FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 38
aprile/giugno 2015

Silenzio

 

L'EDITTO DEL SILENZIO

di Annarita Verzola



Che il principe Adalberto sin da piccolo si fosse manifestato come un essere indisponente e insopportabile, oramai era noto a tutta la corte. E crescendo si era confermato tale. I suoi regali genitori lo avevano terribilmente viziato, essendo l’unico figlio nato loro quando oramai non speravano più in un tale, fausto evento.

Gli erano stati forniti la governante più paziente e l’istitutore più colto, i quali sopportavano dal regale rampollo qualunque tipo di sopruso e di stranezza.

Il giovane principe Adalberto si avvicinava all’età giusta per cominciare a occuparsi degli affari del regno, vista soprattutto la venerabile età dei genitori, ma né le lusinghe, né le promesse erano riuscite a farlo avvicinare, seppur di poco, alla grande scrivania sulla quale il re trascorreva la maggior parte del tempo, consultando vecchie leggi e emanandone di nuove, leggendo le suppliche e le richieste dei sudditi e dirimendo questioni.

Quando Adalberto era costretto a partecipare alle udienze regali, si annoiava a morte. Gli veniva una gran voglia, udendo le lagnanze e i problemi dei sudditi, di scoppiare a ridere. Non che fossero problemi realmente divertenti, ma tali parevano a lui, che non si capacitava del fatto di doversi in futuro occupare di mucche fuggite a devastare il pascolo confinante, di pecore smarrite, di liti sul diritto di passaggio in una strada di campagna.

I sovrani erano ben consapevoli delle carenze dell’adorato figlio, ma si ripetevano a vicenda, per rincuorarsi, che al momento opportuno avrebbe saputo affrontare tutto.

E il momento venne, anche se non poteva definirsi opportuno.

I sovrani ebbero la pessima idea di morire entrambi nel medesimo giorno, in un incidente lungo la strada di ritorno al palazzo, a causa del ribaltamento della loro carrozza.

Adalberto si ritrovò così re da un giorno all’altro, con una mesta cerimonia come richiesto dal duplice lutto.

Quando fu accompagnato per la prima volta da solo nella sala delle udienze, restò sgomento di fronte all’altissimo numero di questuanti e nessuno poteva togliergli di mente che fossero venuti in tanti di proposito, solo per infastidirlo con le loro volgari beghe.

Ah, ma si sbagliavano di grosso, se credevano che in lui avrebbero trovato un essere debole e acquiescente!

Al primo consiglio regale cui partecipò, disse chiaro e tondo ai dignitari di corte che da quel momento in poi non avrebbe più tollerato di sentirsi rivolgere la parola per stupide questioni di eredità, di precedenze, di divieti o di permessi. Anzi, avrebbe emanato l’editto del silenzio.



Detto e fatto. In un solo giorno l’editto fu scritto, emanato e proclamato per tutte le strade del regno. In parole povere si vietava a tutti i sudditi di esprimere a voce alta qualsivoglia domanda, pensiero, supposizione, dubbio a sua maestà.

Soddisfatto per la furba pensata, Adalberto si crogiolò per alcuni giorni nel silenzio e nella solitudine più assoluti, libero di dedicarsi all’attività che più gli piaceva: la caccia.

Le prime avvisaglie del precipitare della situazione si videro di lì a una settimana. Nel palazzo e nel paese regnava il silenzio, ma nelle strade e nelle piazze i muri si andavano coprendo di domande, di preghiere, di quesiti rivolti al sovrano, e nel castello affluivano sempre più numerosi fogli, pergamene, papiri, biglietti con i quali i sudditi ponevano i loro problemi all’attenzione del re e i segretari impazzivano nel vano tentativo di arginare quel profluvio di carta stampata o scritta a mano.

Non si sentiva una sola voce, ma l’incalzare di quella silenziosa marea di carta, alla quale il giovane re Adalberto non era preparato e non sapeva dare risposte, era più rumorosa di qualsiasi udienza si fosse mai svolta nella grande sala del palazzo.

L’impotenza di re Adalberto era lì, sotto gli occhi di tutti, nero su bianco, e il giovane sovrano non impiegò molto tempo a rendersi conto di quanto fosse ridicolo e imbarazzante il proprio tentativo di chiudere la bocca ai sudditi.

Di buon mattino convocò il consiglio, revocò immediatamente l’editto e dispose che da quel momento in poi vi fossero due udienze il giorno. Adalberto non giudicò più ridicole e insulse le richieste dei sudditi perché comprese che a lui si rivolgevano per ogni loro necessità come alla persona della quale avevano più fiducia e divenne ben presto un sovrano saggio e illuminato, il cui nome si guadagnò un posto particolare nella storia del paese e nella memoria del popolo.




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