FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 18
aprile/giugno 2010

Aquiloni

 

LA POESIA DI RICARDO VIRTANEN

di Alessio Brandolini



Tradurre haiku e tanka è la cosa più difficile che possa capitare. Ho fatto questo tentativo dopo aver letto il libro dello spagnolo Ricardo Virtanen (Madrid, 1964) che s’intitola La sed provocadora (pubblicato a Madrid nel 2006, e che ho tradotto, per “motivi metrici”, La sete seducente). Difficile perché non si tratta soltanto di rispettare le rigide sillabe della composizione metrica dei testi (5/7/5 del haiku e 5/7/5/7/7 del tanka; l’haiku deriva dal tanka, come un testo più breve e concentrato), ma, ovviamente, anche il significato, difficile da afferrare in pieno visto proprio lo scarso numero di versi e di sillabe, la contrazione lessicale, la mancanza di nessi tra un verso e l’altro che genera quel vuoto (lo spazio metafisico) che il lettore deve riempire con le proprie suggestioni, la propria immaginazione, come se fosse una poesia “aperta” al contributo di chi legge.
A questo va aggiunto il fatto che per tradizione gli haiku e i tanka non hanno titolo, che spesso aiuta, dà una certa indicazione, apre una porta, avvia un percorso all’interno dell’opera. Questo tipo di poesia – tanto rigida nella forma quanto elastica nei significati – è in ogni caso sempre legata alla natura, alle stagioni che scorrono, alla morte e all’essenza delle cose e tende a una sintesi di pensiero o, meglio ancora, traccia pensieri racchiusi in una o in poche immagini essenziali e suggestive, spesso rarefatte ed evanescenti.
Allora, proprio in base a questi stabili principi, si può tradurre provando ad avvicinarsi il più possibile al testo originale, seguendo l’insegnamento del grande maestro Bashô che invitava a non seguire le impronte degli insegnanti, ma a “cercare quello che loro cercarono”.

Nella sintesi poetica di haiku e tanka Ricardo Virtanen cerca una musicalità sincopata, una dolcezza aspra e nella natura coglie aspetti spesso in contrasto tra loro: nella notte il giorno; nel dolce suono delle campane il dubbio religioso e metafisico; la solitudine terrestre che si staglia sotto la pallida bellezza lunare. Meglio non aggiungere molto di più sulla poesia di Virtanen, proprio per non riempire quel vuoto (sacro e assoluto) che ogni buon haiku o tanka deve contenere per poi trasmetterlo al lettore. Aggiungo soltanto che La sete seducente raccoglie 48 haiku (divisi in due sezioni) e 6 tanka che, allungando il passo e il respiro, chiudono il libro e riconducono all’iniziale malinconia (“La neve incendia / il viso antico e chiaro / della mia malinconia).

Chiudono la silloge “Poesie brevi”, qui sotto proposta, quattro testi della raccolta inedita Epitafios, a dimostrazione che la misura contenuta ed essenziale corrisponde, a livello metrico, a un’intima esigenza compositiva del poeta madrileno, non si tratta, quindi, soltanto di ammirazione e vicinanza alla poesia orientale unita al profondo amore per la natura. Anche nella raccolta che di un anno precede La sed provocadora e che s’intitola Notas a pie de página (2005) la misura di Virtanen è sempre molto contenuta, infatti le poesie non superano mai i cinque versi e la raccolta ha per sottotitolo “99 poemas breves”.
Però in questi nuovi e notevoli testi della raccolta Epitafios ci s’imbatte in uno sguardo diverso sulle cose, talvolta un livore espressivo collegato ai nostri tempi, all’anima e al mondo europeo: l’occhio del poeta, spostandosi verso occidente, penetra nei labirinti e nelle ombre dell’uomo moderno, nella nostra Storia piena di lutti, di ferite. Non a caso l’epitaffio era composto nell’antica Grecia per commemorare i defunti, a partire da quello famoso di Pericle, dedicato ai caduti della guerra del Peloponneso.




RICARDO VIRTANEN
Poesie brevi



I testi sono tratti da La sed provocadora (Haikus y tankas), Colección Las patitas de la sombra, Madrid, 2006, tranne gli ultimi quattro (segnalati), che sono inediti e selezionati dall’autore per questa silloge.


*

Cada verano
mi corazón persigue
noches sin días.


*

Ciascuna estate
il mio cuore persegue
notti senza giorni.


*

Todo está húmedo
bajo la luz de luna.
Siempre estás solo.


*

Tutto è umido
nella luce lunare.
Sempre sei solo.


*

Anuncian algo
campanas de la plaza
¡Ríes incrédulo!


*

Campane in piazza
annunciano qualcosa.
Scettico ridi!


*

Roe la roca
de mi melancolía
un viento suave.


*

Rode la roccia
della mia malinconia
un vento dolce.


*

A la deriva
va cada pensamiento
que hay en tu muerte.


*

Alla deriva
se ne va ogni pensiero
della tua morte.


*

En esa sombra
que te tiende la noche
está tu día.


*

Nel cono d’ombra
che la notte ti dona
trovi il tuo giorno.


*

Te queda acaso
la sed provocadora
de tus ausencias.


*

Resta per caso
la sete seducente
delle tue assenze.


*

Mira la lluvia,
moja la misma siembra.
Tu dolor tiene
la sombra de las horas
contadas por tu mano.


*

Guarda la pioggia,
bagna la stessa semina.
Il tuo dolore
ha l’ombra dei minuti
contati dalla mano.


*

Estoy en ti
porque el tiempo es finito.
Cierras los ojos;
verás acaso todo
lo que mi ausencia toca.


*

Sto dentro te
perché il tempo è finito.
Richiudi gli occhi;
forse scorgerai tutto
quel che l’assenza sfiora.


*

No te engañe la bilis del mendigo.
No la dudosa afrenta del templado,
su usura, su pudor.
No veas en mi sed la transparencia,
el vilo, la premura que sabe a tierra y humo.
Espera en mí la música
de la costumbre.
Soy, caminante, la última razón
de tu olvido, si sabes contener
la memoria, su eterno privilegio.

(inédito)


*

Non ti inganni la rabbia del mendicante.
Non l’indeciso affronto del moderato,
la sua usura, il suo pudore.
Non vedere nella mia sete la trasparenza,
l’inquietudine, la premura che sa di terra e fumo.
Attende in me la musica
dell’abitudine.
Sono, viandante, l’ultima ragione
del tuo oblio, se sai contenere
la memoria, il suo eterno privilegio.

(inedito)


*

Estoy en soledad, ausente. Estoy
en la plegaria rota del lamento.
Mírame alzado. Soy vértigo y arte
de la luz, sin recuerdo ni recodos,
ni acaso pensamiento, ni saberes,
ni dogmas que culminan lo sereno.

Juego a la soledad, juego al olvido.
De igual amor, de igual ventura vengo.
Qué cristaliza en mí que me hizo instante.

(inédito)


*

Sono in solitudine, assente. Sono
nella supplica spezzata del lamento.
Guardami alzato. Sono vertigine e arte
della luce, senza ricordo né svolte,
forse neanche pensiero, né sapere,
né dogmi che culminano il sereno.

Gioco alla solitudine, gioco all’oblio.
Dallo stesso amore, dalla stessa sorte vengo.
Quello che in me cristallizza mi ha fatto istante.

(inedito)


*

Ciprés de la envoltura de los días
y los meses. Ciprés alto, cuerdo,
que no niegas la paz de mi sorpresa.
Ciprés de los venenos, la canícula
y el clima de un destello
de mudanzas de quien libra batallas,
y regresa cansado
al huerto de mi sed, y me acompaña
como un río sin norte
en esta vasta desaparición.

(inédito)


*

Cipresso dell’involucro dei giorni
e dei mesi. Cipresso alto, saggio,
che non neghi la pace del mio stupore.
Cipresso dei veleni, della calura
e del clima di un bagliore
di mutamenti di chi fa battaglie,
e torna stanco
all’orto della mia sete, e mi accompagna
come un fiume senza nord
in questa vasta sparizione.

(inedito)


*

En la piedra reafirmo la conciencia.
Una conciencia del dolor, del límite,
del señuelo elevado en nuestra espalda
donde el sol no hace sombra ni protege.

Maldigo el vértigo y la sed. Contemplo
-y ya no puedo más-
la pureza precaria de los símbolos
perpetuados a estancias y ceniza.

(inédito)


*

Nella pietra riaffermo la coscienza.
Una coscienza del dolore, del limite,
del richiamo sollevato sulle nostre spalle
dove il sole non fa ombra né protegge.

Maledico la vertigine e la sete. Contemplo
- e già più non posso –
la precaria purezza dei simboli
perpetuati a soggiorni e cenere.

(inedito)





Ricardo Virtanen
è nato a Madrid, dove vive, nel 1964. Professore, musicista, poeta, traduttore e critico letterario. Ha pubblicato numerosi studi critici e come poeta: Notas pie de página (2005), La sed provocadora (2006). Suoi testi poetici sono stati inclusi in diverse antologie spagnole.




INTERVISTA A RICARDO VIRTANEN



Nei libri che hai pubblicato fino ad ora, così come nella raccolta inedita Epitafios, mantieni sempre una misura compositiva breve e compatta, e non soltanto quando scrivi haiku e tanka. Come se la tua poesia fosse sempre alla ricerca di una sintesi perfetta, di una concentrazione in versi di idee e sentimenti.

In effetti c’è una tappa nella mia poesia, che va dal 1997 al 2008, in cui sviluppo la poesia breve in modo cosciente e seguendo due chiare direzioni: la poesia orientale e quella filosofica. La brevità e l’essenzialità dell’haiku e del tanka giapponesi e la poesia essenziale e concettuale della filosofia presocratica.
In ogni modo, il mio intento poetico è quello di mettere insieme entrambe le tradizioni. In tal senso si può fare riferimento a Heráclito y Oriente, de Shri Aurobindo.
Mi interessa anche la poesia aforistica. Ho scritto due libri di aforismi, che sono in corso di pubblicazione: La idea en el hecho e La realidad frotada. Di quest’ultimo ho pubblicato, nel 2006, il capitolo Pompas y circunstancias.
Per portare avanti questa linea meditativa, essenziale e aforistica, ho dovuto sviluppare, come tu scrivi, una misura molto compatta e ben regolata, e non solo per quel che concerne la metrica, ma anche la tematica e l’idea stessa di poesia – per espressa influenza orientale – che qui è molto concentrata, contrariamente alla tradizione della poesia breve spagnola.

Nel tuo libro La sed provocadora è costantemente presente un forte senso della natura, molto vicino allo stile della poesia orientale, e non è un caso che i testi che compongono il libro siano esclusivamente haiku e tanka, però quasi sempre c’è una zona buia, come un’ombra che improvvisamente oscura la luce e la bellezza del paesaggio, un contrasto finale che spiazza il lettore: nei tuoi versi, Ricardo, la natura non è soltanto armonia e felicità!

Sì, è così.
La natura è lo specchio nel quale si riflettono la mia filosofia di vita e la mia estetica letteraria. Essa si trova sempre alla base dei miei testi, che poi però si estendono in una forma molto plastica e simbolica. Logicamente dietro c’è tutta un’esperienza personale che incide sulla lotta dei contrari di Eraclito che, come osserviamo nella natura, non è affatto piacevole.
La mia poesia sviluppa quello che ho chiamato una “logica della desolazione”, nella quale predomina l’elegia su una poesia più celebrativa o lirica.

Nella tua poesia emerge, intensamente, una musicalità molto curata ed elegante; una musicalità che scorre di testo in testo cambiando suono e timbro, e c’è anche una particolare attenzione al ritmo, alla chiusura, spesso brusca, del testo: è qualcosa che si relaziona al fatto che sei, allo stesso tempo, poeta e musicista?

Ci sono straordinari poeti nella storia della poesia che non erano affatto musicisti, e così accade nella nostra contemporaneità. Però è chiaro che un poeta deve essere “musicale”, altrimenti poi la sua poesia sarà priva di “effetti ritmici” e lo giudicheremo un poeta “senza orecchio”, ovvero, un pessimo poeta. Per me anche il verso brevissimo deve essere musicale. Ora, per quel che riguarda la mia persona, è certamente possibile che l’essere musicista, e ancor più batterista e percussionista, eserciti una chiara influenza sulla mia letteratura, e non solo sulla poesia, che per sua natura deve essere ritmica e precisa, ma anche nei miei scritti in prosa. Sono uno scrittore molto lirico e batto il tempo quando scrivo.
Una professoressa statunitense, Elsy Cardona, ha appena pubblicato un articolo sui miei haiku e li contrappone alla musica jazz. Lei parla dei multipli ricorsi musicali della mia poesia, come la sincope, il glissando, modelli ritmici o armonia musicale. In definitiva: è qualcosa che, benché io mi sforzi in questo, deve essere la critica a dire se riesco bene.

Nel tuo libro inedito Epitafios ci si imbatte in una libertà di composizione maggiore che nei libri precedenti e, allo stesso tempo, in un’analisi diversa sulle cose e sulla storia, una fusione di poesia attenta al passato - che va a recuperare toni, accenti e forme metriche della poesia greca e romana - e un affilato esame introspettivo, con uno sguardo obliquo e duro che punta dritto ai propri ricordi e agli spazi oscuri e sconosciuti dell’uomo contemporaneo e globalizzato.

Lo spieghi molto bene e in poche parole.
Il mio libro di epitaffi - 63 in tutto - chiude una tappa (quella della quale stiamo parlando) di condensazione stilistica e tematica. In effetti in Epitafios la metrica è molto più complessa che nei miei libri precedenti. Cerco effetti sonori e ritmici molto complessi in poesia, da questo deriva il merito tuo di essere stato capace di tradurre alcune di queste poesie. Qui si incontrano ritmi che imitano i piedi dell’anapesto, del dattilo e dello spondeo greco. Utilizzo anche la strofa epigrammatica latina, oltre all’influenza italianizzante di mescolare versi settenari ed endecasillabi.
Per i temi trattati potremmo dire che Epitaffi è un libro di indole catartica: fa e depura i conti con la vita, con la morte dei miei genitori avvenuta più di dieci anni fa. È la ferita che finalmente si rimargina intorno a queste morti, benché il morto nel libro sia io stesso, diversificato e sotto multiple prospettive: il morto che parla al viandante, alla sua amante o a se stesso. È un libro, dunque, che riepiloga molte cose.

Qual è la linea poetica spagnola che senti più vicina alla tua ricerca? Quali gli autori, non esclusivamente di area spagnola, che preferisci?

Mi piace la poesia intelligibile, di ambito figurativo. Questo non significa che non ami o non goda leggendo poesia più ermetica.
La poesia che fino ad ora ho pubblicato rappresenta una terza tappa della mia scrittura poetica. Sono arrivato fin qui per depurazione stilistica. In questo senso, mi tentano i poeti spagnoli di ambito elegiaco e metafisico. Non parlerò di compagni poeti, coetanei in senso stretto, ma mi interessano molto le poetiche di autori come Claudio Rodríguez, il primo Valente o Francisco Brines, anche se non disdegno, nella mia poesia, l’influenza dell’arcadico Gamoneda.
Però la linea della mia poesia breve non si situa in nessuna linea spagnola. I poeti dai quali provo a tirar fuori alcune influenze e stimoli sono molti e molto diversi tra di loro. Per esempio: Quevedo, Borges, Pessoa, Pound, Quasimodo, Li Po...

Hai pubblicato poco, Ricardo, ma sappiamo che hai parecchi libri inediti di poesia. Perché? E quando sarà pubblicato in Spagna Epitafios, che già aspettiamo qui in Italia?

Ho iniziato a pubblicare poesia abbastanza tardi, nel 2005. Prima di questa data ho pubblicato libri di linguistica e studi di critica letteraria. Ci furono alcuni tentativi nella decade degli anni ottanta e novanta ma si tratta di progetti falliti. La mia poesia anteriore al 1995 (tre o quattro libri) resterà inedita.
Fra poco uscirà, come già ho detto, il mio secondo libri di haiku: Sol de hogueras (Rinascimento, 2010 – Sole di roghi), e un libro di poesie lunghe che raccoglie la mia poesia di questo genere scritta tra il 1995 e il 2005. Anche Il mio libro di epitaffi sta girando in alcuni premi letterari, che qui sono importanti per i poeti.

Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini


alexbrando@libero.it