mangiano dalla mia mano.
Oche selvatiche
si alzavano dalle barche nell’aria
in un tempo perduto

Voci si accumulano.
Catturo di striscio
quelle che non posso ricordare,
parole sul punto di formarsi –
ma si spengono i sussurri,
come sulla riva
l’ondeggiare del vento sull’acqua
o la scia del cigno che passava.


SILENCIO

Bajo el sauce
el río apenas se desliza.
Sólo unas cuantas hojas sobre la superficie
delatan movimiento.
Tu silencio me ronda.

Leo en los augurios de este tiempo
como en castañas que salen intactas del fuego
el lugar y la hora, el rumbo fijo.
Tu silencio me embriaga.

Quedan sobre un muro
las nervaduras rojizas de la enredadera,
Sus hojas se apilan en el suelo
como placas de bronce.

Tu silencio me invade,
me despoja completamente de mí misma.
Y en la raíz de ese instante
palabra y pensamiento,
pensamiento y deseo se vuelven uno,
se hunden en tu silencio.

Río Iowa, 1981


SILENZIO

Sotto il salice
il fiume scivola appena.
Solo qualche foglia sulla superficie
rivelano un movimento.
Il tuo silenzio mi circonda.

Leggo nei presagi di questo tempo
come in castagne che escono intatte dal fuoco
il luogo e l’ora, la rotta fissa.
Il tuo silenzio mi ubriaca.

Rimangono su un muro
le nervature rossicce del rampicante.
Le sue foglie si accumulano a terra
come lastre di bronzo.

Il tuo silenzio mi invade,
mi spoglia interamente da me stessa.
E nella radice di quell’istante
parola e pensiero,
pensiero e desiderio diventano uno,
affondano nel tuo silenzio.

Río Iowa, 1981


RONDA
(Sobre un cuadro de Toulouse Lautrec)

Desde el rojo diván
las dos mujeres miran
algo no retratado
en el ángulo estrecho que contempla
el ojo del pintor.
Invisible para siempre
el objeto de esa frase
para siempre inaudible.
Media sonrisa,
discreto pronunciamiento.
La noche comienza su ronda deslumbrante.


RONDA
(su un quadro di Toulouse Lautrec)

Dal rosso divano
le due donne guardano
qualcosa non raffigurato
nell’angolo stretto che contempla
l’occhio del pittore.
Invisibile per sempre
l’oggetto di quella frase
per sempre inascoltabile.
Mezzo sorriso,
discreta sentenza.
La notte inizia la sua ronda abbagliante.


CHINAROSE

Perdida entre las plantas fosforescentes,
bajo la luz violeta,
una flor
de la que nadie sabe el nombre.
Chinarose dice alguien.

La flor alza en el aire sus pistilos dorados.
Sus pétalos de púrpura se inclinan.
Jardín de artificio.
La luz no es del sol ni de la luna.
El aire no es de viento.
El techo y los muros son espejos.

Tú te miras deslizar entre el bambú.
Te acercas al encuentro.
¿Quién mira a quién?
¿De qué lado del espejo te encuentras tú?

Te miras en el árbol y en la ortiga,
en la hiedra,
en las aráleas,
en las escalinatas,
en el rincón
donde la chinarose
expira.


CHINAROSE

Perduta tra le piante fosforescenti
sotto la luce violetta.
un fiore
di cui nessuno sa il nome.
Chinarose dice qualcuno.

Il fiore alza nell’aria il suo pistillo dorato.
I suoi petali di porpora si piegano.
Giardino d’artificio.
La luce non è del sole o della luna.
L’aria non è di vento.
Il tetto e il muro sono specchi.

Tu ti osservi scivolare tra i bambù.
Ti avvicini all’incontro.
Chi osserva chi?
Da che lato dello specchio ti trovi tu?

Ti osservi nell’albero e nell’ortica,
nell’edera,
nelle aralie,
nelle scalinate,
nell’angolo
dove la chinarose
spira.


Da Las edades perdidas
(1974-1976)

ESCOLIO

      conservarán el desvanecimiento
      los anales diáfanos del viento.

      GÓNGORA

Hemos llegado aquí,
a este puerto
sin alas.
La pregunta abierta al infinito
en sí misma se cierra.
El mármol yace roto entre la hierba.

Desde los altos promontorios
vimos izar al viento su velamen raído.
Su voz trajo otras voces.
El instante alzó sobre sí mismo
tus máscaras de arcilla.

Las edades perdidas
dejaron testimonio
entre el polvo que borró los caminos.
Muros sepultados.
Una inscripción acaso
cuya clave se pierde.

Y naves van hacia las playas
-el nombre borran del poema.
Hacia la costa de oro
el pálido velamen,
la voz del viento contra la espuma,
el filo azul del horizonte.

Oh tímidos cantores.


SCOLIO

      conserveranno lo svanimento
      gli annali diafani del vento

      GÓNGORA

Siamo arrivati qui,
a questo porto
senza ali.
La domanda aperta all’infinito
in sé stessa si chiude.
Il marmo giace rotto tra l’erba.

Dagli alti promontori
vedemmo issare al vento le sue vele consumate.
La sua voce portò altre voci.
L’istante alzò su sé stesso
le tue maschere di argilla.

Le età perdute
lasciarono testimonianze
tra la polvere che cancellò i sentieri.
Mura sepolte.
Un’iscrizione forse
la cui chiave si perde.

E navi vanno verso le spiagge
– il nome cancellano dalla poesia.
Verso la costa d’oro
le pallide vele,
la voce del vento sulla schiuma,
il filo azzurro dell’orizzonte.

Oh, timidi cantori.


Da Jaguar
(1985-1994)

ESTELA MAYA

Llena de insectos,
carcomida,
la piedra arenisca
vuelve al sedimento de moluscos
por sus poros abiertos.
Y yo vuelvo al sitio de los deseos.

Manchada por la lluvia
va desprendiendo en capas
historias vivas:
multitud de hojas diminutas
a cuyo amparo la frente se ensombrece.

Piedra coronada de musgo.
Y al labio del guerrero se prende
como una llagaz
la floración rojiza.


STELE MAYA

Piena di insetti,
tarlata,
la pietra arenaria
torna al sedimento di molluschi
dai suoi pori aperti.
e io torno al luogo dei desideri.

Macchiata dalla pioggia
va dissolvendo in strati
storie vive:
moltitudine di foglie minute
al cui riparo la fronte cade nell’ombra.

Pietra coronata di muschio.
E al labbro del guerriero attecchisce
come una piaga
la fioritura rossiccia.


PALENQUE

      Para Olivia y Andrés González Pagés

Altas en la sombra,
claras en la espesura-
presencias.
Siguieron las huellas de un camino larguísimo
(princesa amarilla entre los corredores).

Las piedras
que el tiempo detiene
como frutillas ácidas en los dientes
salen de su silencio.
Begonias destrozan las escalinatas.
Arboles se alzan sobre las cresterías de encaje.

Ningún templo basta para el dios,
ninguno lo contiene.
Vuelto aire,
vuelto piedra,
pulsa fibras extrañas en el pecho.


PALENQUE

      Per Olivia e Andrés González Pagés

Alte nell’ombra,
chiare nella boscaglia –
presenze.
Seguirono le tracce di un cammino lunghissimo
(principessa gialla tra i portici).

Le pietre
che il tempo trattiene
come fragole acide tra i denti
escono dal loro silenzio.
Begonie distruggono le scalinate.
Alberi si alzano sulle merlature di pizzo.

Nessun tempio basta per il dio,
nessuno lo contiene.
Cambiato in vento,
Cambiato in pietra,
preme strane fibre nel petto.


CHENKÁN

Un pelícano bosteza en una estaca.
Cocotales.
Sólo palmeras siguen por kilómetros
la línea de la costa,
acaso idéntica
en el tiempo en que mi padre
alcanzó la orilla
mientras su avión y un compañero muerto
flotaban lejos.

Acaso el cielo azul cayendo a plomo.
La arena,
más blanca bajo el sol.
Y el mar, el ruido del mar
más fuerte que el pensamiento.

Un pescador lo lleva hacia la aldea.
Redes inservibles cercan los patios,
llenas de bunganvilias.
El pescador lo mira,
las manos arrugadas tienden un jarro de agua.
No dice nada,
su memoria se pierde.
Y la memoria de mi padre, joven,
graba de golpe
el instante apenas divisible en muerte y vida.


CHENKÁN

Un pellicano sbadiglia su un palo.
Palme da cocco.
Solo palme segnano per chilometri
la linea della costa,
forse identica
al tempo in cui mio padre
raggiunse la riva
mentre il suo aereo e un compagno morto
galleggiavano lontano.

Forse il cielo azzurro caduto di schianto.
La sabbia,
più bianca sotto il sole.
E il mare, il rumore del mare
più forte che il pensiero.

Un pescatore lo porta al villaggio.
Reti inservibili circondano i cortili,
piene di buganvillee.
Il pescatore lo guarda,
le mani rugose tendono una brocca d’acqua.
Non dice niente,
la sua memoria si perde.
E la memoria di mio padre, giovane,
registra all’improvviso
l’istante a stento divisibile tra morte e vita.


LOS BEBEDORES DE PULQUE
(SOBRE UN FRESCO DE CHOLULA)

      para Mauricio Sandoval

El cerro se desmorona tras la lluvia.
En mitad del ascenso
brillan dispares sobre el campo
las cúpulas de espejos.
Dos hombres beben debajo de un pirul.
Bebedores de pulque,
como aquellos cuya embriaguez se perpetúa
en los frescos cerrados.
Voces de chirimías,
cantos reverberaron entre esos muros.
Secreto el recinto,
sagrada la bebida,
y el transgresor
que antes sufría el destierro o la muerte
hoy ve perderse simplemente en borrachera
la embriaguez divina,
y lo alcanza la madrugada tiritando
en cualquier sitio.
Hemos pasado por aquí.

Los hombres beben taciturnos bajo el pirul.
La llovizna se enciende entre parcelas nítidas.
Y caen por un plano inclinado nuestras voces,
banales como pedazos de vidrio,
cuando perdemos el gusto de lo divino
y aun a plena luz en la punta del cerro
seguimos andando a ciegas
por los pasillos subterráneos.


I BEVITORI DI PULQUE
(SU UN AFFRESCO DI CHOLULA)

      per Mauricio Sandoval

Il colle sta franando dopo la pioggia.
A metà della salita
brillano differenti nella campagna
le cupole di specchi.
Due uomini bevono sotto un albero di pepe.
Bevitori di pulque,
come quelli la cui ebbrezza si perpetua
negli affreschi al coperto.
Voci di piccoli flauti,
canti riverberarono tra queste mura.
Segreto il recinto,
sacra la bevanda,
e il trasgressore
che prima soffriva l’esilio o la morte
oggi vede perdersi soltanto in ubriacatura
l’ebbrezza divina.
e lo raggiunge l’aurora tremante
in qualche luogo.
Siamo passati da qui.

Gli uomini bevono taciturni sotto l’albero del pepe.
La pioggia si accende tra parcelle nitide.
E cadono su un piano inclinato le nostre voci,
banali come pezzetti di vetro,
quando perdiamo il gusto del divino
e anche in piena luce sulla cima del colle
continuiamo a tentoni
nei corridoi sotterranei.


LOS AMANTES DE TLATELOLCO

      para Teresa Franco

Apenas se desprenden de la sombra.
Sus murmullos
alzan leves señales
al pie del contrafuerte.
Sus tenis blancos fulguran.

Ajenos a esas piedras,
vueltos uno hacia el otro,
olvidan en sus labios
el grito de las masacres--
pechos abiertos a punta de obsidiana
o bayoneta.

Indiferentes a la sombra que los cubre,
los jóvenes amantes murmuran
o quedan en silencio,
mientras la noche crece sobre las ruinas,
engulle los basamentos de los templos,
la urna
donde dos esqueletos se abrazan
en su lecho de polvo,
bajo el cristal que sostiene
las flores de una ofrenda.


GLI AMANTI DI TLATELOLCO

      per Teresa Franco

Si staccano appena dall’ombra.
I loro sussurri
alzano leggeri segnali
ai piedi del contrafforte.
Le bianche scarpe da ginnastica splendono.

Estranei a queste pietre,
girati uno verso l’altro,
dimenticano nelle loro labbra
il grido dei massacri –
i petti aperti a punta di ossidiana
o di baionetta.

Indifferenti all’ombra che li copre,
i giovani amanti mormorano
o rimangono in silenzio,
mentre la notte cresce sulle rovine,
inghiotte i basamenti dei templi,
l’urna
dove gli scheletri si abbracciano
nel loro letto di polvere,
sotto il cristallo che sostiene
i fiori di un’offerta.


Da Singladuras (Poemas desde la India)
(1985-1986)

KHAJURAO

La tarde se alarga en los senderos.
De las palmeras bajan los loros en un grito,
recogen entre la hierba frutas brillantes.
Sin sombra resguardados,
vemos los templos.

Luz sobre los torsos de los dioses--
se inclinan y ondulan bajo la tarde ebria.
Y una larga reflexión sobre esos cuerpos
entrevistos en el sueño
y su abrazo como un fuego inmaterial.

Vuelve el aire más delgadas sus vestiduras.
Apenas un olán resalta en el muslo.
Las formas se dibujan tras de las sedas.
Los dioses se revelan tras de los cuerpos.
Ven desde sus altos nichos
caer la tarde, el día levantarse.
Nada irrumpe en su gozo,
ni si las nubes se tiñen de azafrán
o los pájaros
con su vuelo escarlata
dejan sus nidos.

Las diosas se miran al espejo,
se desnudan,
se quitan una espina del pie.
Diosas rosadas,
persiguen
un vuelo que se enciende tras la oreja,
una avispa en el labio.

Acaecer continuo,
pulso inmóvil,
tensión extrema en la cuerda del arco-

    Sólo me escucharás donde nada se oiga,
    ni agua en las orillas
    ni viento en la maleza,
    ni siquiera esta voz.
El vuelo se detiene,
se expande,
lo abarca todo-
    Esto oirás dentro de ti.
    Sin voz me oirás dentro de ti
    decirte:
    eres eternamente libre.
Mis manos se aferran a tu cuello.
Mis labios reciben de tu aliento
la ofrenda de lo divino.

Oh Bháirava,
de tu vino bebí,
comí tus viandas,
y lámparas de reflejos violáceos
brillaron en mi cuerpo.

Oh, Maha-Bháirava,
destrozaste mi tiempo.
Tu hacha hendió los mundos.
No hay antes ni después.
Sólo el ahora,
tu danza loca,
tu grito.


KHAJURAO

La sera si allunga sui sentieri.
Dalle palme scendono i pappagalli con un grido,
raccolgono tra l’erba frutti brillanti.
Non più protetti dall’ombra,
vediamo i templi.

Luce sui torsi degli dei –
si inchinano e ondeggiano nella sera ebbra.
E una lunga riflessione su quei corpi
intravisti nel sogno
e il loro abbraccio come un fuoco immateriale.

Il vento rende più delicati i loro vestiti.
Appena un velo risalta sulla coscia.
Le forme si disegnano dietro la seta.
Gli dei si rivelano dietro i corpi.
Vedono dalle loro alte nicchie
cadere la sera, il giorno alzarsi.
Niente irrompe nel loro piacere,
non se le nuvole si tingono di zafferano
o gli uccelli
con il loro volo scarlatto
lasciano i loro nidi.

Le dee si guardano allo specchio,
si spogliano,
si tolgono una spina dal piede.
Dee rosate,
inseguono
un volo che si accende dietro l’orecchio,
una vespa sul labbro.

Accadere continuo.
battito immobile,
tensione estrema sulla corda dell’arco –

    Solo mi ascolterai dove niente si senta,
    non acqua sulle rive
    non vento tra le foglie,
    nemmeno questa voce.
Il volo si trattiene,
si espande,
lo abbraccia tutto –
    Questo sentirai dentro di te.
    Senza voce mi sentirai dentro di te
    dirti:
    sei per sempre libero.
Le mie mani si afferrano al tuo collo.
Le mie labbra ricevono dal tuo respiro
l’offerta del divino.

Oh Bháirava,
dal tuo vino ho bevuto,
ho mangiato il tuo cibo,
e lampade dai riflessi violacei
brillarono sul mio corpo

Oh, Maha – Bháirava,
hai distrutto il mio tempo.
La tua ascia ha diviso i mondi.
Non c’è prima o dopo.
Solo l’adesso,
la tua danza folle,
il tuo grido.


Da Nadir
(2001-2009)

MIDSOMMER

1.

Si el sol a medianoche
roza bordes peligrosos de la mente,
dejo mis preguntas a la deriva
entre el sustrato oscuro
y las ondas epidérmicas.

Si las preguntas se cierran
porque están respondidas,
y las respuestas se abren
en la boca del tritón sobre la fuente,
son chorro diamantino,
un borbotón constante,
sin sentido.

2.

La mirada lee en el espejo
una fatiga mortal de seguir vivos.

Los macetones de la avenida
están llenos de flores—
pálidos pensamientos
o no-me-olvides
pálidos,
fugaces
como el verano nórdico.

3.

Emerge una canción
en la terraza del bar.
Inmigrantes aglutinados
en la barra del fondo.
Incisiva,
felina,
la mirada
deja una marca en carne viva,
rotura la tarde
con sus lastres anónimos.

Hélsinki, Solsticio de verano, 2003


MIDSOMMER

1.

Se il sole a mezzanotte
sfiora limiti pericolosi della mente,
lascio le mie domande alla deriva
tra il substrato oscuro
e le onde epidermiche.

Se le domande si chiudono
perché ci sono già le risposte,
e le risposte si aprono
nella bocca del tritone sulla fontana,
sono zampillo diamantino,
un fiotto costante,
senza senso.

2.

Lo sguardo legge nello specchio
una fatica mortale di continuare vivi.

I grandi vasi del viale
sono pieni di fiori –
pallide viole del pensiero
o nontiscordardime
pallidi,
fugaci
come l’estate nordica.

3.

Emerge una canzone
sulla terrazza del bar.
Immigranti raccolti
ai tavoli in fondo.
Incisivo,
felino,
lo sguardo
lascia un marchio nella carne viva,
dissoda la sera
con i suoi pesi anonimi.

Helsinki, Solstizio d’estate, 2003


NOTA AL PIE

Un silbido de tren
—nota al pie de la noche—
rompe el silencio apenas conciliado.

Los faroles son manchas difusas,
los ojos se pierden
en un punto de fuga,
igual que el pensamiento
en el silbido que reverbera todavía.

Un espejo devuelve las sombras.
La niebla camina rápida, borrando las casas,
vagones oxidados.
Miramos,
incapaces de llegar y partir como el tren,
dejando todo atrás,
sin ataduras.


NOTA A PIÈ DI PAGINA

Un fischio del treno
– nota a piè di pagina della notte –
rompe il silenzio appena raggiunto.

I fanali sono macchie diffuse,
gli occhi si perdono
in un punto di fuga,
come il pensiero
nel fischio che ancora riverbera.

Uno specchio restituisce le ombre.
La nebbia cammina rapida, cancellando le case,
vagoni ossidati.
Guardiamo,
incapaci di arrivare e partire come il treno,
lasciandosi tutto indietro,
senza legami.


Da Escalas
(1994-2012)

TAORMINA

      Para Carmen Armijo

Zarpar
en el sonido de la palabra Taormina,
en sus ecos insomnes.
Los muelles en la noche más clara.
Y fijas en el reojo
las gaviotas
sobre la ondulación
del mar abajo, en Taormina.
Capas que se acumulan
como estratos terrestres—
y descubrir en la roca quemada
huellas de qué calcinaciones,
saqueos de la memoria
tocando
el alba del mar de Taormina.


TAORMINA

      Per Carmen Armijo

Salpare
nel suono della parola Taormina,
nei suoi echi insonni.
Gli approdi nella notte più chiara.
E fissi di traverso
i gabbiani
sull’ondeggiare
del mare laggiù, a Taormina.
Cumuli che si ammassano
come strati terrestri –
e scoprire sulla roccia bruciata
tracce di quali calcinazioni,
saccheggi della memoria
toccando
l’alba del mare di Taormina.


CAMPANADA

      Para Coral Bracho y Marcelo Uribe

Se acumula en la sombra
vibra
al borde de sí misma
estalla
y se cimbra en cada átomo
cantan todas sus voces
en un largo   solo   grito que asciende
llena todo el oído
y se difunde
asciende
llena todo el espacio
se compacta hacia un punto
-flecha a lo alto
asciende
y al volverse silencio
se completa.


CAMPANA

      Per Coral Bracho e Marcelo Uribe

Si accumula nell’ombra
vibra
sull’orlo di sé stessa
esplode
e oscilla in ogni atomo
cantano tutte le sue voci
in un lungo   solo   grido che ascende
riempie tutto l’orecchio
e si diffonde
ascende
riempie tutto lo spazio
si rinsalda verso un punto
– freccia verso l’alto
ascende
e al tornare silenzio
si completa.


INSTANTE

      Para Irinda y Paul-Henri Giraud

Sosteniendo en el instante
lo rojo entre las hojas del almendro,
lo verde oscuro del mar al pie del risco;
sosteniendo en el instante
lo sensitivo
en la cabeza de la lagartija
que sube y baja por el tronco del almendro,
lo suntuoso en las antenas
de ese insecto multicolor
que vuela del almendro a la palmera;
sosteniendo en el instante
el estruendo de la ola en los peñascos,
sosteniéndolo todo en este instante perfecto
se extienden a lo alto
la hiedra,
la fragancia,
la embriaguez.


ISTANTE

      Per Irinda e Paul-Henri Giraud

Sostenendo nell’istante
il rosso tra le foglie del mandorlo,
il verde scuro del mare al piede del dirupo;
sostenendo nell’istante
la sensibilità
sulla testa della lucertola
che sale e scende sul tronco del mandorlo,
lo sfarzo sulle antenne
di questo insetto multicolore
che vola dal mandorlo alla palma;
sostenendo nell’istante
lo strepito dell’onda sugli scogli,
sostenendolo tutto in questo istante perfetto
si tendono verso l’alto
l’edera,
la fragranza,
l’ebbrezza.


EL ADUANERO ROUSSEAU EN EL JARDIN DES PLANTES

      Para Eduardo Ramos Izquierdo

Lleno de oxígeno,
el ojo agrandado
roba espacio a los tallos,
borra en la hoja
nervaduras delgadas
y satura de verde
el gesto de la mano.

Huésped nimio en el trópico,
oye sólo pájaros,
huele sólo savias y resinas,
mira desmesurados insectos
en lo oscuro,

hasta que el sol se ensaña
bajo los vidrios polvosos
del invernadero,
o la hora de cerrar
lo devuelve a la calle
del sacristán y el curtidor.


IL DOGANIERE ROUSSEAU NEL JARDIN DES PLANTES

      Per Eduardo Ramos Izquierdo

Pieno d’ossigeno,
l’occhio dilatato
ruba spazio agli steli,
cancella nella foglia
nervature sottili
e riempie di verde
il gesto della mano.

Ospite insignificante nel tropico,
sente solo uccelli,
odora solo linfe e resine,
guarda smisurati insetti
nell’oscurità,

fino a quando il sole si accanisce
sotto i vetri polverosi
della serra,
o l’ora di chiusura
lo restituisce alla strada
del sacrestano e del conciatore.


Da Insomnio
(2016)



1.

En el insomnio de una noche caben
caravanas en el desierto
e hileras de pingüinos saltando al agua
Caben las cumbres peladas
y mares alegóricos con sus espumas verdes
Caben largas disertaciones
y el silencio encendido contra un ángulo
como una oración reconcentrada
en su propio decir
que termina y empieza y termina y empieza
Caben en una noche de insomnio
los párpados vencidos
y la mirada oblicua -o la vista fija
en un techo que no se ve en la oscuridad
allí donde se atrapan los recuerdos y se sueltan
se atrapan y se sueltan como un gato
a su presa antes de matarla
En una noche de insomnio desfilan
posibilidades de vidas enteras
toda una ronda de reincarnaciones
en la improbable rueda de fortuna
que de pronto suspende del abismo
sus precarias canastas
Caben y se abren distintos caminos
en el insomnio de una noche
y la mente los recorre y los cierra
y rompe sus orillas desbordándose
y vaga por una entera orilla sin orillas-
pueblo inundado
dejando su ristra de despojos
de recuerdos mal habidos
en un páramo
Deambulan en el insomnio de una noche
fantasmas queridos o temidos
y puede bordearse un recinto
del que la mente huye pues no quiere
lidiar con esos sueños ajenos
metiéndose a la fuerza
por las fisuras imposibles del insomnio
Pueden hilarse en una noche telas delgadísimas
que no se sabe si juntan o separan
las orillas del insomnio
y las de un sueño blanquecino-
fibras incongruentes se entremezclan
y saturan la lucidez no deseada de esa noche
la vigilia que cuenta y recuenta
hace y deshace
deshilacha
sus borregos   sus destinos pendientes   sus registros
Pasan inundaciones y sequías
por una noche de insomnio
Las ideas se adelgazan y se pierden
o vagan como nubes vaporosas
de fiesta de quinceañera
Se bifurcan   se enroscan   se distienden
en volutas de retablo barroco
Se despueblan   se enjutan   se alargan
en altas nervaduras manuelinas
Se ensombrecen   engrosan   se magullan
en ornatos de feria
Pasa puntual una sonata entera
por una noche de insomnio
que se pasma en un crescendo
se pierde ralentando
para hallarse otra vez en una pausa inacabable
hiato del pensamiento por donde el sueño asoma
sólo para volver a huir
como ninfa perseguida
como rata asustada
Algo se desajusta en una noche de insomnio-
la rosca de la tapa de un frasco
una antena que se rompe
cables mal conectados
interferencias de mensajes vacuos
de punzadas ruidosas
Hay algo fuera de lugar-
un rinoceronte llenando la pantalla
un saxofón a deshoras
una diarrea
Y las piezas que no encajan
flotan discordantes
en órbitas erráticas
que no se alinean jamás-
una asamblea de cuervos en la copa del ashok
o más allá murciélagos frutívoros
grandes como paraguas-
y más acá
impulsos noctívagos se acaloran o se hielan
empapan las almohadas de sudor
prenden y apagan los ventiladores o las lámparas
se quitan o se ponen cobijas
abren y cierran libros y ventanas
acumulan minutos   horas   siglos
mientras la mente se llena y se vacía
como reloj de arena-


1.

Nell’insonnia di una notte ci stanno
carovane nel deserto
e file di pinguini che saltano in acqua
Ci stanno le cime pelate
e mari allegorici con le loro schiume verdi
Ci stanno lunghe dissertazioni
e il silenzio infuocato in un angolo
come una preghiera concentrata
sulle sue parole
che finisce e comincia e finisce e comincia
Ci stanno in una notte d’insonnia
le palpebre abbassate
e l’occhiata obliqua – o lo sguardo fisso
su un soffitto che non si vede nell’oscurità
dove si afferrano i ricordi e si liberano
si afferrano e si liberano come un gatto
la sua preda prima di ucciderla
In una notte d’insonnia sfilano
possibilità di vite intere
tutto un girotondo di reincarnazioni
nell’improbabile ruota della fortuna
che all’improvviso sospende sull’abisso
i suoi cesti precari
Ci stanno e si aprono cammini diversi
nell’insonnia di una notte
e la mente li percorre e li chiude
e rompe le sue rive allagandole
e vaga per una riva intera senza rive –
paese inondato
lasciando la sua sfilza di resti
di ricordi mal conservati
su un terreno vuoto
Deambulano nell’insonnia di una notte
fantasmi amati o temuti
e si può rasentare un recinto
da cui la mente fugge perché non vuole
lottare con questi sogni altrui
mettendosi per forza
tra le fessure impossibili dell’insonnia
Possono filarsi in una notte tele sottilissime
che non si sa se uniscono o separano
le rive dell’insonnia
e quelle di un sono biancastro –
fibre incongruenti se intrecciano
e saturano la lucidità indesiderata di questa notte
la veglia che conta e riconta
fa e disfà
sfilaccia
le sue pecore   i suoi destini pendenti   i suoi registri
Passano inondazioni e siccità
per una notte d’insonnia
le idee si snelliscono e si perdono
o vagano come nubi vaporose
in una festa di quindicenne
Si biforcano   si avvitano   si distendono
in volute di altare barocco
si spopolano   si asciugano   si allungano
in alte nervature di gotico manuelino
Si rabbuiano   si ingrossano   si deformano
in decorazioni da festa
Passa puntuale una sonata intera
per una notte di insonnia
che si stordisce in un crescendo
si perde rallentando
per ritrovarsi in una pausa interminabile
iato del pensiero da dove si affaccia il sonno
solo per tornare a fuggire
come una ninfa inseguita
come un topo spaventato
Qualcosa si scompone in una notte d’insonnia.
la filettatura del tappo di un barattolo
un’antenna che si rompe
fili mal connessi
interferenze di messaggi vacui
di punture rumorose
C’è qualcosa fuori luogo-
un rinoceronte che riempie lo schermo
un sassofono fuori tempo
una diarrea
E i pezzi che non si incastrano
galleggiano discordanti
su orbite erratiche
che non si allineano mai-
un’assemblea di corvi sulla chioma dell’ashok
o più in là pipistrelli fruttivori
grandi come ombrelli-
e più in qua
impulsi nottivaghi si accalorano o si gelano
inzuppano i cuscini di sudore
accendono e spengono i ventilatori o le lampade
si tolgono e si mettono coperte
aprono e chiudono libri e finestre
accumulano minuti   ore   secoli
mentre la mente si riempie e si svuota
come una clessidra.


Traduzione dallo spagnolo di Stefano Tedeschi


stefano.tedeschi@uniroma1.it