FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 5
gennaio/marzo 2007

Alterazioni climatiche

LA POESIA DI CATERINA CAMPORESI

di Alessio Brandolini


Caterina Camporesi è nata a Sogliano al Rubicone (Fc) nel 1944 e vive tra Rimini, la Garfagnana e Roma. Svolge attività di psicoterapeuta. Già condirettrice de "La Rocca poesia" e redattrice de "Le Voci della Luna", collabora a riviste con recensioni, testi poetici e saggi inerenti al rapporto tra psicoanalisi e creatività. Ha pubblicato quattro raccolte di poesia: Poesie di una psicologa (1982), Sulla porta del tempo (1996), Agli strali del silenzio (1999) e Duende (Marsilio, 2003). È presente con la silloge "La sorte risanata" nell'antologia La coda della Galassia (Edizioni Fara, 2005). Suoi testi sono stati pubblicati in antologie e riviste.

Assai parca nel pubblicare Caterina Camporesi ha elaborato una poetica di forte riflessione che si snoda in testi ridotti all'essenziale, scavati nella memoria, incisi in una sobria sensualità, in cui le suggestioni di Lorca si fondono a quelle di Celan. In Duende, l'ultimo suo libro, con il titolo che ha origine proprio da un saggio di Lorca, il discorso poetico dell'autrice si ripartisce in tre sezioni che mettono a fuoco i contenuti e le forme della sua poesia.
"Incontri" (34 testi) apre la raccolta con un inteso richiamo alla natura, con il primo verso che suona: "il vento tace frenando i silenzi", invito a una partecipazione "totale" alla vita, a un sentire dilatato e, insieme, stacco dal luogo comune. Nella seconda sezione "lo scavo" della conoscenza (Celan) va più avanti, procede per zone minate e inesplorate, che sembrano scottare sotto i piedi. Non a caso il titolo di questa parte centrale (la più articolata e fitta con i suoi 43 testi) è "Fueros" che, nel campo fisico, sono quelle "zone a densità così intensa da assorbire perfino la luce, da produrre oscurità" (come si chiarisce nelle Note finali):

    tesso con fili di pelle
    la garza che mi copre
    dalle lingue di fuoco
    dalla folate di vento

    brucio aleggiando
    tra le dita nodose

I testi qui raccolti si susseguono senza titoli, né maiuscole, né punteggiature, si salvano solo le lineette. Il linguaggio delle due sezioni resta lo stesso, cambia solo la visuale, come se lo sguardo si spostasse dall'esterno all'interno. E le parole prioritarie: fuoco (lingue di fuoco, incendio, terre di fuoco, torce), onde (acqua, laguna, gorgo, mare), notte, nuvole, anima, ghiaccio, parole, vita, morte, vento, cenere (terra, polvere)... sono sostanzialmente le stesse. Con fitti richiami tra le poesie, come a costruire un unico corpo, un flusso che man mano che procede s'intreccia e si lega a quello che è stato precedentemente detto e pensato.
In "Fueros" c'è però un'accentuazione delle rime interne, delle assonanze, dei "giochi" verbali: "trafelate fate", "rovi roventi" "stele di stelle", "voce veloce", "annidarsi e annodarsi" "ninne nanne / delle nonne nelle notti", "allucinando luci". Un lavorio tenace sulla lingua con la quale la Camporesi realizza suoni onomatopeici che allargano i significati delle parole stesse, intensificano i versi, come a voler dipingere con le parole, rendere visibile (e sonora) l'immagine pensata.

Chiude la raccolta la sezione più breve (9 poesie) "Continuiamo a fare anima", elaborazione d'un lutto, in riferimento alla morte del compagno dell'autrice. Più che un'accentuazione degli aspetti spirituali della poesia di Caterina Camporesi, già presenti nelle precedenti sezioni, qui si realizza una specie di ricapitolazione della sua stessa poesia e delle motivazioni (le urgenze) che la spingono a esprimersi in versi:

    ancora insieme spaesati
    nell'intrico di vita e morte
    (...)
    ritentiamo il prodigio dell'amore
    che trasforma in vita il nulla.

I nove testi sciolgono la tensione accumulata nella parte precedente del libro (la più corposa e vibrante) in quel continuo argomentare, in versi tersi e acuti, d'un mondo assai complesso psichico e naturale, in una identità profonda di spirito (anima) e natura che fa in mente la poesia del grande Novalis.

Quello di Caterina Camporesi è un corpo poetico suadente e dalla rara forza evocativa, fatto d'ustioni, fuochi e buchi neri. Di calce viva che chiude crepe e ferite. Di fiotti bollenti che sgorgano dalle viscere. Di quel continuo annidarsi e annodarsi in se stessa, alla vita, ai ricordi, alla forza dei sensi e del pensiero filosofico (Ingeborg Bachmann). Senza certezze assolute, né sentimentalismi perché alla quadratura del cerchio la Camporesi predilige "la sinuosità appuntita / del poligono irregolare".




POESIE DI CATERINA CAMPORESI

Da Duende (2003)


il vento tace frenando i silenzi
nella conca dell'universo
la luna s'eclissa nella sua ombra

al centro del sentiero due voci adolescenti
- in gola i cuori le mani tremanti -
parlano ai loro corpi

ritorna l'incanto le stelle
la luna il suo volto ritrova
il mondo s'inonda di nuova innocenza

    ***
si rincuorano i ricordi nei bauli
il lampo di luna li strappa dal fondo
il sole li brucia

polvere e acqua impastano cenere
tappeti di lavanda in lande sconfinate
inneggiano a bagliori di tempeste

cieli arcobaleni
aprono capriole di nuvole

    ***
tesso con fili di pelle
la garza che mi copre
dalle lingue di fuoco
dalle folate di vento

brucio aleggiando
tra le dita nodose
dell'oblunga spelonca
poi le mie zampe di capra
calcano la sponda

    ***
      a Chagall
sulla groppa fosforescente dei tuoi asini
nuotano sinuosi pettirossi
tutto si sparpaglia in meraviglia sui tetti

sorsi d'aria lievitano in lapislazzuli
zampilli di mistero intrisi di pensiero
saltellano intorno a gole di colmi vulcani

    ***
le parole che giocano
nell'orgia dei suoni
alludono eludono illudono

accompagnano l'azzardo
nel verde della vergine riserva

allorquando come ragni
lasciano alle spalle
la tela tramata
e come allodole lanciano
all'aria ali stremate

    ***
ancora insieme spaesati
nell'intrico di vita e morte

il buio penetra fantasmi
ossa assiderate invocano tepore

trafughiamo il pallore alla luna
ritentiamo il prodigio dell'amore
che trasforma in vita il nulla




Poesie indedite


nostalgie s'adagiano sui fondali di valigie
indugiano ai fianchi di punte innevate

si colorano nel cuore de los Andes
sfiorando l'abbraccio di nuvole in fuga

anonime onde concordano voci
replicano nel lampo l'irrepetibile

fulmineo parla l'eterno
frantumando oscurità

piccole fiaccole animano presenze
donano sapienza ai passi en los caminitos

straripanti visioni s'inseguono
addensandosi in sogni ed echi di favola

    ***
salescende la luna tra calli e ponti
tesse mutamenti sciogliendo giuramenti

l'universo intanto invano stupisce
serrando il male in trappole d'inganni

acque ristagnano
in strette gole piagate di silenzi

emozioni si contorcono
gemmando diamanti in assolate bocche

    ***
il cancello che non c'è
spalanca vuoti senza volti

il cancello quando c'è
accoglie ciglia pulci tra fili e ferro

corse appassionate inciampano
nei cancelli che s'inceppano

e quando si cancellano
l'anello si stringe ed entra nel tempo

    ***
più puri allora
che più duri ora

anni alleati alla ricerca
di volti altrove

quando primavere ricamano ombre
odissee sfiorano giubili

    ***
il colore dell'oblio
riempie fianchi di tempo

riveste di destino la vita
agitandola su foglie d'autunno

    ***
bufere di primavera imbiancano
rifiorite praterie

nell'eco dell'eterno ritorno
il duende agita acque di giada

    ***
quando verbi di ieri accordano
complementi di oggi

verdi vene travolgono
acque di ruscelli

sepolti suoni risalgono
in flessuosi toni

fantasmagorie danzano su creste
di ingorghi

una orchidea abbandona illusioni
per colorare di viola cieli

che si allagano
nell'accogliere le scorie della notte

    ***
il volto della terra
e il nostro

perde ogni giorno sogni
in cambio di segni

per la legge dell'entropia
prima o poi scompariranno

eternerai divina arte
sogno e segno?

    ***
strati di risoluti silenzi guadano
varchi di acque verdi

in scie di venti cavalcano nubi
catturando il sacro degli arcani

dee in semi di idee guizzano
ri-conoscendo l'antico martirio

impastano azzurro e fango
rimescolando le forme del tempo




INTERVISTA A CATERINA CAMPORESI

C'è una sezione molto intensa nella tua ultima raccolta Duende (Marsilio, 2003), intitolata "Fueros". In una nota spieghi che, nel campo psichico, i fueros sono "zone a densità così intensa da assorbire perfino la luce, da produrre oscurità". La poesia lavora al contrario? Riesce a ricavare luce dal buio?

Di sicuro la poesia, che per sua natura costeggia e corteggia l'abisso, è particolarmente idonea a catturare la verità dei fueros: nuclei primitivi che sopravvivono nell'inconscio individuale e in quello dell'umanità senza modificarsi con il trascorrere del tempo. Nel loro essere eterni, essi non sono però inerti. Infatti, costituiscono una inesauribile fonte di energia dalla quale erogano senso. Il pensiero ruota continuamente intorno ad essi con l'intento di tradurli e ritradurli ogni volta che un'epoca passa da un alfabeto all'altro. La poesia, amando il paradosso e il rischio, tenta di catturarne la luce accecante e l'eccesso doloroso di verità che essi ospitano al loro interno, utilizzando sia il pensiero conscio che quello inconscio.
Per questo la poesia, attraverso l'incessante lavoro di rielaborazione, riesce a ricavare un po' di luce da quel buio.

I tuoi testi sono per lo più brevi, così che i versi sembrano quasi distillati nel tempo e nella riflessione. Come procedi nel tuo lavoro poetico?

La mia produzione poetica si suddivide in tre fasi. La prima, manifestatasi all'improvviso nel periodo di mezza età, risponde ad un'urgente necessità interiore, non del tutto consapevole, di rendere comunicabili contenuti che da tempo mi abitavano. In questo senso essa si caratterizza per la spontaneità e l'immediatezza.
La seconda fase, seguita dopo un lungo silenzio, mette in prima piano gli aspetti formali del testo poetico, anche se il contenuto rimane sempre importante.
La terza, quella che sto vivendo, ha a che fare con la ricerca tanto di contenuti quanto di forme ed è aperta a tutto. Da questa apertura all'ignoto nasce l'esigenza di sostare a lungo sui testi, di riscriverli più volte, anche a distanza di tempo, per dare la possibilità al materiale di rivelarsi.

Nella tua raccolta fai alcuni nomi di poeti, per esempio Lorca e la Brontë, e poi Celan che sembra prevalere, nella valenza sapienziale ed essenziale dei tuoi testi. Quali sono i tuoi riferimenti poetici?

Non sono stata una perspicace lettrice di poesia negli anni che di solito caratterizzano la formazione. Non sono andata oltre ai classici proposti dalla scuola, fra i quali: Dante, Leopardi, Foscolo, Carducci, Pascoli, Montale, Quasimodo, Ungaretti. Poi, una volta che il "processo creativo" si è avviato, ho cominciato a leggere un po' di tutto.
Mi sono riconosciuta nella corrente europea e russa che oltre a Celan, annovera Milosz, Herbert, Brodsky per la fiducia che hanno mantenuto nei confronti dell'arte, della bellezza e della pietas, e questo nonostante i tempi bui nei quali hanno vissuto.
Ora sono coinvolta nella lettura di autori dell'area dell'America latina, in particolare della Bolivia, e dei contemporanei dell'Italia, compreso i giovani. Leggo anche molta saggistica (psicoanalisi, filosofia e scienza), senza tralasciare il romanzo.

Duende si apre con il verso "il vento tace frenando i silenzi". È un invito a scoprire la voce (o le voci) del mondo tacendo, allontanandosi dal chiasso e dalla frenesia, dall' "orgia dei suoni"?

Mi riferisco al silenzio dell'universo, che si fa assoluto, devoto, quasi religioso per partecipare alla magia e al mistero dell'incontro che si realizza tra due esseri umani quando si aprono alla sacralità dell'amore. Il silenzio poi si scioglie alla fine dell'incontro e tutto ritorna a muoversi: stelle, luna, vento ed ogni altro elemento con una energia nuova e una nuova innocenza.

Nei tuoi testi inediti che fanno parte della silloge qui proposta c'è un esplicito richiamo alla lingua spagnola (già presente in Duende) e alla natura (il volto della terra / e il nostro // perde ogni giorno sogni / in cambio di segni), che qui sembra farsi più intenso e più aperto. Ecco, puoi di dirci qualcosa su due aspetti della tua poesia?

I riferimenti alla lingua spagnola in Duende si devono, almeno per quel che riconosco, alla necessità di esprimere alcuni contenuti con vocaboli più efficaci. Il loro utilizzo quindi è stato del tutto estemporaneo. Non così invece per i testi inediti che sono stati scritti dopo il viaggio in Bolivia. Affascinata dal paesaggio, dalla simpatia e ospitalità dei suoi abitanti, mi sono avvicinata anche alla sfera letteraria conoscendo di persona alcuni autori.
Da tempo aspettavo l'occasione di tradurre poesia elaborata in un idioma diverso dall'italiano. L'apprendimento di una nuova lingua si è rivelato un'esperienza significativa che ha comportato una specie di rinascita psicologica, dandomi l'opportunità di recuperare parte del mio passato, in particolare il mio rapporto con la natura. Durante la mia infanzia ho vissuto in un paesino dell' Appennino dove essa allestiva uno spettacolo continuo: il vento, il sole, gli alberi, i campi, le albe, i tramonti, l'orizzonte sono stati allora i miei interlocutori privilegiati.

 

alexbrando@libero.it