FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 10
aprile/giugno 2008

Identità & Conflitto

ASCOLTARE
una rubrica per le orecchie

di Federico Platania


Alla ricerca dell'unico vero rock

Stabilire la vera identità del rock è una questione che affligge da sempre critici e ascoltatori. Che cos'è il rock? Da parte mia ho deciso di rispondere a questa domanda usando il metodo dell'esclusione: per me il rock è tutto ciò che non è né musica classica né jazz. Qualcuno dirà che anche la definizione di questi due macrogeneri nasconde in realtà una selva di sottoclassificazioni in cui ci si perde con facilità e che tutti i confini sono quanto mai confusi. Ma credo che tra le varie anime del jazz (o della classica) ci sia molta meno differenza che tra le infinite sfaccettature del rock.
Dalla canzone d'autore al punk, dall'heavy metal all'elettronica ambient, dal rock'n'roll al folk, tutto può essere collocato in quella formidabile storia di suoni e parole che dalla metà del secolo scorso è la più popolare forma di diffusione musicale attraverso la quale gli uomini di ogni parte del mondo raccontano i loro sogni e desideri, il cambiamento dei costumi, le grandi tragedie e le vicende quotidiane.
Se la musica fosse geografia, il rock sarebbe un continente sorprendentemente vasto dove gli estremi convivrebbero: ghiacciai e atolli tropicali, foreste pluviali e deserti. Cosa accomuna, allora, gli abitanti di una regione così estesa? Dopo lunghi anni di studio antropologico (condotto anche usando me stesso come cavia, visto che in queste terre ho la cittadinanza) sono giunto alla conclusione che il comune denominatore degli abitanti del Rock sia una diffusa tendenza all'ostilità interna.



ipotesi per una mappa della musica post-postmoderna, Università di Georgetown


Insomma, mentre l'amante della classica, pur avendo, come tutti, i suoi compositori preferiti, riconosce senza problemi lo status di compositore di musica classica a chiunque rientri nel canone che si è fissato nel corso del tempo; mentre l'appassionato di jazz, pur sapendo quanti gradi di separazione esistono tra Jelly Roll Morton, Duke Ellington, Miles Davis e John Zorn, non trova nulla di scandaloso nel riunire tutti questi nomi sotto un unico cielo; ebbene, l'ascoltatore di rock è molto simile a un tifoso di calcio: i suoi beniamini sono i migliori artisti di sempre. Quanto agli altri, non solo sono delle mezze cartucce ma andrebbero radiati dalla categoria. Non è un caso del resto che il rock, a differenza del jazz e soprattutto della classica, abbia generato un merchandising di magliette, striscioni, poster e bandiere come nella migliore (e peggiore) tradizione sportiva.
Provate a chiedere agli estremisti del progressive rock, abituati a lunghe ore di virtuosismi strumentali, cosa pensano della sbrigativa energia del punk. E andate dai patiti di ballate intimiste e crepuscolari (Nick Drake, per fare un nome) e domandategli la loro opinione sulle rockstar da stadio come Madonna... Eppure tutti questi fenomeni, per chi vede questo mondo dall'esterno, sono semplicemente riconducibili all'etichetta unica "musica leggera", una definizione che invece gli indigeni del rock cercano di evitare attentamente.

Nessuno di noi sa cos'è il rock, ma tutti siamo convinti che l'unico vero rock sia quello che ascoltiamo noi e che gli altri siano degli eretici lontani dalla verità. Il sottoscritto ci ha messo anni per diventare un ascoltatore onnivoro, per rinunciare alla sua piccola cerchia di idoli e mettersi a vagabondare, traendone subito grande gusto e divertimento, lungo tutte le strade di questo infinito continente.
Eppure anche io ho combattuto le mie guerre civili. Una delle più aspre fu quella che tutti gli ascoltatori del rock si sono trovati prima o poi ad affrontare, e cioè: il vero rock è quello inglese o quello americano? Per anni non ho avuto dubbi: Gran Bretagna batteva Stati Uniti, senza partita. A chi, nelle discussioni tra appassionati, sosteneva che il rock era nato negli USA ribattevo subito che era solo in Inghilterra che avevano capito come farlo funzionare. Non capivo proprio cosa ci trovassero i miei amici nei rocker d'oltreoceano, con quegli stivali impolverati e le camicie a scacchi, mentre io pagavo il mio tributo quotidiano alla Perfida Albione mettendo sul piatto i dischi di Genesis, Cure, Beatles, Led Zeppelin, Peter Gabriel, Joy Division, Pink Floyd, Morrissey, Rolling Stones, Kate Bush, Smiths, Jethro Tull, David Bowie, Marillion e tanti altri nomi tutti rigorosamente "Made in England".

Ma le cose cambiano. Qualche giorno fa, per curiosità, sono andato a leggere le statistiche che vengono generate automaticamente da iTunes e che ti dicono quali sono gli autori che ascolti più frequentemente. Lì per lì non mi ha sorpreso ritrovare, appunto, i nomi ai quali da un bel po' di tempo a questa parte sto dedicando parte del tempo delle mie orecchie (e anche un buona quota dei miei soldi). Ebbene, i primi nomi in classifica erano: Frank Zappa, Neil Young, Tom Waits, Tori Amos, Lou Reed. Li ho guardati per qualche secondo, poi ho fatto un salto sulla sedia: tutti americani.

 

federico.platania@samuelbeckett.it