Le cose non si stagliano sul nostro orizzonte invano. Le epifanie di Joyce e Woolf, con oggetti apparentemente d’uso quotidiano che rivelano un’energia spaventosa, i viaggi ulissiaci dentro la stanza di casa dei due fratelli Savinio-De Chirico, e il percorso nelle cose che ci parlano di Caproni e Szymborska, solo per fare alcuni nomi della rivoluzione dello sguardo d’occidente nel Novecento sono ancora parte integrante, e in inevitabile sviluppo, della poesia.
Missori / Missouri di Giorgio Mobili conserva questo colloquio con le e tra le cose attraverso un viaggio insieme fisico e interiore tra una stazione del metrò di Milano e le rive del Missouri. Lo stesso titolo senza presenze di ulteriori esplicazioni emana questa sensazione di superamento delle barriere tra umano ed esterno animale e soprattutto oggettuale. Un passaggio dove fuori e dentro subiscono una fusione in cui interagiscono il viaggio mitico di Ulisse e Penelope, la strada della generazione beat e poi di quella elettrica dei Canned Heat di On the road again, la persistenza dell’enigma montaliano – e non solo –, l’apparizione “inestricabile/ di un finestrino vuoto”.
 Sembra quasi di assistere, stavolta in poesia, al riemergere in luoghi ritenuti un tempo – fino al Rimbaud del Battello ebbro – indegni di menzione, come la pozzanghera “in cui/ vanno a spegnersi i sogni, e il gran piacere/ di tirare su le reti” dei naviganti epici che se tornano, non possono farlo con i mezzi narrati duemilacinquecento anni fa, ma con quelli della contemporaneità più o meno illustre. 
 L’interazione tra bar europei e americani, i luoghi vulgati dell’Adriatico anni Settanta e quelli di una nuova America in cui rimangono impronte lessicali dell’antica patria e non solo, sono parte di un tempo nuovo che non smette di passare e di divenire memoria. Luoghi di comune, apparentemente, abitudinaria sosta di consumo, marciapiedi, torri italiche, persistenza di atti ritenuti magari obsoleti e non più rappresentabili liricamente, come il pianto, e che però ritornano nella scomposizione – “goccia più iride/ vuol dire piangere” –, le cose che mostrano, a saperlo vedere, il loro sguardo, lo scontro tra ciò che rimane della terra madre e “i vecchi calcestruzzi” sono l’odierno paesaggio interiore nel suo costante, riportato alla coscienza dalle epifanie, rapporto con l’apparente altro. 
 Una poesia della continua mescidazione, del circolare rapporto con le cose del mondo che può essere avvertito attraverso il risveglio dal sonno della separazione e dell’antropocentrismo distruttore del mondo che ci circonda. Una delle poche realtà che possono contribuire ad aprire i veri occhi dell’autentico sguardo sull’unità della nostra vita.
  
Giorgio Mobili, Missori / Missouri, Edizioni Fili d’Aquilone, 2023, 73 pagine, euro 13.
 
 
 
  
 POESIE DI GIORGIO MOBILI da Missori / Missouri Edizioni Fili d’Aquilone, 2023  
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PRIMAVERA 
Non c’è fede
 in un suolo rubato alle acque
 eppure al Bistrò
 dove il sogno si attarda
 resti a bere un goccio con me...
 E sopra i caseggiati
 senza fretta ancheggia la notte
 fortunato chi, sotterrati
 i suoi conti sospetti, potrà
 nascondersi solo per poi
 farsi trovare…
 
 Sotto il becco aguzzo di amorini
 si lasciano andare
 a un merengue indiavolato:
 chi disapprova
 il tracollo negli abiti sa
 che è solo l’inizio e in fondo
 è già primavera.  
TRENO DI NOTTE
 
Di notte non parliamo che di quando
 la forma del tramonto in via Cavour
 fissava il futuro in un rapido
 e anche il caduto in bottiglia
 il tempo sufficiente per l’effetto
 spuntava a godersi vento e polvere.
 
 Ci ha conferito una fluorescenza nuova
 il nostro sogno spezzato
 anche se in questo
 non siamo certo gli unici
 a brillar di luce altrui...
 
 Il desiderio è un incendio
 che infonde sonnolenza
 l’attesa una febbre che assidera:
 ma presto l’alba comanda
 di sollevarci asciutti di chimere
 marcati a fuoco
 dall’enigma inestricabile
 di un finestrino vuoto.  
ROSSO DI SERA
 
Eri la “rossa” Mazzucchelli
 splendente di zolla e fuliggine
 la pelle di noi gatti borghesi
 il tuo vello di Giàsone…
 Ma quando ridevi di me, mi cedevi
 un francobollo di terreno
 per un’innata decenza, o il piacere
 di complicare il tuo segreto.
 
 Tira le briglie la sera
 di fronte alla sosta del sedici
 rendono l’anima gli uffici
 ai ghirigori di nuvole
 e non sentiamo più il polso, ammantati
 dalla paralisi ottobrina:
 a volte avverte così, l’ultimatum
 che è giunta l’ora di tornare.
 
 Restava un corno di muro
 avanzo di antiche compagini
 come qualcosa scagliato giù da Marte
 e poi lasciato alle vipere...
 E ora quando ridi di me, mi rammenti
 la pozzanghera in cui
 vanno a spegnersi i sogni, e il gran piacere
 di tirare su le reti.  
OTTOBRE
 
Un altro autunno
 anche se all’ora del meriggio il sole
 resta un po’ più gelido
 di quel che dicono...
 Vedrai la stretta prima o poi si allenterà
 e altre parole irreprensibili:
 ma perché affoghino
 basta una pozza in cortile.
 
 Ancora interi
 anche se condannati a dimostrare che
 goccia più iride
 vuol dire piangere...
 Il laccio è sciolto, ma il cipiglio delle cose
 ha reso tutto cagionevole
 sventando il crollo
 come la quiete dopo.  
AVVISTAMENTO A LAMBRATE
 
Dove saremo tra vent’anni?
 Ma io avvertivo solo le vocali
 spiccare dai casamenti
 sbarrare il passo a ogni suono
 d’avvenire.
 
 Calò dal cielo, azzurra, un’astronave
 e dopo il polverone, ritta
 un’ombra sola
 (il fronte bianco di un motel
 ingoiava le stelle…)
 
 Ci passerò davanti
 camuffato
 ma con gli orecchi aguzzi: il vento
 ripete il battibecco dell’autunno
 sui vecchi calcestruzzi
 e ormai
 le leggi della traiettoria
 si attardano dietro il paesaggio
 nei mulinelli del dolore
 sul quotidiano che non smette
 di volare.  
MISSORI / MISSOURI
 
Un giorno scomparve
 in bocca al metrò
 lasciandoti una lettera…
 
 Da quanto si nutre
 la tua fedeltà
 di un alimento uranico?
 
 Ma quando è quiete
 sintonizzati e chissà
 (non è ancora notte fonda)
 smetti di – bruciare
 e tornerà da te.
 
 Da piazza Missori
 al Central West End
 biancheggiano le lucciole...
 
 Si stringono i porti
 rimostrano i morti:
 sfiancato dai fuochi in città
 dal davanzale il vuoto
 adesca il cuore...
 
 Ma se mi senti
 prova a sporgerti e vedrai
 (non è ancora notte, in fondo)
 smetti di – cercare
 io tornerò da te.
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 Giorgio Mobili è critico letterario, poeta e traduttore, nato a Milano nel 1973 e residente negli USA dal 1999. Insegna alla California State University di Fresno. È autore di vari saggi e dello studio Irritable Bodies and Postmodern Subjects in Pynchon, Puig, Volponi (2008).
 Ha pubblicato sei raccolte di poesia in italiano, tra le ultime: Dimenticare un hotel (2020) e Missori / Missouri (Edizioni Fili d’Aquilone, 2023); una in spagnolo (Última salida a Ventura, 2014). Nel 2021 è uscita la sua prima raccolta poetica (e fotografica) in inglese, Sunken Boulevards. La sua poesia è apparsa in numerose riviste sia in Italia che all’estero, ed è stata inclusa nell’antologia bilingue Poets of the Italian Diaspora (a cura di Joseph Perricone e Luigi Bonaffini, Fordham UP, 2014).
 Ha tradotto in italiano il poeta brasiliano Narlan Matos (La provincia oscura, 2016), il poeta americano Christopher Merrill (Necessità, 2017) e la poetessa cilena Carmen Berenguer (Orme di secolo, 2021). Ha tradotto in inglese il poeta Luigi Fontanella (Adolescence and Night, 2020) e il filosofo Massimo Cacciari (Philosophy, Mysticism, and the Political, 2021).
 testimarco14@gmail.com
 
 
 
  
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