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Esistenza della pioggia
 e tu c’eri
 in quel prato
 – archeologia dell’amore stesso –
 così bello allora
 far parte della trama
 non essere separati dal proprio respiro.  
*
 
Sorvegli i tuoi simili dalle altane
 con orecchie di velluto
 ascolti le loro trombe. Perfette.
 Il sonno che viene dal mondo delle fate
 potrebbe oscurare la mente
 meglio quindi questa veglia
 – le paure s’infilano laggiù –
 vuoi che il fuoco ti colpisca
 che il sole imminente sfiori le tue labbra
 e scorgere la sveglia della libertà
 sopra le case in lontananza.  
*
 
Questo esiguo lenzuolo
 dove i tabù dell’amore vennero fiaccati
 dove il guerriero – arrogante – ti convocò –  
 sotto il quale fetale ti raggomitoli
 e a occhi semichiusi rimani
 è forse la placenta
 a cui disingannata ritorni?  
*
 
Vi è di notte quel certo modo d’avanzare
 così lento che non si spiega.
 Tra veglia e sonno
 appaiono i volti degli assenti
 ma non la loro voce.
 Troppo fuoco diciamo
 se parliamo a voce alta dormendo.
 Di notte incontriamo il collo della morte
 ornato di diamanti
 non fuggiamo
 ma tutto ciò sconvolge
 di sicuro tutto ciò sconvolge.  
*
 
Guarda l’ombra dove rovisti
 sfida i segnali
 guardala bene ora vedi
 che non c’è niente?
 Solo muri di cartapesta che filtrano le voci
 due specchi rotti e minuscole ragnatele.
 Il sole è appeso al chiodo
 – con tutto l’oro appena scorporato –
 già pronto per domani. 
 Si sta come sbalorditi
 nel paese dei sonni tranquilli.  
*
 
E tu  che ti perdi per le strade
 dove vuoi andare
 ovunque ti siedi nel posto sbagliato
 non vedi questa febbre
 sul volto della gente
 che ti dice mentendo
 con aria di cospirazione:
 sto bene
 sto benone sono appena tornato da un lungo viaggio.  
*
 
Tieni la mano sul cuscino
 che avidamente l’inghiottisce. 
 Quanto fa bene tenerla riposata.
 Lenta slitta dietro lo specchio
 poi si libra in aria
 per disegnare musica
 fa cambiare il passo del vento
 dà corpo all’incorporeo
 con un gesto più preciso
 più accattivante.  
*
 
Lì sul comodino
 le caramelle proibite da mangiucchiare
 dopo un bagno troppo caldo 
 pori aperti e dopo per mezz’ora ancora 
 continui a sudare ch’è un piacere
 in quel serbatoio di spazio
 coi libri accatastati
 e farà freddo e già conosci l’alito 
 fetente dei mostri dell’alba.  
*
 
Abiti una stanza chiusa dal di fuori
 con pareti che trattengono pensieri remoti.
 Ma qui irrompe un respiro 
 un tiepido soffio
 che lambisce le caviglie
 come danza fulgida di un istante.
 Nessuno è entrato uscito.
 L’anatra di cristallo a tratti
 dà come un addio
 sembra che dal mobile
 voglia affrancarsi per un breve volo.
 Ti chiedi se a quest’ora
 non dovrebbe dormire.
 Nessuno è entrato uscito.
 Dunque chi trema al tuo fianco
 chi bisbiglia dentro i timpani?
 Nessuno è entrato uscito.  
*
 
La stanza è chiusa nessun inganno.
 Da dentro la percorri tutta.
 Chi ha parlato? chi?
 La pianta sulla mensola,
 non offre pericoli, non morde,
 ha foglie modeste e modeste pretese:
 non chiede gesti eroici di giardiniere
 dell’aria e dell’acqua s’accontenta
 della prova del dito nella terra
 e di poche tue parole per vincere l’insidie.
 Nessuno può entrare uscire eppure qualcosa sta fuori
 qualcosa sì ma cosa?
 Dalla persiana il ringhio del mare 
 e fasci di luce come dipinti.
 Poi una voce di singolare fattura.  
*
 
L’ascolto ti taglia il petto
 con cupa pesantezza di materia.
 Rovesci la scopa 
 bruci incenso
 dici qui non c’è posto per due
 ma la voce avanza. Avanza. Lievita.
 Mette radici. Scava un tunnel.  
*
 
La notte continua a distribuire
 stelle ai tuoi occhi bendati.
 Restano così a lungo nel profondo
 che saltellano sotto la cute
 arricciandoti i capelli.  
*
 
Custodisci una ballerina muta
 tra stomaco e cuore
 sfamandola nelle ore quiete
 comincia a muovere braccia gambe
 e piruetta e arabesca
 e si allunga in spaccate prodigiose
 nelle stanze non riscaldate.  
*
 
Ha rotte le corde la tua chitarra
 – erano d’altronde anoressiche –
 e hai perso la voce che risuonava d’estate
 sotto l’arco della stazione.
 Pare non si faccia più viva. 
 Se non c’è rimedio
 cerca il rimedio.  
*
 
La tenda si solleva
 non c’è nessuno dietro 
 neppure l’ombra che un tempo temevi.
 Il copriletto 
 – la rosa ricamata del copriletto 
 le iniziali –
 tutt’altra cosa
 non impaura
 è un piccolo oceano 
 – ah il temporale nel frattempo –
 fruscia come carta stagnola
 gli lasci la tua pelle.  
*
 
Il medico che ha controllato 
 la tua testa foderata di tessere
 la tua testa cavatappo
 la tua testa di derviscio rotante  
 la tua testa che si scombina
 ha dichiarato allucinazioni
 e tu hai cambiato la formula in
 forti convinzioni.  
*
 
A volte il pensiero scivola
 diventa schiere di pensieri
 più scivolose ancora
 di una medicina
 s’un cucchiaio di miele.
 Non più arido esercizio di pazienza
 e non c’è verso di fermarlo
 e non c’è verso.  
*
 
C’è un lontano più lontano
 che ti afferra
 da dietro la tenda. 
 Guerra dei nervi e zona livida.
 Quella tenacia. 
 Che farne.
 Il cuore dell’inverno
 fa capolino.  
*
 
E ti ritrovi distante da te
 in cambio il vizio del silenzio.
 Un pianoforte si è spento
 coi tasti pieni di cadaveri.  
*
 
E queste
 sul tetto d’ogni monte
 che non erano folgorazioni
 ma cieli stracolmi di luce.  
*
 
La presenza. La fatica della presa.
 Si arriva col tempo alla maturazione
 immuni dal contagio dell’apparire
 – troppi i pericoli –
 far quaresima più volte all’anno
 questo è ancora possibile
 come possibile è lavorare a tavolino
 ogni notte in silenzio
 nella salutare insonnia
 essere i lebbrosi della traduzione
 nascosti nella grotta.  
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