FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 21
gennaio/marzo 2011

Futuro

 

VITA E OPERE DI UN EREMITA INCOMPRESO
Un nuovo libro su Giorgio Vigolo

di Oscar Palamenga



Nell’ottobre del 2010 la casa editrice Fermenti ha pubblicato un importante saggio su Giorgio Vigolo a cura di Magda Vigilante. Il libro, L’eremita di Roma, vuole essere soprattutto una monografia sullo scrittore romano, di cui valorizza esclusivamente la scrittura creativa. Tutti infatti conoscono Vigolo in quanto commentatore del Belli, traduttore di Hölderlin, critico musicale.
Al contrario fino a oggi mancava un tentativo di critica organica delle sue opere letterarie, dalle poesie ai racconti, che conseguentemente non sono mai state pienamente apprezzate dai contemporanei.

Magda Vigilante, oltre ad essere una collaboratrice di questa rivista (su cui, nel numero 5, ha parlato proprio di Vigolo), è responsabile dell’archivio Giorgio Vigolo presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Avendo ordinato e catalogato tale archivio non ha potuto non interessarsi a Vigolo in maniera più approfondita e, con occhio esperto, ci ha introdotto nel mondo poetico del romano. Un mondo poetico che ben combaciava con la sua biografia d’intellettuale schivo e isolato, amante di Roma e delle sue rovine, un flaneur disincantato che percorreva le strade della sua città come un esploratore solitario alla ricerca di risposte.
Così dalla sua biografia veniamo a sapere dell’ambiente familiare in cui il poeta è cresciuto, sulla sua famiglia di melomani, sul padre vicentino innamorato di Roma, sull’amicizia tra Vigolo e Arturo Onofri. Scopriamo che Vigolo passò indenne la prima guerra mondiale, fu indifferente al fascismo, lavorò per vent’anni al ministero della marina. Ma soprattutto scopriamo il suo percorso poetico, l’evoluzione delle sue raccolte e del suo pensiero che si distingue in almeno tre fasi.

La prima fase, quella delle raccolte Canto fermo e Linea della vita, e dei racconti de La città dell’anima. In cui predomina la ricerca di un’altra realtà al di fuori di quella presente. Prevale il barocco, specie nelle descrizioni di Roma, e la sua realtà interiore conduce a un nuovo e ignorato mondo. Prevale il gusto per il viaggio nel tempo, viaggio della mente nella Roma rinascimentale, alla ricerca di un’altra realtà, di un mondo nuovo che possa soddisfare l’animo del poeta.

Poi c’è la seconda fase, in cui Vigolo evidenzia il passaggio dal mondo esterno a quello interiore come caratteristico dell’atto poetico. Il poeta raggiunge una calma soprannaturale, la piena consapevolezza di sé (come avrebbe detto Jung). È ovvio che tra la prima e la seconda fase vigoliana c’è di mezzo la guerra, e la susseguente consuetudine con la morte. Diviene normale quindi per il poeta abbandonare la poesia metafisica e trarre spunto dalla vita stessa, tentando di reperire un significato nella sorte difficile e oppressiva. Ne scaturisce la “linea della vita”, dove è Vigolo stesso a definirsi eremita di Roma.
Permane anche in questa seconda fase il gusto per il viaggio nel tempo, per il ritorno al passato in una Roma magica e misteriosa. Nella raccolta di racconti Le notti romane troviamo alcune gemme sull’argomento. Ad esempio la novella “Avventura a Campo de’fiori”, nella quale, dopo un lungo preambolo in cui Vigolo descrive il mercato dei libri che si svolge proprio a Campo de’fiori, si passa ad un’atmosfera magico onirica con la scoperta di un quartiere nascosto e sconosciuto di Roma. È la stessa atmosfera che, qualche anno dopo, evocherà Giuseppe D’Agata nel famoso sceneggiato Rai Il segno del comando. E sarebbe interessante indagare se i due scrittori abbiano avuto in quegli anni proficui contatti.
Anche La Virgilia, il suo unico grande romanzo, pubblicato tardivamente nel 1982 ma scritto negli anni trenta, risente dello stesso clima. È sempre una Roma magica e misteriosa a fare da sfondo alla vicenda narrata. Siamo sempre tra sogno e realtà, tra fantasmi e persone reali, tra vita e immaginazione, in cui il confine diventa sempre più labile.

La terza ed ultima fase della poesia di Vigolo si ha con la raccolta La fame negli occhi del 1982, poco prima della sua morte. È la fase del cosiddetto ritorno all’infanzia, di colui che riesce a guardare con occhio puro e attento la realtà quotidiana:

L’infanzia costituisce la fase creativa per eccellenza, un tempo mitico in cui l’immaginazione è ancora libera, non soffocata come in seguito avverrà, dalle varie convenzioni sociali che imprigionano l’individuo nell’età adulta.
(pag. 95)
È un consapevole viaggio verso l’origine accompagnato da oscuri presagi che gli impediscono, a distanza di decenni, di rivivere felicemente l’infanzia al di fuori delle frustrazioni sperimentate da adulto.
Nella sua ultima raccolta pubblicata in vita, appunto La fame negli occhi, compare anche una poesia su Maria Berardinelli, la fedele governante dei suoi ultimi giorni a cui Vigolo lascerà tutto, che mitigherà in qualche modo l’estrema tristezza del poeta.

Nell’ultima parte del saggio Magda Vigilante include una ragionata lista delle opere pubblicate da Vigolo, nonché una breve antologia della critica che si spera serva da sprone ad altri studiosi interessati a rivalutare una figura sottovalutata, come quella di Giorgio Vigolo.


Magda Vigilante, L’eremita di Roma - Vita e opere di Giorgio Vigolo, Fermenti, Roma 2010, pp. 172, euro 16.


o.palamenga@tin.it