FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 48
gennaio/aprile 2018

Piccolo & Grande

 

DANIEL SAMOILOVICH, LE INCANTATE

di Francesco Tarquini



Le Incantate [Las Encantadas], è il nome dato dai primi esploratori spagnoli all’arcipelago delle Galápagos, posto nell’Oceano Pacifico di fronte alle coste dell’Ecuador. Un paesaggio ostile, inumano, sospeso sulla soglia di un naufragio della ragione: così le raccontò Herman Melville in un piccolo libro tra la novella e il reportage di viaggio. Una sorta di terra di nessuno, alla quale prima di Melville era approdato, a bordo del brigantino Beagle nell’ottobre del 1835, Charles Darwin, che qui maturò la prima intuizione della teoria dell’evoluzione delle specie.

Su quella terra di confine e sui testi a lei dedicati da Darwin e da Melville si sovrappone, come in un immaginato palinsesto, Las Encantadas dell’argentino Daniel Samoilovich, un vasto poema di più di duemila versi pubblicato in Spagna nel 2003. A somiglianza di un resoconto, di un diario di viaggio frammentario, fatto qua e là di appunti frettolosi e che più volte ricalca o rispecchia o destruttura gli scritti di Darwin, il testo si dipana come discorso di un narratore che in una stanza d’albergo sogna un viaggio alle Galápagos da lui compiuto vent’anni prima, e tenta, rievocandolo, di tornare indietro nel tempo, a quel tempo. Un viaggio della mente che mette in scena lo stupore, quello che è nello sguardo di Colombo, in quello di Neruda e di Whitman, un viaggio nella geografia americana che però è dentro la lingua, sottoposta a una giocosa e drammatica vivisezione, che continua a cercare il suo approdo.




POESIE DI DANIEL SAMOILOVICH
da Las Encantadas [Le Incantate]
Tusquets, Spagna, 2003


SI RONDA EL TIBURÓN, SI CAMINAMOS

por una calle de árboles extraños,
si el viento nos cubre de pétalos rosados
-o fichas de ruleta- y un cascarudo
chilla en la pista más fuerte que el avión,
si a medianoche me despierta la imagen
de dos que vuelven del abismo con langostas
en sendas redes de malla muy cerrada,
si un ostrero o un pinzón se avienen
a ilustrar la evolución de las especies,
¿quiere decir entonces que retornan
las islas negras, vas de nuevo a señalar
en las grietas entre la lava el pasto
amarillo que asoma,
de veras va a nacer
la vida una vez más, volver sobre sus pasos
el mar que encandila, la mañana
de los monstruos serenos, iniciales?


SE SI AGGIRA LO SQUALO, SE NOI ANDIAMO

per una strada d’alberi sconosciuti,
se il vento ci ricopre di petali rosati
– o fiches da roulette – ed uno scarabeo
strilla più dell’aereo, sulla pista,
se a mezzanotte mi sveglia la visione
di due che riportano aragoste dall’abisso
nelle loro reti a maglie molto strette,
se una beccaccia di mare o un fringuello si prestano
a illustrare l’evoluzione delle specie,
vuol dire allora che stanno tornando
le isole nere, che indicherai di nuovo
tra le crepe della lava l’erba
gialla spuntare,
davvero sta per nascere
una volta ancora la vita, e ritirarsi
il mare abbacinante, la mattina
dei sereni bruti primigeni?


SÍ, ESTÁN VOLVIENDO, VUELVEN,

es sutil el origen de estas islas,

que trae la noche y vienen con el sueño.

Algo que, digamos, hubiera quedado irresuelto en el pasado,

pero es inútil buscar, retrospectivamente,

cicatrices o indicios de angustia

en las calas cubiertas de resaca,

en el pueblo negro de iguanas

sobre la costa catatónica:

la búsqueda podría,

como un detective distraído, fabricar pistas falsas

o adulterar las verdaderas. El mismo velo espeso

que cubre lo-que-ha-de-ser cubre el pasado:

los dioses se ríen de la ansiedad excesiva

que los hombres tienen por conocer el futuro;

y peor aun que soportar su burla

es ver pasar a la ninfa Asterie, la única

a la que es dado volar hacia su infancia.

Allá va, atraviesa Sullivan Bay

y esas manchas oscuras son galápagos

apareados hace horas, los acuna

el tumultuoso mar.


SÌ, STANNO TORNANDO, TORNANO,

un enigma è l’origine di queste isole

che porta la notte e vengono col sogno.

Qualcosa, diciamo, rimasta irrisolta nel passato,

tuttavia è inutile cercare retrospettivamente

cicatrici o indizi di un’angoscia

nelle cale che copre la risacca,

tra il popolo nero degli iguana

sulla costa catatonica:

l’indagine potrebbe,

come un detective distratto, fabbricare false piste

o contraffare quelle vere. Lo stesso fitto velo

che copre ciò-che-deve-essere copre il passato:

si ridono gli dèi della smania eccessiva

che hanno gli uomini di conoscere il futuro;

ma anche peggio che sopportare il loro scherno

è veder passare la ninfa Asterie, la sola

cui è permesso volare verso la propria infanzia.

Laggiù va, sorvola Sullivan Bay,

sono testuggini quelle macchie scure,

accoppiate da ore mentre le va cullando

il mare turbinoso.


LA NOCHE ANTES DE EMBARCAR

Toca dormir en esta casa, aquí

nos dejaron, provistos de una cita:

mañana a la mañana, en el muelle.

Por la ventana

que da a la calle se ven los mismos árboles

que en el jardín, es fácil confundirse,

adentro, afuera, el mismo color rosa

de los grandes pétalos.

Sólo un azul……........…………

..……………………este jardín,

………..una calle………………

una casa

y en esa casa un jardín, quizás éste.

Tus ojos son el ancla, cerca de ellos

estoy seguro, ellos son la casa

verdadera,

no estas paredes falsas, dibujadas

de apuro, justo antes que lleguemos

-no separan siquiera dos matices

de rosa,

ni un hemisferio de otro, ni los cielos,

enemigos, de la osa y el carrito-.

No me cubren tus ojos del rocío

ni del tiempo,

no evitarán que muera y sin embargo

ellos sí son refugio, talismán,

cerca de ellos yo me creo seguro.

O, mejor,

empieza a darme igual lo que suceda,

a no asustarme esta casa que mañana

dejaremos como un poco más tarde

dejaremos las islas, el aliento,

los huesos.

Pero es que sin vos lo mismo daría

haberse muerto ya,

y entonces lo peor, que hubiera sido

no conocerte,

vivir en otro siglo distinto del tuyo,

en un planeta

cualquiera de cualquier podrido sol,

o peor,

cruzarse con vos en la cola del cine,

en la sala

de espera de la morgue, y no avivarse

que eras vos,

tenerte delante, y, como un artista pésimo,

no verte,

eso ya no sucedió y ahora todo está bien,

ahora

lo único que quiero es no sobrevivirte.

La casa

ojalá fuera de cartón, de dulce,

ojalá

de chocolate o mazapán, y viniera

a comérsela

un ogro, y se la comiera con nosotros

adentro.

(Es por algo que el niño venusino

bajó a la tierra armado de arco y flecha,

no se trajo una pala ni una escuadra

ni ridículamente acarreó

desde su olímpica morada vendas,

lenitivos, remedios. Su tarea

es dañar, no curar, no construir nada;

si cuando te ensarta te olvidás

de la muerte, se trata de un efecto

colateral, del mismo modo que

un tipo al que le pegan un balazo

en la mano, en un hombro, en un pie,

seguro que se olvida de inmediato

de la angustia suicida, inmaterial,

que hace cinco minutos lo aquejaba:

cuando de veras pica, se transforma

en trivial el miedo a lo futuro;

el día de mañana y toda

deducción y toda prospección

y toda

reflexión, que el diablo se las lleve:

esta es la hora

furiosa y a la vez serena

del ahora

y en las manchas rojas, amarillas,

del ahora, en las islas un reino

fundado en la ley de tu mirada,

cosmos macro

donde cada accidente del terreno

corresponde a un cosmos micro:

las montañas tus pies, las lagunas tus ojos,

¿y por qué

en el infinito ensayo geológico

no podría el planeta

generar una cosa como esa?

Si fuera posible,

aquí debería ser, aquí empieza de nuevo,

a hervir la tierra,

nacen de nuevo, en las grietas del basalto,

pálidas       hebras       de pasto.


LA NOTTE PRIMA DELL’IMBARCO

Bisogna dormire in questa casa, ci hanno

lasciati qui, con un appuntamento:

al molo, domattina.

Dalla finestra

sulla strada si vedono alberi, gli stessi

che nel giardino, è facile confondersi,

di dentro, di fuori, lo stesso rosa

dei grandi petali.

Solo un azzurro……………..……..

……………………questo giardino,

………………una strada………….

una casa

e in quella casa un giardino, forse questo.

Un’àncora i tuoi occhi, accanto ad essi

io sto al sicuro, essi la vera casa

sono,

non queste pareti posticce, verniciate

in fretta proprio prima che arrivassimo

– non separano neppure due sfumature

di rosa,

né un emisfero dall’altro e neanche i cieli,

nemici, dell’orsa e del piccolo carro.

Non mi riparano, i tuoi occhi, dalla rugiada

e neppure dal tempo,

non potranno evitarmi la morte e tuttavia

sono rifugio certo, talismano,

è accanto ad essi che mi so al sicuro.

O meglio

mi importa meno quello che succede,

e non temo la casa che domani

lasceremo come un po’ più tardi

lasceremo le isole, il respiro,

le ossa.

Senza di te però sarebbe uguale

l’esser già morto,

ed in tal caso il peggio, che sarebbe stato

non conoscerti mai,

vivere in altro secolo, differente dal tuo

su un pianeta

qualunque di un qualunque squallido sole,

o peggio ancora,

incrociarci tu ed io al cinema, in fila,

nella sala

d’attesa all’obitorio, e non capire

che eri tu,

averti lì davanti e come un pessimo artista

non vederti,

– questo non è accaduto e tutto ora va bene,

ora

ciò che voglio soltanto è di non sopravviverti.

Magari fosse

la casa di cartone o marmellata,

magari

di cioccolato o marzapane, e arrivasse

a mangiarsela

un orco, e la mangiasse con noi dentro.

(Non per nulla il fanciullo di Venere

discese in terra armato d’arco e frecce,

non trasse con sé pala né squadra

né risibilmente si portò

dalla sua olimpica dimora bende,

sedativi, farmaci. Compito suo

è nuocere, non curare, non costruire qualcosa;

se quando ti trafigge tu ti scordi

della morte, questo è solo un effetto

collaterale, al modo stesso in cui

un tizio cui han piantato una pallottola

nella mano o in una spalla o un piede,

certo che perde di colpo ogni memoria

dell’angoscia suicida, immateriale,

che cinque minuti prima lo affliggeva:

quando davvero duole, diviene

banale la paura del futuro;

il venturo domani e qualsiasi

deduzione, qualsiasi pronostico

e qualsiasi

riflessione, che vadano all’inferno:

questa è l’ora

infuriata e al tempo stesso serena

dell’adesso

e nelle macchie gialle, rosse,

dell’adesso, nelle isole un regno

fondato sulla legge del tuo sguardo

cosmo macro

in cui qualunque aspetto del terreno

corrisponde a un cosmo micro:

le montagne i tuoi piedi, le lagune i tuoi occhi,

e perché mai

nell’esperimento geologico infinito

non potrebbe il pianeta

dare vita a una cosa come questa?

Se potesse accadere,

dovrebbe essere qui, comincia qui di nuovo

a ribollire la terra,

nascono di nuovo, tra le crepe del basalto

pallide     chiome     d’erba.


EL MUSEO DARWIN

Monedas de un dios indiferente,

días como islas, cada uno de ellos

con su flora y su fauna,

separado uno de otro por la

noche; y en su silencio agudo, el paso

de un gigante que viene a traernos

el rarísimo don del presente.

Nada es más semejante

a un esqueleto humano que uno

de murciélago: a la hora de los huesos

todos iguales y el alma una cosa

cuya importancia sería fácil

-tratándose, como se trata, de uno mismo-

exagerar. Un museo muy años 60,

con fotos, grabados, el sol

filtrándose a través de ventanas

un poco sucias y una carta de Darwin

escrita en grandes helvéticas:

“Mirando esta tarde los pinzones

junto a la costa de Florián…”

Entre la acusada conciencia del pasado,

y la desmemoria,

entre distinguir y confundir

las hojas con la sombra de las hojas,

así existimos, esa fue la forma

que la felicidad tomó para nosotros.

Tampoco del reflejo

se puede saber

si se corre, o muere y nace

de nuevo en la violeta

superficie del mar.


IL MUSEO DARWIN

Monete di un dio indifferente,

giorni come isole, ciascuno

con la sua flora e fauna,

e che la notte l’un dall’altro

separa; e nel suo aguzzo silenzio, il passo

di un gigante che ci viene a portare

il rarissimo dono del presente.

Niente assomiglia di più

a uno scheletro umano che uno

di pipistrello: tutti uguali

nell’ora delle ossa, e l’anima una cosa

la cui importanza facile sarebbe

– trattandosi, come si tratta, di noi stessi –

enfatizzare. Un museo molto anni 60,

fotografie, incisioni, il sole

che filtra dai vetri

un po’ sporchi e una lettera di Darwin

a grandi caratteri in Helvetica

“Oggi pomeriggio, osservando i fringuelli

vicino alla costa di Florián….”

Fra la netta coscienza del passato

e la smemoratezza,

fra distinguere e confondere

le foglie con l’ombra delle foglie,

così esistemmo, fu questa la forma

assunta per noi dalla felicità.

Neppure del riflesso

è dato sapere

se si va spostando, oppure muore e nasce

di nuovo sulla violacea

superficie del mare.


PUERTO BAQUERIZO

¿Pero cómo fabrica la noche

esos pétalos luminosos, rosados?

¿Qué reserva de luz tienen los árboles

que flanquean nuestro paso?

Los pelicanos no saben geometría, las estrellas

de mar no cuentan hasta cinco: cada uno, sin embargo,

vive en su forma, de una forma, sobre el techo

de una dársena o en el fondo del mar.

“Creo haber encontrado, creo

haber encontrado”, dice Darwin:

y un mundo de emociones morales

se derrumba ante el hallazgo. Hace bastante menos

de un millón de años, van y vienen fichas sobre el paño

de una mesa de juego, a oscuras

hurgan los pinzones entre las piedras de la playa

adaptando su pico al alimento disponible.

Las formas mutan en un paño, un sueño,

y en ese sueño ruedan

“oh” y “ah”, dos figuritas que vendrían

a ser nosotros en puertos

de nombres raros: Baquerizo,

Fernandina, Sullivan Bay.


PORTO BAQUERIZO

Come farà la notte a fabbricare

questi petali luminosi, rosati?

Che riserva di luce hanno gli alberi

che scorrono lungo i nostri passi?

Non sanno la geometria, i pellicani, né le stelle

marine contano fino a cinque: e tuttavia ciascuno

vive nella sua forma, in una forma, sul tetto

di una darsena o nel mare profondo.

“Credo d’aver trovato, credo

d’aver trovato”, dice Darwin:

e un mondo di emozioni morali

si schianta di fronte alla scoperta. Da abbastanza meno

d’un milione di anni, vanno e vengono fiches sopra il panno

di un tavolo da gioco, a casaccio

rovistano i fringuelli fra le pietre della spiaggia

adattando il becco all’alimento disponibile.

Le forme mutano sopra un panno, in un sogno,

e nel sogno si aggirano

“oh” e “ah”, due minuscole figure che poi saremmo

noi in porti

dai nomi strani: Baquerizo,

Fernandina, Sullivan Bay.


EPÍLOGO DE LA CUARTA PARTE

Un palimpsesto, una superficie alterada por inscripciones,
blancos, pisadas superpuestas, sueños

fracturas y rayones que sugieren
circunstancias cambiantes que impactan

sobre la forma misma de los seres.
Un examen atento de los cuerpos

hace de cada cual un palimpsesto,
en los órganos inútiles, en los estúpidos

errores de diseño, revela
los otros cursos que la historia

podría haber tomado, manchas o fichas
o islas que van y vienen sobre un paño,

formas que el viento desperdiga,
hunde en el mar:

tendencias satisfechas, luego abandonadas,
necesidades que emergen o declinan,

afinidades que se desvanecen,
constantes recomienzos y partidas:

durante un único, interminable viaje
de juventud alrededor del globo

Darwin despliega una fuerza sobrehumana,
un demonio parece que lo anima,

después vive sesenta años más
postrado por el Chagas, pensando en lo que vio,

reescribiendo las ávidas notículas
que cubren sus cuadernos:

lados, minutos, pies,
millas y grados

y un vendaval de bestias y de flores
que vuelve cada noche cuando sus hijos duermen.


EPILOGO DELLA QUARTA PARTE

Un palinsesto, superficie alterata da scritte,
spazi bianchi, impronte sovrapposte, sogni,

slabbrature e abrasioni che suggeriscono
circostanze mutevoli capaci di influenzare

la forma stessa dei viventi.
Un attento esame dei corpi

fa di ciascuno di essi un palinsesto,
negli organi inutili, negli stupidi

errori di progetto, rivela
le strade diverse che la storia

potrebbe aver preso, macchie o fiches
o isole che vanno e vengono su un panno,

forme che il vento disperde,
sprofonda in mare:

inclinazioni appagate e poi lasciate andare,
bisogni che emergono o vengono meno,

affinità che svaniscono,
ripetuti nuovi inizi e partenze:

durante un solo interminabile viaggio
di gioventù attorno al globo

Darwin mostra una forza sovrumana,
sembra animarlo un démone,

e dopo vive altri sessant’anni
abbattuto dal morbo di Chagas, pensando a quanto ha visto,

riscrivendo le brevi avide note
che ricoprono i suoi quaderni:

lati, minuti, piedi,
miglia e gradi

e una tempesta di animali e fiori
che ritorna ogni notte mentre i suoi figli dormono.


Traduzione dallo spagnolo di Francesco Tarquini




Daniel Samoilovich
poeta argentino nato a Buenos Aires nel 1949, è una figura centrale della poesia argentina dell’ultimo quarto di secolo, non solo per la rilevanza della sua vasta produzione poetica ma anche per il ruolo svolto dalla rivista “Diario de Poesia”, di cui è cofondatore e che ha diretto dal 1986 al 2011.
È autore dei libri di poesia:

  • 1973   Párpado
  • 1984   El mago
  • 1991   La ansiedad perfecta
  • 1995   Agosto
  • 1996   Superficies iluminadas
  • 2003   Las Encantadas
  • 2003   El carrito de Eneas
  • 2005   El despertar de Samoilo
  • 2009   Molestando a los demonios
Tra le antologie si segnalano le recenti:
  • Rusia es el tema (Poemas reunidos 1973 – 2008), Argentina, 2014
  • Siete colinas de jade (Antología 1973 – 2013), Messico, 2015
Di Daniel Samoilovich nel 2013 è stato pubblicato da Fili d’Aquilone, a cura di Francesco Tarquini, il libro di poesia Molestando i dèmoni.


tarquini.francesco@fastwebnet.it