FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 47
luglio/dicembre 2017

Mezzanotte

 

LA PROVA DEL FANTASMA

di Annarita Verzola



“Sei nervoso?”

“Tu hai fatto molte prove?”

“Il mio trisnonno a casa mi ha fatto esercitare un po’ nei lamenti.”

“La mia bisnonna insisteva che usassi le catene, ma chi lo fa più al giorno d’oggi?”

“Speriamo che l’esame non sia troppo difficile!

“Mi seccherebbe moltissimo dover aspettare altri cento anni per sostenerlo di nuovo!”

Accovacciata in un angolo, con le braccia strette intorno alle ginocchia, Guendalina cincischiava l’orlo del lungo abito rosso, scolorito dal tempo e dall’uso. Non si sentiva dell’umore giusto per unirsi ai compagni dell’Alta Scuola di Formazione Fantasmatica e preferiva restare in disparte, consapevole di essere l’unica ragazza della classe, ammessa alla scuola solo per i buoni uffici di una sua antenata, Amabile, assassinata dal marito nel 1358, assurta agli onori della cronaca e delle guide turistiche per le agghiaccianti apparizioni nel suo castelletto semi diroccato nella campagna lombarda.

Per dirla tutta, a lei non importava un granché di quella scuola, anzi, non ci teneva proprio a diventare un’inquietante presenza in casa propria. Il suo sogno era avere degli amici in carne e ossa, ma non osava manifestare simili pensieri, ben consapevole di quanto la sua parente contasse su di lei per mantenere alto il buon nome spettrale del casato.

Guendalina era la discendente di un’antica casata romana ed era diventata un fantasma a quattordici anni nel 1832, uccisa accidentalmente da uno dei banditi che avevano assalito la carrozza sulla quale viaggiava con i genitori e il fratello maggiore.

All’inizio si era spaventata, poi aveva scoperto che in forma di fantasma poteva continuare a partecipare alla vita della sua famiglia e pian piano si era abituata al susseguirsi di morti e di nascite della discendenza.



Non si era mai allontanata volentieri dalla grande casa familiare, giusto le poche volte in cui Amabile era riuscita a convincerla a trascorrere un po’ di tempo con lei nel castelletto sperduto nella pianura padana. Guendalina conosceva oramai a memoria tutte le circostanze della cruenta morte dell'antenata, ma ogni volta si comportava come se lei gliele raccontasse per la prima volta e fingeva le giuste esclamazioni di sorpresa e di orrore che sapeva a lei ben gradite.

In quei giorni era appunto tornata con lei a Roma da uno di quegli interminabili soggiorni solo grazie all’esame e c’era voluto del bello e del buono per convincere Amabile a non seguirla a scuola. Già era abbastanza sgradevole essere l’unica ragazza della classe, ma sarebbe stato addirittura umiliante arrivare il giorno dell’esame accompagnata da lei, ansiosa che lo superasse brillantemente.

Non ci sarebbe stato alcun bisogno che Amabile venisse a Roma, tanto il preside le avrebbe comunicato l’esito inviandole un corvo messaggero, ma non c’era stato verso di persuaderla a restare a casa; Amabile era certa del trionfo della pronipote e intendeva goderselo da vicino.

Stendiamo un velo pietoso sull’esito dell’esame di Guendalina e sul pessimo giudizio scritto con il sangue nel pesante registro dalla copertina di cuoio. Amabile fu brava a nascondere l’amarezza per la bocciatura di Guendalina e ritenne necessario restare ancora qualche giorno con lei finché si fosse ripresa dalla delusione.

In realtà Guendalina non era delusa, ma sollevata. Finalmente l’incubo era finito e per altri cento anni poteva stare tranquilla.

Un pomeriggio Guendalina sentì un gran fracasso nel viale che conduceva all’ingresso principale della casa e accorse a vedere. Erano anni che nessun membro della famiglia veniva più a soggiornarvi e per lei fu un piacevole diversivo. Assistette curiosa a tutti i preparativi: domestici in gran numero che andavano e venivano, arieggiando le stanze e spolverando i mobili, passando l’aspirapolvere e lavando i pavimenti di pietra fino a renderli di nuovo lustri. Finalmente la famiglia poté prendere possesso della casa ripulita da cima a fondo e Guendalina ebbe tutto l’agio di osservare i pronipoti. Come erano cresciuti! Si rammentava bene di Ludovico perché somigliava molto al suo amato fratello; adesso doveva avere la sua età, ma era più alto e più robusto di lei. Anche la piccola Greta sembrava già una signorinella mentre il papà e la mamma erano sempre allegri e sorridenti come li rammentava.

Guendalina non si era mai mostrata ai familiari, temendo di spaventarli, e si accontentava di seguirli qua e là, in casa e in giro per Roma, paga di godere attraverso di loro del pallido riflesso di una vita familiare. Timida sì, ma molto sveglia, la nostra Guendalina, perché non tardò ad accorgersi che in Ludovico c’era qualcosa che non andava. Un giorno era tornato a casa con la maglietta strappata, un altro con un occhio nero e si era sempre giustificato con i genitori raccontando di essere caduto.

Una mattina decise di seguirlo, ma Ludovico aveva smesso di uscire, trovava sempre una scusa per restare in casa o uscire solo in compagnia della sorella o dei genitori. Fu così che Guendalina si fece coraggio e decise di apparire a Ludovico.

Una mattina attese che fossero usciti tutti ed entrò nella sua stanza. Ludovico era sdraiato sul letto con uno strano aggeggio sulle orecchie, teneva gli occhi chiusi e dondolava il capo, canticchiando qualcosa fior di labbra. Rimase nascosta per un po’ a guardarlo, poi tossì discretamente, sempre più forte, ma lui non sentiva; così uscì dal nascondiglio e andò a sedere sul letto accanto a lui. Ludovico sgranò gli occhi e si rizzò a sedere, poi si tolse dalle orecchie il buffo aggeggio e le puntò contro un dito.

“Tu chi sei? Come hai fatto a entrare?” balbettò, squadrandola da capo a piedi.

“Sono la tua antenata Guendalina e vivo qui da quando sono nata. Se non ci credi, vieni con me che ti mostro il mio ritratto.”



Sbalordito, Ludovico la seguì nella lunga galleria in cui erano appesi i ritratti di famiglia. Si fermarono di fronte a un enorme dipinto che raffigurava un uomo dai folti baffi che teneva una mano poggiata sulla spalla di una giovane e bella donna; ai lati della coppia c’erano un ragazzo alto e magro e una graziosa ragazzina con un vestito rosso.

“Non ci posso credere… tu sei quella Guendalina che fu uccisa da un bandito… mi hanno raccontato tante volte la tua storia! Ma allora vuol dire che sei un fantasma!”

Guendalina annuì e sospirò, quello era il momento peggiore: sarebbe arrivate le urla di terrore e la fuga a gambe levate, gli altri fantasmi lo raccontavano sempre. Invece silenzio. Ludovico la osservava con attenzione e poi accennò un sorriso.

“Non hai paura di me!” esclamò con gratitudine, resistendo all’impulso di tentare di abbracciarlo.

“No, non ho paura di te. Non potrai mai essere peggiore di Alberto e della sua banda…”

E fu così che Ludovico si confidò con Guendalina, raccontandole ciò che aveva tenuto nascosto ai genitori. La ragazzina lo ascoltò in silenzio, sentendo montare dentro una collera sorda. Chi era questo Alberto, che osava introdursi di nascosto nel parco con i suoi compagni, ma soprattutto si permetteva di fare il bullo con il suo discendente?

“Non puoi continuare a stare zitto oppure quel prepotente crederà davvero di essere più forte di te e non ti lascerà più in pace!”

“Ma lui è più forte di me, e poi è sempre accompagnato da suoi quattro fedeli scagnozzi e io non riuscirò mai a liberami di loro. Se dovessi parlarne con mamma o papà, loro cercherebbero di fare qualcosa e Alberto e la banda si vendicherebbero.” gemette Ludovico sconsolato.

“Però lo stai raccontando a me.” sussurrò Guendalina con uno strano luccichio negli occhi.

“E che cosa potresti mai fare tu per aiutarmi?” mormorò Ludovico con un mesto sorriso.

“Se ti fiderai di me, credo proprio che insieme faremo sparire per sempre quel bullo e la sua banda…” e Guendalina sussurrò qualcosa all’orecchio di Ludovico.

“È un bel po’ che non ti si vede! Cominciavo a credere che fossi scappato!” esclamò Alberto, con una ristata di scherno. Ludovico era nel parco e si fronteggiavano, circondati dal resto della banda.

“Non mi va di uscire e di vedere le vostre brutte facce!”

“Bada a come parli! Ti sei dimenticato chi siamo? Piuttosto, hai i soldi che ti ho chiesto? Sai bene che succede a chi non mantiene la parola” e Alberto agitò i grossi pugni sotto il naso di Ludovico.

“Non me ne sono dimenticato, ma sono stanco di te e dei tuoi amici prepotenti… se vuoi davvero quei soldi, dovrai venire a prenderli stanotte a mezzanotte, nella soffitta di casa mia… ti avverto, è infestata da un fantasma…”

Alberto e i suoi compari si guardarono in faccia e poi scoppiarono a ridere, piegati in due.

“Sei proprio una sagoma… caccia quei soldi, che non abbiamo tempo da perdere!”

“Ti ho detto che dovrai venire a prenderteli a mezzanotte… o devo pensare che hai paura?”

Ludovico aveva toccato il tasto giusto. Mai e poi mai Alberto avrebbe perso la faccia davanti ai compari.

“Ve bene… ci vediamo stasera!”

“Certo, non ci sarà anima viva… a parte il fantasma…” concluse Ludovico con un sussurro.

“Capo, ma sei sicuro che non sia una trappola?”

“E se dentro ci aspettasse qualcuno?”

“E se ci fosse davvero un fantasma?”

Alberto puntò la torcia in faccia ai compari e li guardò di brutto. “Fate silenzio, manica di rammolliti. Quel signorino ha voglia di prenderci in giro, ma non sa ancora chi siamo! Andiamo, è mezzanotte.”

Il gruppetto si diresse verso la porta posteriore della casa, che era aperta come aveva detto Ludovico. Lui stesso era lì in piedi che li aspettava. In silenzio li accompagnò lungo le scale di servizio, che di tanto in tanto cigolavano sotto il loro peso, su su fino alla soffitta. Alberto fingeva una tranquillità che non provava e i suoi compari invece non facevano nulla per nascondere la paura. La porta della soffitta cigolò sui cardini arrugginiti come se qualcuno l’avesse aperta dall’interno e Alberto dovette afferrare i compagni per le magliette, prima che se la svignassero.

“Adesso mi sono stufato… dove sono i soldi?” borbottò Alberto, cercando di nascondere il tremito della voce.

“Là, dietro quel paravento. C’è un tavolino e i soldi sono lì sopra.” sussurrò Ludovico.

“Venitemi dietro…” bofonchiò Alberto mentre Ludovico arretrava in silenzio e prendeva dalla tasca il cellulare.

Il paravento si mosse e crollò a terra, poi Guendalina si slanciò sul gruppetto, le mani ad artiglio, la bocca spalancata e sanguinante, lanciando ululati che facevano accapponare la pelle. I ragazzi si dispersero per la soffitta, gridando di terrore, ma Guendalina sembrava essere ovunque; cercarono scampo dietro i mobili accatastati, urlando a squarciagola ogni volta in cui il suo gelido tocco li sfiorava.

“Urlate pure quanto volete,” li canzonava Ludovico, “non c’è nessuno che vi possa sentire… sto riprendendo tutto con il cellulare!”

Finalmente Alberto riuscì a trovare la porta e fuggì, incurante dei compagni che ancora tentavano di nascondersi qua e là.

“Andatevene prima che per voi sia troppo tardi…” ululò Guendalina e ai quattro non parve vero di trovare la porta spalancata e seguire le orme del capo.



Ludovico caricò il video su YouTube e in pochi giorni diventò virale.

I professori dell’Alta Scuola di Formazione Fantasmatica conferirono a Guendalina il diploma in virtù della sua straordinaria prova e la zia Amabile tornò nella pianura padana giustamente orgogliosa, pronta a raccontare a tutti le prodezze della sua discendente.

Di Alberto e della sua banda non si seppe più nulla e Ludovico continuò a tornare nella grande casa di famiglia per le vacanze, portandovi poi i figli e i nipoti e tutti loro, grandi e piccoli, non mancavano mai di passare a dare un saluto a Guendalina, che li guardava serena dal grande ritratto nella galleria.


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