FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 1
gennaio/marzo 2006

Il filo spinato della memoria

PSICOLOGIA E POESIA

di Caterina Camporesi


Le parole che sorgono sanno di noi ciò
che noi ignoriamo di loro

René Char

Esiste un particolare legame tra la psicologia, che è una scienza che analizza l'attività umana, e la poesia che n'è una delle più alte ed efficaci espressioni. È stato Freud il primo ad utilizzare un metodo scientifico per entrare nel funzionamento dei processi creativi. Arte e scienza sono entrambe impegnate ad intuire, e a conoscere, l'essenza del mondo e le sue leggi. Anche arte e nevrosi hanno qualcosa in comune: entrambe attingono energia dall'inconscio, luogo dove non esiste ancora la distinzione tra reale e fantastico. Questa dualità segna tanto il percorso psichico del nevrotico quanto quello dell'artista. A differenziare poi sono i processi di trasformazione: in un caso si ha il sintomo, (disturbo senza senso e per di più anche fastidioso) nell'altro l'opera d'arte (simbolo vero di qualcosa di misterioso e sicuramente più appagante). Essere poeta significa, soprattutto, fare risuonare dietro le parole la parola primordiale, rianimata dal processo creativo. La poesia, ha la possibilità, come l'inconscio, di "dire" l'"indicibile". Poco o niente, invece, la psicologia può dire sull'essenza della poesia, che compete alla sfera dell'estetico-artistico. Tuttavia, spesso essa si è lasciata tentare nel rintracciare nell'opera, i complessi personali dell'autore. Con la consapevolezza, tuttavia, che l'opera d'arte, non essendo una nevrosi, si realizza quanto più si allontana dal dato biografico. Giustamente Jung afferma che "la causalità personale ha con l'opera d'arte la medesima relazione che ha il terreno con la pianta che gli cresce sopra". Solo immergendosi nella mitologia inconscia il poeta raggiunge una pienezza di senso che va oltre la singolarità sino a coinvolgere l'intera umanità. Allorquando l'inconscio diventa esperienza, sposandosi con la coscienza del tempo, l'atto creativo rivela qualcosa dell'epoca nella quale si manifesta. Aperto alle forze dell'inconscio, il poeta, per essere in grado di accedere al simbolico, deve in un primo tempo separare il reale dal fantastico. Il lavoro della trasformazione, che porta al simbolo, avviene nel preconscio, luogo di passaggio fra l'inconscio e il conscio. Il preconscio conserva i contenuti inconsci, e il linguaggio, che lì staziona e attende, sa e non sa. Per potersi enunciare nella forma accettata si avvale delle funzioni del processo secondario, che trasforma i contenuti inconsci in parole. Il preconscio è un commutatore psichico che conserva le tracce delle sue prime esperienze costitutive. Esso è il luogo delle iscrizioni del linguaggio. Ogni parola che nasce è un'apertura all'ignoto. La scrittura mette in scena il noto e l'ignoto.
La creazione si realizza, quando una parte del non detto comincia ad emergere. Così, s'inventa il proprio passato nel racconto, coprendo e rivelando. Il lavoro creativo mobilizza una violenza che a suo tempo non ha trovato parole per essere detta. La poesia rispetta la grammatica dell'inconscio: nello spazio creativo esperienze, ancora balbettanti, si possono articolare sino a diventare comunicazione. L'opera d'arte rappresenta la forma più elevata dell'esigenza di trasformare. Come dice Baudelaire: il poeta come il danzatore deve spezzarsi "mille volte in segreto le ossa prima di presentarsi in pubblico".

 

camporesicaterina@interfree.it>