FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 64
luglio 2023

Estate

 

UNA POESIA PER APRIRE GLI OCCHI
Su Missori / Missouri di Giorgio Mobili

di Marco Testi



Le cose non si stagliano sul nostro orizzonte invano. Le epifanie di Joyce e Woolf, con oggetti apparentemente d’uso quotidiano che rivelano un’energia spaventosa, i viaggi ulissiaci dentro la stanza di casa dei due fratelli Savinio-De Chirico, e il percorso nelle cose che ci parlano di Caproni e Szymborska, solo per fare alcuni nomi della rivoluzione dello sguardo d’occidente nel Novecento sono ancora parte integrante, e in inevitabile sviluppo, della poesia.

Missori / Missouri di Giorgio Mobili conserva questo colloquio con le e tra le cose attraverso un viaggio insieme fisico e interiore tra una stazione del metrò di Milano e le rive del Missouri. Lo stesso titolo senza presenze di ulteriori esplicazioni emana questa sensazione di superamento delle barriere tra umano ed esterno animale e soprattutto oggettuale. Un passaggio dove fuori e dentro subiscono una fusione in cui interagiscono il viaggio mitico di Ulisse e Penelope, la strada della generazione beat e poi di quella elettrica dei Canned Heat di On the road again, la persistenza dell’enigma montaliano – e non solo –, l’apparizione “inestricabile/ di un finestrino vuoto”.
Sembra quasi di assistere, stavolta in poesia, al riemergere in luoghi ritenuti un tempo – fino al Rimbaud del Battello ebbro – indegni di menzione, come la pozzanghera “in cui/ vanno a spegnersi i sogni, e il gran piacere/ di tirare su le reti” dei naviganti epici che se tornano, non possono farlo con i mezzi narrati duemilacinquecento anni fa, ma con quelli della contemporaneità più o meno illustre.

L’interazione tra bar europei e americani, i luoghi vulgati dell’Adriatico anni Settanta e quelli di una nuova America in cui rimangono impronte lessicali dell’antica patria e non solo, sono parte di un tempo nuovo che non smette di passare e di divenire memoria. Luoghi di comune, apparentemente, abitudinaria sosta di consumo, marciapiedi, torri italiche, persistenza di atti ritenuti magari obsoleti e non più rappresentabili liricamente, come il pianto, e che però ritornano nella scomposizione – “goccia più iride/ vuol dire piangere” –, le cose che mostrano, a saperlo vedere, il loro sguardo, lo scontro tra ciò che rimane della terra madre e “i vecchi calcestruzzi” sono l’odierno paesaggio interiore nel suo costante, riportato alla coscienza dalle epifanie, rapporto con l’apparente altro.

Una poesia della continua mescidazione, del circolare rapporto con le cose del mondo che può essere avvertito attraverso il risveglio dal sonno della separazione e dell’antropocentrismo distruttore del mondo che ci circonda. Una delle poche realtà che possono contribuire ad aprire i veri occhi dell’autentico sguardo sull’unità della nostra vita.


Giorgio Mobili, Missori / Missouri, Edizioni Fili d’Aquilone, 2023, 73 pagine, euro 13.




POESIE DI GIORGIO MOBILI
da Missori / Missouri
Edizioni Fili d’Aquilone, 2023


PRIMAVERA

Non c’è fede
in un suolo rubato alle acque
eppure al Bistrò
dove il sogno si attarda
resti a bere un goccio con me...
E sopra i caseggiati
senza fretta ancheggia la notte
fortunato chi, sotterrati
i suoi conti sospetti, potrà
nascondersi solo per poi
farsi trovare…

Sotto il becco aguzzo di amorini
si lasciano andare
a un merengue indiavolato:
chi disapprova
il tracollo negli abiti sa
che è solo l’inizio e in fondo
è già primavera.


TRENO DI NOTTE

Di notte non parliamo che di quando
la forma del tramonto in via Cavour
fissava il futuro in un rapido
e anche il caduto in bottiglia
il tempo sufficiente per l’effetto
spuntava a godersi vento e polvere.

Ci ha conferito una fluorescenza nuova
il nostro sogno spezzato
anche se in questo
non siamo certo gli unici
a brillar di luce altrui...

Il desiderio è un incendio
che infonde sonnolenza
l’attesa una febbre che assidera:
ma presto l’alba comanda
di sollevarci asciutti di chimere
marcati a fuoco
dall’enigma inestricabile
di un finestrino vuoto.


ROSSO DI SERA

Eri la “rossa” Mazzucchelli
splendente di zolla e fuliggine
la pelle di noi gatti borghesi
il tuo vello di Giàsone…
Ma quando ridevi di me, mi cedevi
un francobollo di terreno
per un’innata decenza, o il piacere
di complicare il tuo segreto.

Tira le briglie la sera
di fronte alla sosta del sedici
rendono l’anima gli uffici
ai ghirigori di nuvole
e non sentiamo più il polso, ammantati
dalla paralisi ottobrina:
a volte avverte così, l’ultimatum
che è giunta l’ora di tornare.

Restava un corno di muro
avanzo di antiche compagini
come qualcosa scagliato giù da Marte
e poi lasciato alle vipere...
E ora quando ridi di me, mi rammenti
la pozzanghera in cui
vanno a spegnersi i sogni, e il gran piacere
di tirare su le reti.


OTTOBRE

Un altro autunno
anche se all’ora del meriggio il sole
resta un po’ più gelido
di quel che dicono...
Vedrai la stretta prima o poi si allenterà
e altre parole irreprensibili:
ma perché affoghino
basta una pozza in cortile.

Ancora interi
anche se condannati a dimostrare che
goccia più iride
vuol dire piangere...
Il laccio è sciolto, ma il cipiglio delle cose
ha reso tutto cagionevole
sventando il crollo
come la quiete dopo.


AVVISTAMENTO A LAMBRATE

Dove saremo tra vent’anni?
Ma io avvertivo solo le vocali
spiccare dai casamenti
sbarrare il passo a ogni suono
d’avvenire.

Calò dal cielo, azzurra, un’astronave
e dopo il polverone, ritta
un’ombra sola
(il fronte bianco di un motel
ingoiava le stelle…)

Ci passerò davanti
camuffato
ma con gli orecchi aguzzi: il vento
ripete il battibecco dell’autunno
sui vecchi calcestruzzi
e ormai
le leggi della traiettoria
si attardano dietro il paesaggio
nei mulinelli del dolore
sul quotidiano che non smette
di volare.


MISSORI / MISSOURI

Un giorno scomparve
in bocca al metrò
lasciandoti una lettera…

Da quanto si nutre
la tua fedeltà
di un alimento uranico?

Ma quando è quiete
sintonizzati e chissà
(non è ancora notte fonda)
smetti di – bruciare
e tornerà da te.

Da piazza Missori
al Central West End
biancheggiano le lucciole...

Si stringono i porti
rimostrano i morti:
sfiancato dai fuochi in città
dal davanzale il vuoto
adesca il cuore...

Ma se mi senti
prova a sporgerti e vedrai
(non è ancora notte, in fondo)
smetti di – cercare
io tornerò da te.




Giorgio Mobili
è critico letterario, poeta e traduttore, nato a Milano nel 1973 e residente negli USA dal 1999. Insegna alla California State University di Fresno. È autore di vari saggi e dello studio Irritable Bodies and Postmodern Subjects in Pynchon, Puig, Volponi (2008).
Ha pubblicato sei raccolte di poesia in italiano, tra le ultime: Dimenticare un hotel (2020) e Missori / Missouri (Edizioni Fili d’Aquilone, 2023); una in spagnolo (Última salida a Ventura, 2014). Nel 2021 è uscita la sua prima raccolta poetica (e fotografica) in inglese, Sunken Boulevards. La sua poesia è apparsa in numerose riviste sia in Italia che all’estero, ed è stata inclusa nell’antologia bilingue Poets of the Italian Diaspora (a cura di Joseph Perricone e Luigi Bonaffini, Fordham UP, 2014).
Ha tradotto in italiano il poeta brasiliano Narlan Matos (La provincia oscura, 2016), il poeta americano Christopher Merrill (Necessità, 2017) e la poetessa cilena Carmen Berenguer (Orme di secolo, 2021). Ha tradotto in inglese il poeta Luigi Fontanella (Adolescence and Night, 2020) e il filosofo Massimo Cacciari (Philosophy, Mysticism, and the Political, 2021).

testimarco14@gmail.com