FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 4
ottobre/dicembre 2006

Sacro e profano

SULLA POESIA DI JOSÉ HIERRO

di Alessio Brandolini


José Hierro è un poeta spagnolo del secolo scorso, nato a Madrid nel 1922 e qui morì ottant'anni dopo, e quando questo accade la stampa del suo paese lo salutò come "l'ultimo dei poeti del siglo de oro". Dall'età di due anni visse con la sua famiglia fino all'adolescenza a Santander, in Cantabria, per poi ritornarvi da adulto, e il mare di quella città affacciata sul golfo di Biscaglia ha una grande importanza nella sua poesia: il mare come metafora dell'eternità, il mare che accoglie le sofferenze dell'uomo, le placa e restituisce la gioia di vivere, di "rinascere" al mondo ("Adesso saremo felici, quando non c'è niente da sperare").

José (detto Pepe) Hierro è abbastanza noto in Italia, presente nelle varie antologie dedicate alla poesia spagnola, a partire da quella più famosa curata da Oscar Macrì (Poesia spagnola del '900, 1ª edizione 1952), che a lui dedica pagine molto belle, eppure non si trovano traduzioni delle sue opere, ed è un peccato. Tanto più meritevole, allora, la pubblicazione delle Poesie scelte (a cura di Alessandro Ghignoli), nella collana "Poesia contemporanea" diretta da Gianfranco Lauretano della casa editrice Raffaelli, di Rimini, che propone sempre libri ben curati, sia nel contenuto che nell'aspetto estetico. Qui si trova uno spaccato del lavoro poetico di Hierro, che fu più intenso che esteso, visto che a un certo punto il poeta spagnolo decise di prendersi una pausa, che dal 1964 (anno di pubblicazione del Libro de las alucinaciones) arrivò al 1991 (in cui esce Agenda, una sorta di autoantologia, con molti testi già pubblicati).

Ventisette anni di silenzio, ma d'intensa riflessione sulla poesia e sull'uomo, che si riverserà nel suo ultimo libro Cuaderno de Nueva York, pubblicato nel 1998 (lo stesso anno in cui Hierro riceve il prestigioso "Premio Cervantes") e considerato dalla critica come una delle più alte opere della poesia contemporanea. Di questa raccolta nelle Poesie scelte c'è la traduzione del bellissimo monologo dedicato a Pound:

Dal dolore irresistibile nascono questi ultimi canti. I più intensi che mai potei sognare. Qualcuno - non so chi - li capirà. Forse T.S. Eliot li correggerà e li depurerà come io corressi i suoi primi. La gabbia. Ma dentro. Fuori scrivo gli ultimi canti che strappai alla vita. Li scrivo dentro la gabbia della mia vita. Non potrei scriverli nella mia memoria, come con un dito, sul vetro appannato dal freddo del fuori, ho bisogno di vederli, non solo ricordarli. Averli presenti davanti ai miei occhi, non come naufraghi, relitti sulla sabbia. I miei salvatori.

Le Poesie scelte prendono avvio con una selezione dai due libri che segnarono l'esordio, avvenuto nel 1947, di Hierro. Libri maturi nonostante la giovane età dell'autore, tesi e intensi: Tierra sin nosotros e Alegría, dove appaiono con evidenza i legami con la poesia di Ramón Jiménez e di Gerardo Diego, che il giovane poeta considera suo padre spirituale:

    Tocca la vita le sue palme
    e suona i suoi strumenti.
    Forse incendia la sua musica
    solo per farci dimenticare.
    Ma ci sono cose che non muoiono
    e altre che mai vissero.
    E ce ne sono che riempiono tutto
    il nostro universo.

Nella traduzione si perde la musicalità del verso di Hierro, una caratteristica decisiva del suo canto, che tende a esprimersi non solo con i versi ma anche con la "musica" generata dall'incontro di alcune parole o frasi. Netto però appare quel "doppio binario" che contraddistingue la sua poesia: quello sociale, con testi quasi narrativi, dal linguaggio chiaro (che l'autore chiamava "reportajes") e quello visionario, dove il problema esistenziale della vita e della morte è così acceso e profondo che i testi appaiono come delle "allucinazioni". Spesso però i due percorsi s'intrecciano, si fondono e l'esperienza personale, la piena partecipazione alla sofferenza dell'uomo contemporaneo, la preoccupazione per la sua patria e la sua terra, si accostano e si fondono a una forte tensione spirituale.

A questo punto però occorre spendere qualche parola sulla biografia di Hierro, che fu segnata in modo permanente dalla guerra civile spagnola, alla quale partecipò (praticamente da bambino) nelle file repubblicane. Nel 1939, diciassettenne, viene arrestato (il padre era già dentro) e nelle carceri fasciste vi resterà per cinque anni. Lo stesso anno in cui il poeta viene liberato (1944) muore il padre: lutto gravissimo che va ad aggiungersi a quelli dei compagni caduti durante la guerra o per le torture subite. Ha inizio il periodo delle gravi difficoltà economiche, dei mille lavori saltuari in giro per la Spagna franchista, visto che la guerra gli aveva impedito di completare gli studi. Hierro torna in modo percussivo nei suoi testi sul dolore, sulla morte dei compagni, sui sogni bruciati, sulla sofferenza fisica e spirituale. Temi che costituiscono l'ossatura della sua poesia che resterà segnata dalla presenza della morte e dell'odio, dallo smarrimento, dall'angoscia di perdersi, di ritrovarsi a essere e sentirsi un altro. Questo lo porterà lontano da un concetto di poesia come appartenenza a una "scuola", a un "gruppo" o della poesia vista come mestiere o carriera letteraria.

Fu durante gli anni di dura reclusione che il giovane Hierro si accosta alla poesia: studiandola e scrivendola, leggendola ai compagni detenuti. Anche per questo i suoi lavori poetici conserveranno per sempre un tono antiestetico e antiretorico e un'apertura totale e partecipe ai temi sociali. Stilisticamente le sue scelte si risolvono in testi poetici colloquiali, tendenzialmente chiari ed espliciti. Accanto però non mancheranno mai le poesie più intimiste e brevi, tese a una riflessione sull'esistenza, sulla necessità della fede (sotto l'influsso soprattutto di Miguel de Unamuno, visto anche come maestro di coerenza, di scelte radicali, d'impegno etico e sociale). Necessità della fede che in Hierro rimane tensione e ricerca, non si scioglie in convinta e totale adesione, perché in lui non c'è la certezza di Dio. Da qui il suo riconoscibile accento crepuscolare, il dubbio, il pessimismo di fondo, la costante presenza d'una gioia contenuta, d'una speranza rude, e quella sua voce sicura e sonora, ma rauca e mite:

    Parlo con l'umiltà,
    con la delusione, la gratitudine
    di chi visse dell'elemosina della vita.
    Con la tristezza di chi cerca
    una povera verità a cui appoggiarsi e riposare.
    L'elemosina fu bella - esseri, sogni, successi, amore - ,
    dono gratuito, perché nulla meritai.

Oltre al pensiero di Miguel de Unamuno la riflessione poetica di Hierro sembra accostarsi anche a quello di María Zambrano, soprattutto per quanto riguarda il significato dell'esistenza, i grandi temi della relazione dell'uomo con il divino, della morte, della nascita che si protrae ogni giorno, i sentimenti (il cuore) che devono alimentare ed espandere il pensiero conoscitivo. Come sottolinea Alessandro Ghignoli nel saggio introduttivo alle "Poesie scelte", in José Hierro si fondono le due fondamentali inclinazioni della poesia spagnola del secolo scorso: quella filosofica e temporale di Antonio Machado (la poesia come luogo "puro" e insieme contaminato dalla Storia) e l'austera ricerca di Juan Ramón Jiménez, tesa a una conoscenza quasi ascetica dell'espressione poetica.


José Hierro, Poesie scelte (a cura di Alessandro Ghignoli, Raffaelli Editore, Rimini 2003, pp. 92, euro 9,00)
Alessandro Ghignoli è nato a Pesaro nel 1967, ma vive a Madrid. È professore di Filología italiana all'Università di Alcalá de Henares.




10 POESIE DI JOSÉ HIERRO


LLEGADA DE LA MUERTE

Porque me ves cansado, herido,
¿tan silenciosamente llegas
y me ofreces en ti el descando
la paz que rompa mis cadenas?

Porque me ves desnudo, seco,
a punto casi de ser tierra,
¿en tus dos manos traes la llave
para abrirme la paz completa?

Vete muj legos de mi lado,
a donde yo nunca te vea.
Desnudo, triste, miserable,
sin otro lecho la yerba,
sin otro vaso que mi mano,
sin más techo que las estrallas
ni más amigo que el cansancio
de caminos y carreteras,
me resisto a dormir tue sueño,
a ser mi sombra, madre negra.
Vete muy lejos de mi lado,
a donde yo nunca te vea,
que pobre, y ciego, y solitario,
y herido, y triste, amo la tierra,
donde encuentro, cada mañana,
la certeza de ser materia.


ARRIVO DELLA MORTE

Perché mi vedi stanco, ferito,
così silenziosa arrivi
e mi offri in te il riposo,
la pace che rompe le mie catene?

Perché mi vedi nudo, secco,
al punto di essere quasi terra,
nelle tue due mani porti la chiave
per aprirmi la pace completa?

Vattene via, lontana dal mio fianco,
dove io non ti possa vedere.
Nudo, triste, miserabile,
senza altro letto che l'erba,
senza altro bicchiere che la mia mano,
senza altro tetto che le stelle
né altro amico che la stanchezza
di sentieri e di strade,
resisto a dormire il tuo sonno,
ad essere la mia ombra, madre nera.
Vattene via, lontana dal mio fianco,
dove io non ti possa vedere,
che povero e cieco e solitario
e ferito e triste amo la terra,
dove trovo, ogni mattina,
la certezza di essere materia.

(traduzione Alessandro Ghignoli, da Tierra sin nosotros, 1947)

    ***
PASADO

Ahora que vuelve a ser la tarde
de plata y gris, ahora que tengo
ante mis ojos, en mi lengua,
el color, el sabor del tiempo,
ahora, por fin, ¡qué dolorosa-
mente, qué claro y fiel lo veo!
Parece que ando por la tierra
asistiendo a mi proprio entierro,
que estoy colgado en el presente
igual que un ojo gigantesco,
contemplando toda mi vida,
que hace el nido en mi proprio cuerpo.
Yo, desde fuera de la carne,
impasiblemente lo veo.

Marcha mi cuerpo por la orilla.
Se detiene (no: me detengo).
Juega o se tiende entre unaa rocas
y se duerme, mientras le velo,
sin que yo pueda despertarle
de sus mentira y su sueño.


PASSATO

Ora che torna di nuovo la sera
grigia e d'argento, ora che ho
davanti agli occhi, sulla lingua,
il colore e il sapore del tempo,
adesso, finalmente, che dolore,
quanto chiaro e preciso lo vedo!
Sembra che cammini sulla terra
assistendo al mio funerale,
che sia appeso al presente
simile a un occhio immenso,
contemplando tutta la mia vita,
che faccia il nido nel mio stesso corpo.
Io, stando fuori della carne,
distaccato lo osservo.


Va il mio corpo verso la riva.
Si ferma (no: mi fermo).
Gioca o si distende tra le rocce
e mentre lo veglio s'addormenta,
senza poterlo destare
dalle sue menzogne e dal suo sogno

(traduzione Alessio Brandolini, da Tierra sin nosotros, 1947)

    ***
QUSIERA ESTA TARDE NO ODIAR

   Quisiera esta tarde no odiar,
no llevar en mi frente la nube sombría.
Quisiera tener esta tarde unos ojos más claros
para posarlos srenos en la lejanía.
   Debe de ser tan hermoso decir:
"Creo en las cosas que existen y en otras
        que acaso no existan,
en todas la cosas que pueden salvarme,
        aunque ignore su nombre;
conozco la fruta dorada que da la alegría."
   Quisiera esta tarde no odiar,
sentirme ligero, ser río que canta, ser viento
        que mueve la espiga.
Miro al Poniente. Atardecen los largos caminos
        que van a la noche,
que dan su cansancio a la noche, que van
        a la noche a soñar en su negra mentira.


VORREI NON ODIARE QUESTA SERA

   Vorrei non odiare questa sera,
non portare sulla mia fronte la nube oscura.
Questa sera vorrei avere occhi più chiari
per posarli sereni nella lontananza.
   Dev'essere bellissimo poter dire:
"Credo nelle cose che esistono e in altre
        che probabilmente non esistono,
in tutte le cose che possono salvarmi,
        anche ignorando il loro nome;
conosco la frutta dorata che dona l'allegria."
   Vorrei non odiare questa sera,
sentirmi leggero, essere fiume che canta,
        essere vento che muove la spiga.
Guardo a ponente. S'abbuiano i lunghi percorsi
        che vanno nella notte,
che donano la loro stanchezza alla notte, che entrano
        nella notte a sognare nella sua grande menzogna.

(traduzione Alessio Brandolini, da Alégria, 1947)

    ***
EL QUE DA LA ALEGRÍA

Sé como el homo: sube,
piensa que al evadirte
nadie dirá "te tuve
y he podido medirte".

Sé como el sueño: canta,
encanta al ser dormido.
Nos pone tu garganta
el corazón florido.

Sé el vino que enborracha
y por vicio se quiere;
no el sándalo que el hacha
perfuma, que lo hiere.

Alma que brilla y queda
resonando en el hombre.
Pero que nadie pueda
adivinar su nombre.


COLUI CHE DÀ L'ALLEGRIA

Sii come il fumo: sali,
pensa che evitandoti
nessuno dirà "ti ho avuta
e ho potuto misurarti".

Sii come il sogno: canta,
incanta all'addormentato.
Ci apre la tua gola
il cuore fiorito.

Sii il vino che ubriaca
e per vizio si ama;
non il sandalo che la scure
profuma, che lo ferisce.

Anima che luccica e rimane
risuonando nell'uomo.
Ma che nessuno possa
indovinare il suo nome.

(traduzione Alessandro Ghignoli, da Alegría, 1947)

    ***
AUNQUE EL TIEMPO ME BORRE DE VOSOTROS

Aunque el tiempo me borre de vosotros
mi juventud dará la muerte al tiempo.

Y entonces, sin hablarme, sin hablarnos,
qué claramente non comprenderemos,
y qué hermoso vivir entre vostros
soñando vuestro sueños.

Pasaréis ante el árbol, en el río
mojaréis vuestro cuerpo
y os colmará una vieja y honda gracia,
un remoto misterio,
como si el árbol o como si el agua
flotasen antes en vuestro recuerdo,
como si alguien hubiese antes vivido
la vida que lleváis en vuestros cuerpos.

Así compartiremos nuestro mundos
en el fondo de vuestro pensamientos.


BENCHÉ IL TEMPO MI CANCELLI DA VOI

Benché il tempo mi cancelli da voi
la mia gioventù darà la morte al tempo.

E allora, senza parlarmi, senza parlarci,
così chiaramente ci capiremo,
e che bello vivere tra di voi
sognando i vostri sogni.

Passerete davanti all'albero, al fiume
bagnerete il vostro corpo
e vi riempirà un'antica e profonda grazia,
un remoto mistero,
come se l'albero o come se l'acqua
galleggiasse prima nel vostro ricordo,
come se qualcuno avesse vissuto prima
la vita che portate nei vostri corpi.

Così condivideremo i nostri mondi
nel fondo dei vostri pensieri.

(traduzione Alessandro Ghignoli, da Alegría, 1947)

    ***
EL INDIFERENTE

Ahora seremos felices,
cuando nada hay que esperar.

Que caigan las hojas secas,
que nazcan de flores blancas,
¡qué más da!

Que brille el sol o que arpegie
la lluvia sobre el cristal,
que todo sea mentira
o sea todo verdad;

que reine sobre la tierra
la primavera inmortal
o que decline la vida,
¡qué más da!

Que haya música errantes,
¡qué más da!

Para qué queremos músicas
si no hay nada que cantar.


L'INDIFFERENTE

Adesso saremo felici,
quando non c'è niente da sperare.

Che cadano le foglie secche,
che nascano da fiori bianchi,
che importa!

Che splenda il sole o che arpeggi
la pioggia sul vetro,
che tutto sia menzogna
o sia tutto verità;

che regni sulla terra
la primavera immortale
o che declini la vita,
che importa!

Che ci siano musiche erranti,
che importa!

A che fine vogliamo musiche
se non c'è niente da cantare.

(traduzione Alessandro Ghignoli, da Alegría, 1947)

    ***
JUNTO AL MAR

Si muero, que me pongan desnudo,
desnudo junto al mar.
Serán las aguas grises mi escudo
y no habrá que luchar.

Si muero que me dejen a solas.
El mar es mi jardín.
No puede, quien amaba las olas,
desear otro fin.

Oiré la melodía del viento,
la misteriosa voz.
Será por fin vencido el momento
que siega como hoz.

Que siega pesadumbres. Y cuando
la noche empiece a arder,
soñando, sollazando, cantando,
yo volveré a nacer.


ACCANTO AL MARE

Se muoio, che mi mettano nudo,
nudo accanto al mare.
Saranno le acque grigie il mio scudo
e non si dovrà lottare.

Se muoio che mi lascino da solo.
Il mare è il mio giardino.
Non può, chi amava le onde,
desiderare un'altra fine.

Sentirò la melodia del vento,
la misteriosa voce.
Sarà finalmente vinto il momento
che miete come falce.

Che miete incubi. E quando
la notte inizierà ad ardere,
sognando, singhiozzando, cantando,
io nascerò di nuovo.

(traduzione Alessandro Ghignoli, in Quinta del 42, 1953)

    ***
LAS NUBES

Inútilmente interrogas.
Tus ojos miran al cielo.
Buscas detrás de las nubes,
huellas que se llevó el viento.

Buscas las manos calientes,
los rostros de los que fueron,
el círculo donde yerran
tocando sus instrumentos.

Nubes que eran ritmo, canto
sin final y sin comienzo,
campanas de espumas pálidas
volteando su secreto,

palmas de mármol, criaturas
girando al compás del tiempo,
imitándole la vida
su perpetuo movimiento.

Inútilmente interrogas
desde tus párpados ciegos.
¿Qué haces mirando a las nubes,
José Hierro?


LE NUVOLE

Inutilmente interroghi.
I tuoi occhi guardano il cielo.
Cerchi, dietro le nuvole,
orme che si è portato via il vento.

Cerchi le mani calde,
i visi di quelli che sono stati,
il circolo dove marcano
suonando il loro strumenti.

Nuvole che erano ritmo, canto
senza fine e senza inizio,
campane di schiuma pallide
ribaltando il loro segreto,

palme di marmo, creature
che girano al ritmo del tempo,
imitando alla vita
il suo perpetuo movimento.

Inutilmente interroghi
dalle tue palpebre cieche.
Che fai guardando le nuvole
José Hierro?

(traduzione Alessandro Ghignoli, da Cuanto sé de mi, 1957)

    ***
ALUCINACIÓN

Me acuerdo de los árboles de Dublin.

(Imaginar y recordar
se superponen y confunden;
pueblan, entrelazados, un instante
vacío con idéntica emoción.
Imaginar y recordar...)

Me acuerdo de los árboles de Dublin...
Alguien los vive y los recuerdo yo.
De los árboles caen hojas doradas
sobre el asfalto de Madrid.
Crujen bajo mis pies, sobre mis hombros,
acarician mi manos,
quisieran exprimirme el corazón.
No sé si lo consiguen...

Imaginar y recordar...
Hay un momento que no es mío,
no sé si en el pasado, en el futuro,
si en lo imposible... Y lo acaricio, lo hago
presente, ardiente, con la poesía.

No sé si lo recuerdo o lo imagino.
(Imaginar y recordar me llenan
el instante vacío.)
Me asomo a la ventana.
Fuera no es Dublin lo que veo,
sino Madrid. Y, dentro, un hombre
sin nostalgia, sin vino, sin acción,
golpeando la puerta.
                            Es un espectro
que persigue a otro espectro del pasado:
el spectro del viento, de la mar,
del fuego - ya sabéis de qué hablo -, espectro
que pueda hacer que cante, hacer que vibre
su corazón, para sentirse vivo.


ALLUCINAZIONE

Mi ricordo degli alberi di Dublino.

(Immaginare e ricordare
si sovrappongono e confondono;
popolano, intrecciati, un istante
vuoto con identica emozione.
Immaginare e ricordare...)

Mi ricordo degli alberi di Dublino...
Qualcuno li vie e li ricordo io.
Dagli alberi cadono foglie dorate
sull'asfalto di Madrid.
Frusciano sotto i miei piedi, sulle mie spalle,
accarezzano le mie mani,
vorrebbero spremermi il cuore.
Non so se ci riescono...

Immaginare e ricordare...
C'è un momento che non è mio,
non so se nel passato, nel futuro,
se nell'impossibile... E lo accarezzo, lo faccio
presente, ardente, con la poesia.

Non so se lo ricordo o l'immagino.
(Immaginare e ricordare mi riempiono
l'istante vuoto.)
Mi affaccio alla finestra.
Fuori non è Dublino ciò che vedo,
bensì Madrid. E, dentro, un uomo
senza nostalgia, senza vino, senza azione,
colpendo la porta.
                             È uno spettro
che insegue un altro spettro del passato:
lo spettro del vento, del mare,
del fuoco - sapete bene di quello che parlo -, spettro
che può far che canti, far che vibri
il suo cuore, per sentirsi vivo.

(traduzione Alessandro Ghignoli, da Libro de las alucinaciones, 1964)

    ***
PUERTO DE GIJÓN

El hombre se ha asomado al agua inmóvil de la atardecida.
Bajo los cascos se hacen trizas el rojo, el verde, el amarillo.
Son chispazos, harapos: visten la carne turbia de la mar.
El hombre ha empapado una sombra en el corazón del poniente:
cubre con ella el mundo. El aire se convierte en vidrio de olvido.
Aquellos hombres que tejían primarosas redes de araña,
las mujeres que descendían por rampas y por escaleras,
se han disuelto en la luz de cobre.
La realidad zarpa hacia islas imposibles y luminosas
y deja aquí su seca máscara.

El hombre se aleja del agua mojado de melancolía.


PORTO DI GIJÓN

L'uomo si è affacciato sull'acqua immobile della sera.
Sotto gli scafi s'infrangono il rosso, il verde, il giallo.
Sono scintille, brandelli: vestono la carne torbida del mare.
L'uomo ha inzuppato un'ombra nel cuore di ponente:
ci copre il mondo. L'aria si trasforma in vetro d'oblio.
Quegli uomini che tessevano premurose reti di ragno,
le donne che scendevano da rampe e da scale,
si sono dissolte nella luce di rame.
La realtà salpa verso isole impossibili e luminose
e lascia qui la sua secca maschera.

L'uomo si allontana dall'acqua bagnato di malinconia.

(traduzione Alessandro Ghignoli, da Agenda, 1991)



Le traduzioni di Alessandro Ghignoli sono tratte da: José Hierro, Poesie scelte (Raffaelli Editore, Rimini 2003, pp. 92, euro 9,00)


alexbrando@libero.it