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POEMA ORECCHIO 
Questo è l’orecchio. Vi abitarono varie sinfonie, vi si accostò
 il mare, sussurrando. Alcune voci bussarono, e fu aperto.
 Il canto della pioggia vi si accomodò più volte. E il sibilo del vento,
 che somigliava a un pianto. Mi ci sdraio e guardo
 il fiume che passa, col suo codazzo di farfalle.
 C’è una sala d’attesa con le tende, una vecchia radio,
 appesi alle pareti suoni, un lento miagolio, un semplice
 sentimentale orecchio che attende e si protende, si arrampica, sale
 di corsa le scale, trafelato scruta, fiuta le parentesi, spalanca
 le braccia, tende le mani, tocca le parole, soppesa
 i verbi, il fitto brulichio dei nomi, accarezza il silenzio
 della neve che cade. È una festa della solitudine.  
EMILIA
 
Ecco dove verrò a cercarti, nei quartieri
 popolari, avrai un aperitivo tra le mani e negli occhi
 il profilo delle casalinghe con la spesa
 e antichi fazzoletti sulla testa, uomini
 che contano e ricontano gli spiccioli, e hanno
 la bicicletta e un berretto e anni dimenticati,
 e tu sai leggere tutti quei romanzi e ogni volta
 il lieto fine scappa da un’altra parte.  
CONDOTTIERI DELL’AMORE
 
Vedi? decisamente non sono un condottiero dell'amore, mi scoraggio,
 ai primi ostacoli m’inceppo, incespico, barcollo,
 sgominato dall'orgoglio chino la testa e scappo, incatenato
 alla chimera del possesso, all’idea che sia il sesso che ci salva 
 e ci riscatta. Tu strappami tutte le medaglie, non le merito, vedi? 
 però tramite te io imparo, cerco un altro me, tento il salto con l'asta 
 oltre i miei limiti, provo a liberare, a librare l’amore oltre le nubi, oltre 
 un ristretto orizzonte. Chiederò ai tuoi santi un consulto, una dritta
 per amarti davvero, per amarti di più, amarti oltre ogni sconfitta.  
BUONGIORNO SORELLINE
 
Buongiorno sorelline, vi soffio aprile sulla faccia,
 rinnovo alla fame il benvenuto, m’inchino al buio
 d’ogni promessa, all’enigma della notte, perpetuo
 il mio scodinzolare, spalanco le finestre.
 
 Mi regalate il privilegio di abitare
 le stanze di una poesia, vi guardo scalpitanti,
 tumultuose correnti della vita. Custodite
 il suggello di amarci, di percorrere insieme
 un tratto della via, di accudirci dentro la poesia.
 
 Vi conservo anch’io all’interno
 di un palazzo di carta, nel sigillo di un libro.
 Ci siamo rivelati le paure, i desideri, abbiamo abolito
 ogni segreto, inventato codici, escogitato
 segni, inventariato sogni, spalancato i cancelli
 delle quattro esse: salute soldi sentimenti sesso.
 Concimato il terreno di parole.
 
 Adesso ci abitiamo, abitiamo dentro la poesia.
 Siamo liberi di andare e tuttavia ancora ci teniamo
 per mano, ci sfioriamo di carezze, di appigli.
 
 Vi porto con me, tra il circolo polare e l’equatore,
 in veglia e sonno, in povertà e dolore, vi accompagno
 dalla periferia fino al più fondo, profondo centro del cuore.  
EUROSTAR S’INFILA DENTRO UNA GALLERIA E QUALCUNO
 S’INTERROGA SULL'ESISTENZA DI DIO
 
Aguzza biscia d’argento che t’intani a guizzo nella galleria, serpente
 sonoro rosso e oro, nella galleria con i tuoi occhi d’oro, tutto
 germogliato di fischi, ingioiellato di barbagli, la bocca avida di vento
 giù nella torva notta, la tua rotta vibra di pupille, scintilla di domande,
 brilla e trema e teme quando annotta e il buio la inghiotte,
 si aggrotta e singhiozza, s’aggroviglia tutta nel fischio.
 
 Ecco un giapponese fitto fitto nel gorgo del giornale, lo annunciano
 gli occhiali, ecco una ragazza a forma di fontana come un paese
 perso, una luna straripata, un tumulto di bandiere, un sonno
 dal suono di fonografo, una notte pavesata di finestrini luminosi.
 
 I sedili sono colmi colmi di teste a spicchi, a fette, a segmenti, a frotte,
 e il fragore affonda tutti nel guscio tondo della galleria, nel fondo
 della marea nera, paura bru bru e tun tun tunnel e rimbalza
 sui binari il seguente assillo: esiste dio? ma nessuno lo sa e ci viene
 da ridere e ci si chiede dove va questo treno immaginario ? va
 dove vanno tutti i treni immaginari: nella pancia di dio
 ma anche dio è immaginario e s’infila dentro una pancia immaginaria.
 
 Ecco che il giapponese chiude il giornale, alla ragazza scappa un singhiozzo,
          al treno un fischio.  
LE MIE AMICHE SONO FELICI?
 
Sono felici le mie amiche? Sono metafore
 lo sventolio degli orecchini, i rossetti,
 ci sono di mezzo brani musicali,
 a volte l’amore per i gatti maschera una fragilità?
 
 Se penso ai loro occhi vedo fasi lunari
 ma anche scatole di detersivo perché
 sono leggere come arcobaleni
 ma hanno affinato una propensione al pragmatismo.
 
 Sono pittrici, poete, terapeute
 dell’anima, il vento libero
 che circola nei versi non contempla
 di mettersi al servizio di mariti.
 
 Abitano sole, in luoghi dove tocchi i tetti
 e i gatti sono ostaggio di nomi letterari.
 Nessun uomo pare all'altezza di quelle terrazze.
 
 Se abitano ai margini di un bosco la città
 resta lontana, acquitrino di luci e di rumori.
 
 Forse non sono felici, per questo
 ricorrono a scialli estivi,
 però sono maestre di vino e di cous cous
 e se coltivano infelicità conoscono i rimedi giusti.
 
 Ridono così bene e non ti negano parole di velluto.
 Io non so se le mie amiche sono felici.  
CONFUSIONI
 
Io non sono il vento anche se a volte
 il vento mi circonda e a stento
 reggo lo schianto della carezza e intanto
 un poco mi confondo e sento
 di essere anch’io vento se ne tento
 il cuore, se con lui
 mi fondo, così io divento vento.
 
 Io non sono il mare anche se a volte
 il mare mi divora come un crudele amore, 
 mi fa ammalare, avverto il suono
 di quando mi sento respirare
 e se mi assedia so di essere mare:
 nascono e crescono in me le onde, le maree,
 nelle sue acque io mi fondo, ne tocco il cuore,
 mi confondo e un poco io divento mare.
 
 Io non sono la luce sebbene la luce
 mi attraversi con un groviglio di elettricità,
 io apro le mani e la luce si deposita
 sui palmi e io divento luce
 così come mi sento vento
 e a volte sono il mare e a volte sento
 la luce chiamare e io chiamo la luce,
 ci tocchiamo il cuore, ci confondiamo
 con la luce, col vento, con il mare.  
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