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RI-SPECCHIARSI AL DI LÀ 
C’è chi si reinventa ogni giorno ed è capace di prendere di petto la vita come una continua sfida al cambiamento. Dal carattere vincente, se non altro sulla carta, sa trasformare in opportunità le occasioni. Possessore di quel pregio definibile con una parola che va oggi tanto di moda: resilienza. Una dote avuta alla nascita. Invidiabile dai più.
 Poi c’è qualcuno che, al contrario, per poter andare oltre ha dovuto fare un unico salto, lungo e difficile al di là di un burrone, precipizio davanti al quale deve fare i conti arrivato a un punto di svolta e rottura del suo percorso esistenziale.
 O si resta ancorati a un passato immobile, a un’immagine che non ci rappresenta più, oppure si sceglie di andare oltre prendendo con sé uno zaino pesante di esperienze, facendo pace con il timore che, come macigni, i dolori più grevi non permettano di saltare abbastanza in alto, abbastanza in lungo. Sicuramente aiuta lo svuotarsi da una parte di queste zavorre ancestrali prima di prendere la rincorsa, ma a quel punto bisogna dedicarsi il giusto tempo, riflettere, elaborare in modo saggio, per non correre il rischio di essere trascinati giù dopo, quando si è già in corsa, da quei pesi che non si è stati capaci di scrollarsi di dosso. Prima del salto bisogna intraprendere quindi una strada più o meno breve, fare passi spesso pesanti lungo il percorso che porta alla cima da cui si intravede il punto definitivo di rottura. L’immagine è quella di un monte faticoso da scalare, perché spesso prima si è toccato un fondo metaforico, per poi, come Dante uscendo dalla Selva Oscura, trovarsi ai piedi di un colle, dalla cui vetta si intravedono i raggi di luce, come una divina speranza, che guida alla salvezza.
 Compiuto il percorso di purificazione di sé, arriva quel salto che porta alla rottura definitiva, allo strappo che separa il vecchio dal nuovo traghettandolo in un altro “al di là”. Non è una fine, ma bisogna lasciar morire qualcosa, lasciar andare definitivamente una parte di sé, insieme a quei vecchi pesi di cui è tanto importate spogliarsi prima di intraprendere il cambiamento che permette di ri-specchiarsi in una nuova e più bella immagine di sé.  
TRIANGOLAZIONI NARCISISTICHE
 
Triangolazioni narcisistiche
 Come virtuose pièces teatrali. 
 Sulla scena fumo negli occhi 
 Che rende offuscato il confine 
 Tra commedia e una miserabile realtà. 
 Chi assiste, tra gli applausi finali, 
 Si alza dal posto che gli è stato riservato 
 Con una sensazione di amaro in bocca 
 Che non sa ben dire da dove provenga.  
LA SOLUZIONE SONO IO
 
Siamo sostituibili o sostituti,
 Pezzi di puzzle di un colore sfumato,
 Possibili soluzioni per infinite sostituzioni
 O invece siamo incollati, radicati, cementati
 Da catene altrui imposte,
 Invisibili gabbie dai bordi dorati.
 In entrambi i casi svanisce la scelta,
 L’io si piega sanguinante
 A un ego altro da sé.
 La soluzione è riflessa in uno specchio
 A cui con fatica al principio ci si aggrappa.  
LUCI FATUE
 
Inconsapevolmente amavo 
 Passeggiare di notte 
 Beneficiando di un diffuso chiarore 
 Che rendeva in apparenza visibili 
 I contorni materici delle cose. 
 Più di una volta staccarono la corrente 
 E rimasi avvolta dall’abbraccio del Buio. 
 Ormai sono avvezza a riconoscere 
 La luce della luna da quella dei lampioni; 
 Ho imparato i Confini delle cose 
 Sbattendoci contro.  
SPEZZARE LA MALEDIZIONE
 
Ho deciso di fare della mia vita un autoritratto,
 Togliendo di mano i pennelli a chi si atteggiava,
 Pretendendo di dipingermi 
 Nei lineamenti di un’identità dissonante.
 Ero plasmata nell’altrui arte
 Alla stregua di una rosa erubescente
 (Dai petali caduchi) in una lucente teca di vetro
 Come nelle peggiori maledizioni delle favole.  
MIA SOLTANTO
 
Non c’è Approdo per la barca avvolta 
 Da onde di tempesta,
 Trascinati i legni, sbattuti su muri grigi di cielo.
 Non bisogna fidarsi delle luci:
 Possono essere fari, come fulmini mortiferi
 Che si riversano in acqua.
 Per troppo tempo ho atteso, sbattuta tra i flutti,
 (Con l’acqua alla gola e la mia barca fatta a pezzi)
 Che la tempesta si quietasse.
 Ogni volta poi costruivo altre barche,
 Con la mia sola forza 
 Pretendendo di portare in salvo
 Tutta la ciurma della nave.
 
 Poi un giorno ho raccolto il legno
 Antico, pregiato, crepato,
 Sulla spiaggia dell’ennesimo naufragio
 E ho costruito una casa sulla terraferma
 Mia soltanto.  
KINTSUGI
 
Intenta a gettare pietre pesanti da un dirupo, sperando di liberarmene, altrettante, rotolando giù dal monte alle mie spalle, me ne cadevano in testa. Fui trascinata insieme a quella valanga anche io di sotto. Vidi come era fatto il fondo e risalii arrampicandomi proprio sui resti di quelle stesse cose che mi avevano trascinata nell’abisso. Mi ritrovai in frantumi sul ciglio del dirupo e ricucii i pezzi di me con sottili fili d’oro, come i resti di un vaso in un antico mito giapponese.  
LA VOLPE E L’UVA
 
Critiche ai miei passi,
 Tra scherni e sguardi di disprezzo
 Nei giorni silenziosi trascinano un dolore inespresso
 Che ha lo stesso sapore amaro 
 Di quanto io stessa ho lasciato andare.
 Retaggi, illusioni, attaccamenti come ancore.
 
 Ho incontrato molti,
 Che non hanno avuto il mio stesso coraggio.
 Un dito puntato: l’elsa di una lancia conficcata nel cuore.  
 COSA RIEMPIE LE CREPE
 
Si fanno spazio tra le ombre, 
 Spiragli di luce nuova, fresca, salvifica.
 
 Tra l’inquietudine 
 Di ciò che non si afferra ancora 
 In un limbo di pacata attesa 
 Coltivo speranza acerba a grappoli.
 
 Oltre le crepe la vita 
 Procede senza chiedere il permesso.  
PRENDO RESPIRI TRA NUOVE PROMESSE
 
Aspetto le ore serali 
 Quali promessa di tregua dopo un giorno di fuoco. 
 Prendo respiri che, finalmente profondi, 
 Riempiono i polmoni di aria che sembra vera.
 
 La notte sembra un quadro 
 Dipinto che allieta, 
 Le Cicale un’orchestra 
 Che accompagna i pensieri.
 Lo sguardo fisso 
 Volto alla volta che mi sovrasta gentile 
 Tenta di leggere nelle stelle 
 Nuove promesse.  
OMNIA PRAECLARA RARA
 
Lineamenti si rincorrono arrovellandosi
 Come spuma di onde di mare, 
 Come fronde al vento si piegano, 
 Come puzzle di pezzi di vita 
 Li raccolgo, li osservo, li temo.
 
 Lineamenti imperfetti o perfettibili con cui far pace.  
NUOVA IMMAGINE
 
Ho squarciato il mio personale velo di Maya. 
 È caduta la maschera sociale,  
 Strappata per il gran fragore la tenda del palcoscenico
 In cui recitavo un canovaccio imposto.
 Sono corsa nel camerino dopo-scena e ho struccato il volto.
 “Domani ne parleranno sui giornali”
 Ho sentito dire a qualcuno che aveva pagato il biglietto. 
 Fa sempre tanto clamore ciò che spaventa i più.
 Intanto sorridevo mentre guardavo i tratti riflessi nello specchio
 Che finalmente riconoscevo come miei.  
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