FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 13
gennaio/marzo 2009

Nutrimenti

NUTRIRE LA POESIA
I poeti del Merendacolo

di Vera Lúcia de Oliveira



Nel ricco panorama letterario italiano, ci sono diversi gruppi e circoli di poesia che coltivano l’arte della parola con impegno ma anche con la necessaria ironia, ben sapendo che tanti sono i poeti della domenica che si accontenterebbero di vedere il proprio nome stampato solo per il gusto di stupire qualche parente o vicino di casa.
Fra i vari gruppi seri e impegnati, vorrei parlare di uno che conosco in prima persona, nato a Perugia a metà degli anni ottanta, quando una comitiva di amici e conoscenti si riuniva una volta alla settimana per il semplice piacere di leggere e conoscere la poesia dei grandi autori del Novecento. Il nome che si sono scelti, “Il Merendacolo”, rivela già molto sui partecipanti: visto che “non erano degni” di un Cenacolo (a dire il vero neppure desiderano esserlo) si sono ironicamente coniati un epiteto appropriato per descrivere e definire il convivio di amici con la passione comune per la poesia.

Si incontravano ogni martedì pomeriggio a casa di Ilde Arcelli, la quale affermava che, prima di affrontare qualsiasi argomento impegnativo per lo spirito, bisogna rifocillare il corpo. E giù crostate e biscotti fatti in casa da Ilde, il che permetteva al gruppo - bisogna pur ammetterlo - di passare interi pomeriggi e sere su libri densi e spessi di alcuni dei più importanti poeti e critici italiani e stranieri, riproposti di volta in volta da uno dei partecipanti al convivio.
Così sono passate settimane e anni che hanno fecondato e arricchito la poesia di Maria Liscio, Walter Cremonte, Ilde Arcelli (oltre ai biscotti e alla crostate, sfornava anche versi di grande densità), Brunella Bruschi, Gladys Basagoitia Dazza, Antonella Giacon, Michelangelo Pascale, Paolo Ottaviani, Anna Maria Trepaoli, Vittoria Bartolucci, Antonio Vincenti, Silvia Vecchini, Marta Penchini e tanti altri ancora che poi, per un motivo o per l’altro, sono andati via da Perugia, nonché della sottoscritta, invitata a far parte del “Merendacolo” nel 1987, ossia poco dopo essere arrivata in Italia.

Una caratteristica del gruppo, e forse la sua forza, è la capacità di accogliere e in qualche modo di assimilare al suo interno persone dalle più diverse esperienze e provenienze, italiani e stranieri, senza distinzioni di alcun genere, per cui accanto a docenti universitari, ci sono professori in pensione, dottorandi alle prese con concorsi universitari, studenti alla ricerca del primo lavoro, tutti uniti dall’amore per la poesia e dalla consapevolezza che non bisogna arrendersi all’omologazione generale di atti, sentimenti, pensieri.
Questi poeti, con le poche forze che avevano, ma con tanta voglia di un contatto diretto con la poesia, contatto a volte raro e difficile soprattutto per i più giovani, hanno invitato a Perugia buona parte dei poeti italiani contemporanei. Con l’appoggio e l’incentivo del Comune di Perugia, hanno organizzato conferenze, recital, interviste e seminari a Palazzo dei Priori, il salone nobile della città, sede storica di avvenimenti importanti per i perugini. Ci sono stati incontri memorabili, come quello con Mario Luzi, uno degli ultimi ai quali ha partecipato il grande poeta, o quello struggente con Franco Scataglini, pochi mesi prima della sua morte improvvisa, in cui il poeta – quasi come se presentisse qualcosa di incombente – ha parlato a lungo del senso della sua vita e della visione della morte. E ce ne sono stati tanti altri, come quelle con Valerio Magrelli, Giovanni Giudici, Luciano Erba, Attilio Bertolucci, Dario Bellezza, Maria Luisa Spaziani, Vivian Lamarque, Piero Bigongiari, Maurizio Cucchi, Andrea Zanzotto. In tutto sono circa novanta incontri con alcuni dei più rappresentativi personaggi della poesia italiana.
I risultati si sono visti in tanti anni di attività del gruppo, nella pubblicazione di interviste fatte ai poeti in diverse riviste, anche straniere, in varie raccolte personali dei partecipanti al gruppo e in due antologie degli autori del “Merendacolo” che danno il segno di questo dialogo proficuo con il proprio tempo, nonché dall’assiduità con la quale tanti lettori a Perugia erano soliti aspettare e frequentare gli incontri pubblici con la grande poesia, che - per una volta - non restava chiusa negli scrigni dei libri o dei convegni per soli iniziati.

Presenteremo ai lettori di "Fili d’aquilone" alcuni di questi poeti, due autori per ogni numero, e inizieremo proprio da Ilde Arcelli, perugina verace, e da Antonella Giacon, veneta radicata da anni a Perugia. Come introduzione alle poesie, ho chiesto a ogni poeta di auto-presentarsi, possibilmente con un testo che sia anche una dichiarazione di poetica, accompagnato da selezione di poesie edite e inedite. Per chi desiderasse conoscere meglio le attività del gruppo, indico il sito
http://xoomer.alice.it/cmaccher/web_merendacolo.




POESIE DI ILDE ARCELLI


IL CORO

presto, ogni  domenica  mattina
badanti  dell’Est  in  libera  uscita
cantano  struggenti  cori  nel  giardino
sotto  casa: diventa  sacro  il  luogo
per  quel  senso  accorato  di mancanza

il  suono  trapassa  come  lama
s’accende  il  sogno,  sono  con  loro  
in  quella  bolla  di  nostalgia, 
distinguere  le  varie  voci  è  tardiva  
grazia  per  chi  non  sa  mettere
insieme  nemmeno  due  note

(inedito)


MENTE CORSARA

bianche  ossa  spolpate  dal  sole
si  svegliano  spesso  di  notte
nell’estate  più  calda
entrano  piano  negl’incubi
di  chi  cerca  ancora  l’amore
poi  come  sempre  si  apre
la  scatola  nera  di  strade
lontane:

allora  la  mente  corsara,
schiava  del  prima, del  dopo,
si  perde  nel  lento  sbocciare 
del  giorno  mentre  una  gazza
macchia  la  siepe  di  bianco
e  la  fervida  quiete  prepara
segrete  scritture  di  senso

(inedito)


L’ASSENZA

multiforme  l’assenza  dona
incertezze, si scava  vuoti
di  senso, moltiplica  falsi
legami, corre, dio, come corre
la  gente  verso  la  galaverna
che  brucia  col  gelo  la  terra

eppure  è  qui  il  nostro  posto
- ieri  un  amico  mi  ha  detto -
il  mondo  ha  tanto  bisogno
dei  resistenti  dell’anima

(inedito)


IL SUONO

Ecco il suono
  (se lo prendi sei brava)
nella sera spezzata:
un’eco di treno, chissà dove fuggito,
nel folto il fischio d’un merlo
  (hic et nunc)
Quel suo presentarsi
in continue alternanze
in incognito, quasi, 
è l’insidia sfuggente del transito
tra il qui e l’adesso,
è traccia d’istanti perduti
che esita, ansiosa, negli occhi
        (le fronde/che folto; l’aria/che vuoto)
Il fischio del merlo – già storia passata -
è punto d’incontro
per chiudere il gioco, saldare lo iato

          Ma consola più a lungo
          la guancia di giugno

(da Postille al necessario, 1988)


SERA DI MAGGIO

Chi  questa  sera  non  sa
che  canta  barcarole  alla  notte
degli  occhi  di  donne in  amore,
chi  questa  sera  non  sa
non  potrà  mai  scoprire  il  non  detto
né  vivere  feste  dentro  un  bicchiere
Posseggo  di  te  solo  il  sorriso
ma  s’apre  la  terra  alle  mani
che  frugano  il  seme  della  tua  eternità
         (essenza  del  bello, muta  parola
         che  nasce  da  un’onda
         nascosta  tra  i  ciottoli  duri)

Ci  sono  persone  fedeli  a  quell’onda
anche  quando  la  pioggia  del  tempo
dilava  le  cose  e  si  sa
che  c’è  sempre  per  tutti  una  fossa
disposta  in  fondo  alla via 
         (obliqui  guardando  gli  olivi
         ci  lasciano  andare)
Vorrei  fare  silenzio  con  gli  altri
ma  chi  questa  sera  conosce  deve  parlare
seguendo  il  binario/pensiero
al  di  là  del  finito  e  vede  la  notte
durare  nei  giorni, l’eterno
nei  fiori  di  maggio

(da Postille al necessario, 1988)


IL PUNTO A ROVESCIO

Io vivere vorrei addormentato
entro il dolce rumore della vita

Sandro Penna           

Per oggi mi pare che tutto in casa
sia a posto: con la mia ombra
dentro l’armadio
infilo le scarpe le cose
il maglione insieme
all’assurdo del fare e disfare
libera adesso per i miei panni
segreti – per tessere
il punto a rovescio
(in tasca solo uno sguardo scambiato)
Mi aiuta il ragnetto sul muro
a ricordare
che anche si può camminare
restando attaccati – la testa
all’ingiù e la pancia alle stelle:
       le idee di sicuro ruotano meglio
       così - e vuoi mettere poi
       che non si vede il piatto
       orizzonte ma le altane le guglie
       i tetti rossastri
       i traffici umani lontani
- piccoli - strani
e la tua testa quasi d’argento
girarsi a mordermi il collo
anche quassù - sul firmamento
           mio altrove mia erba
           mio bianco momento

(da La casa di Lide, 1990)


    *
La  figlia  s’è  decisa,
getta  via l’abito  bianco lungo
della  prima Comunione
che  ingombra l’armadio
- mi dice -
c’è  così  poco  spazio
e  poi  che  vuoi  che  sia
se  nella  pattumiera  galleggia
un  silenzio  di  carta
come  un  respiro
con  quella  coroncina  a  pezzi
della  tua  nostalgia
una  roba  di  fiori  finti
così  retrò – via
non  litighiamo  per  tanto  poco

(da Fedeltà del sogno, 1994)


    *
E se una voce
nel perimetro verde del prato
via se la porta il vento
se una cicala tace di colpo
col solleone - allora
il silenzio delle cose si fa vivo
nelle fessure un’ansia
come di quiete
un appetito strano
di fine - in piena estate
il brivido del disamore imploso
che ingoia tutto
- piano - rubando ostaggi
neri alla terra.
        Dimmi ti prego dunque
        qualcosa – questa pace
        finta d’acquario come assorda

(da Fedeltà del sogno, 1994)


ALBA METROPOLITANA

S’impoverisce l’alba tra i colori
metropolitani - torna scoperto
il nervo del rumore
e si fa vivo il sogno di sapere
come a quest’ora canti
il vento tra i canneti
o sulle acque variamente increspate:
gente lontana adesso
sale/scende dal mare -
unico il gesto
avvezzo ai grandi spazi
ma il cielo a riva conta poco
anche se pallida salpa la luna
dall’immenso. Qui lunghi occhi
sull’asfalto corrotto
dissonante - ti volti e già taglia
la faccia il nuovo giorno
- la sua arroganza appesa
alle réclame, all’urto dell’assedio:
          sfatto geme dentro ogni esilio
          si compone in pietra

(da Ogni esilio, 1999)


GOLGOTA

Sbadiglia  una  linea  tremante
all’orizzonte – per  ore  la  si  può  fissare,
restare  immoti  a  sentire  fiati  lontani,
fiati  fratelli; si può riposare per anni
in  una  scatola  e  non  chinare il capo
e  dopo  la  neve  seppellire
tutti i passeri morti nel cuore

Ma  sulla  soglia  ombre  umane -  non vedi? -
ogni  ombra un vinto, un muto,
un disperso da  amare 
con le  mani macchiate d’inchiostro:
con infinito cuore qualcosa dunque
va detto, nel tempo della guerra  
della fame, del  Golgota nero - sono anni
che peno bocconi

(da By-pass, 2001)



ILDE TRONA ARCELLI
È nata e vive a Perugia. Si è laureata alla “Sapienza” di Roma con una tesi su Federico Garcia Lorca e ha insegnato materie letterarie. Ha pubblicato le raccolte di liriche Perplessità (Umbria Ed., 1983), D’amore e d’altro (Rebellato, 1985), Postille al necessario (Fonèma, 1988), La Casa di Lide (Fonèma, 1990), Fedeltà del sogno (Edizioni del Leone 1994), Ogni esilio (Archinto, 1999), Bay Pass (Guerra, 2001), con note introduttive di Maria Luisa Spaziani, Silvio Ramat, Dario Bellezza, Walter Cremonte, Mario Luzi, Gianni D’Elia, Franco Loi. È presente con poesie e contributi critici in antologie e riviste culturali nonché in Atti di convegni. In concorsi di poesia nazionali ha conseguito numerosi primi premi. È fondatrice e Presidente dell’Associazione Culturale “Il Merendacolo”, con sede a Perugia.




POESIE DI ANTONELLA GIACON


POETICA

La soglia dell'amore
ho traversato
e render grazie
è assai minuta cosa
non so tessere drappi
nè filare
solo con le parole
so onorare

(da Pegno d'amore, Edizioni Corsare, Perugia, 2001)


    *
Dove potrei portarti,
qui per me tutto è diverso
né un nome né una data
ho scalpellato nella roccia
un’impronta nella terra umida
o un vestito
rimasto nell’armadio
qui nessuno ci aspetta

(da Sottopressione, Fara Editore, 1994)


    *
Ho fatto delle mie fughe
una collana,
chiamandole partenze
le porto frantumate
nella bocca
son vetri e ossa
che stridono tra i denti.

(da Sottopressione, Fara Editore, 1994)


    *
Tante volte avrei potuto tornare
ma sempre c’era un ritardo
un tronco morto sui binari
il sole cocente, un brutto sogno,
una malattia, i soldi,
o la tristezza di lasciarti.
Tante volte avrei voluto tornare
prima che il cielo si facesse bianco
  e venissero ancora le piogge,
prima che il buio
mi rendesse
ancora più straniera.

(da Sottopressione, Fara Editore, 1994)


EMIGRANTES
(dalla raccolta inedita Emigrantes, 2005)

    *
C'è un carro
un cane
una strada
nelle mie ossa
cenere calda
e brace
    *
Che nel mio petto
è impresso
il violino ed il tamburo
un falò di sterpi
battito delle mani
occhi riversi
    *
Spussa de muri marsi
tocchi de ruinassi
sgnecoea na caena
basta no spuo de vento
sbate no scuro verto
come na man sul petto

dove ze che te si
mi qua te sento


    Puzza di muri marci
    pezzi di mattone rotto
    cigola una catena
    basta uno sputo di vento
    sbatte uno scuro aperto
    come una mano sul petto

    dov'è che sei
    io qui ti sento


E L'ABBANDONO

    *
è un treno
coi sedili di legno
freddo e nero
la fermata la sai
ma è solo un nome
che ti porta un deserto
di segreti
    *
La fuga
si racconta
la salita
che preme
sulle gambe
lo scivolare dei piedi
sugli appigli
ma si tace
dell'orrore
che preme
coi suoi artigli
    *
Vento e tempesta
il corpo ha spento dentro
ogni suo lume
sono i tamburi
tizzo arso e spento
sangue alla bocca
schiuma di veleno
    *
Il grido nella notte
è precipizio
di fango
gelo
stelle
    *
Come i cani lasciati in piena estate
corrono trafelati all'orizzonte
certi ritrovare uguale casa
ma delusione li chiama ad altra meta
rendendo nuova speranza
ustione a fuoco
a noi strada e buio rimane
resta il passo
    *
Voglio
che tu mi dica
se c'è ancora
lo scalino
dove mi sedevo.
C'erano incisi due segni
a croce
in angolo.
Li ho fatti
con un coccio a punta
volevo
che si vedesse
per tanto tempo.
Se tu li tocchi
ancora ti parlano.
Se tu li tocchi
se tu ci sei
vorrei sapere
    *
Da na cassea
doe te si fraccà
te serco coi dei
te catto fora
funfignà,mastrussà,
te snaso
te distiro
po te scondo de novo
no se inacorza
che imbusà
al scuro
'ncora te rancuro.


    Da un cassettino
    dove stai pigiato
    ti cerco con le dita
    ti tiro fuori
    appallottolato, spiegazzato,
    ti annuso
    ti distendo
    poi ti nascondo di nuovo
    non si accorgano
    che rintanato
    al buio
    ancora ti conservo.


(da By-pass, 2001)



ANTONELLA GIACON
È nata a Padova nel 1959 e risiede a Perugia dove lavora come insegnante e formatrice in scrittura creativa e didattica della poesia nella scuola elementare e media. È tra i soci fondatori dell'associazione poetica "Il Merendacolo". Da tredici anni tiene corsi di scrittura creativa con gruppi di bambini, adolescenti e adulti. Nel 1994 ha pubblicato il libro di poesia Sottopressione, Fara Edizioni, S. Arcangelo di Romagna. Varie sue poesie in dialetto veneto sono state pubblicate su riviste, tra le quali "Tratti" e "Diverse Lingue". Nel dicembre 2001 ha pubblicato il suo ultimo libro di poesia, Pegno d'amore, Edizioni Corsare, Perugia. Ha pubblicato con la casa editrice Effatà di Torino nel settembre del 2005 il libro Piccoli alberi,piccole albere,che propone a insegnanti della scuola primaria di primo e secondo grado un percorso integrato di scrittura creativa e danzamovimentoterapia.

 


velucia@tin.it