FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 43
luglio/settembre 2016

Fughe

 

CARLOTTA LA LIBERA

di Annarita Verzola



Che Carlotta fosse una bambina particolare i suoi genitori lo scoprirono assai presto, appena fu in grado di mettersi a gattonare e fu quindi infilata nella playard preparata appositamente per lei nella nursery (alla mamma il termine box faceva pensare ai cavalli e così preferiva la versione anglosassone, che le sembrava più elegante). La prima volta in cui ne fuggì, i genitori diedero la colpa alla distrazione della governante; la seconda si rassicurarono a vicenda ammettendo che era stata lasciata troppo vicino a un punto di appiglio; la terza volta si accusarono a vicenda di averla invece lasciata incustodita sul letto. Dalla quarta fuga in poi, smisero di cercare scuse e fecero costruire una playard ad altezza d’uomo, incuranti del biasimo di nonni e zie che piangevano la piccola come un povero animaletto in gabbia.



Abbandonata senza rimpianti l’età degli spazi ristretti, Carlotta conobbe l’ebrezza degli orizzonti più ampi, ma ogni suo tentativo di esplorazione veniva impietosamente stroncato dagli sforzi congiunti della governante e dei genitori. La porta della cameretta veniva tenuta sempre chiusa, le scale sbarrate da cancelletti, le finestre dotate di inferriate ma, non si sa né come né perché, nessun ostacolo sembrava avere il potere di fermare Carlotta.



Una zia paterna fece accurate ricerche e annunciò che la responsabilità di tale frenesia motoria stava tutta nel nome che le avevano dato e che significava ‘persona libera’, ma i genitori bollarono tale affermazione come un’emerita sciocchezza: Carlotta era il nome della bisnonna, buon’anima, la quale non aveva mai lasciato la casa dei genitori fino al giorno del matrimonio con un ricco commerciante che abitava nella medesima via.

Quando compì sei anni, i genitori accarezzarono l’idea di non mandarla a scuola e di affidare la sua istruzione a uno o più precettori, ma temevano di passare per stravaganti, visto che i figli e le figlie di tutti i loro amici erano stati iscritti al collegio più esclusivo della città.



Così Carlotta entrò in una nuova dimensione esplorativa: non più solo la casa e il giardino, ma le strade e il collegio, un’immensa e lugubre costruzione in stile gotico che eccitò subito la fantasia della piccola. Poiché era costantemente accompagnata dalla governante e in classe le insegnanti erano state debitamente istruite sulla necessità di tenerla sotto stretta sorveglianza, Carlotta dovette mettere in campo tutte le proprie doti e aguzzare l’ingegno per perseverare con successo in quell’arte della fuga in cui aveva dimostrato tanta maestria sin dalla più tenera età.

Nonostante avesse addosso numerose paia d’occhi, che si avvicendavano nello strenuo tentativo di limitare il minimo la sua possibilità di movimento, Carlotta riuscì a compiere le più rocambolesche fughe e sparizioni nella storia della famiglia e della blasonata scuola: sfuggiva alla sorveglianza in classe come nel refettorio, spariva dal bagno e dal giardino di casa, si dileguava per strada trascinando sull’orlo dell’esaurimento nervoso chi aveva l’ingrato compito di vegliare su di lei, in un crescendo di fughe che senza dubbio avrebbero meritato di passare alla storia per la loro ingegnosità.



Trascorsero così gli anni, si succedettero le governanti e le insegnanti e Carlotta lasciò il collegio in età da marito. I suoi genitori, precocemente ingrigiti per la preoccupazione, non erano mai riusciti a strapparle il segreto di quelle fughe da un mondo che a loro sembrava idilliaco per qualunque fanciulla di buona famiglia e non vedevano l’ora che un bravo giovanotto la corteggiasse, la chiedesse in moglie e si prendesse la responsabilità di tenerla d’occhio, sollevando finalmente gli esausti genitori da quel gravoso compito.

I pretendenti non mancavano, Carlotta non era solo bella, ma anche colta e intelligente, assai spiritosa e di piacevolissima compagnia, eppure sembrava che nessuno di quei bravi giovani riuscisse a far scoppiare nel suo cuore la scintilla dell’amore. Erano tutti molto ansiosi di ricondurla in seno alla famiglia dopo averla persa e ritrovata in un luna park, al museo, durante una passeggiata nel parco.

Di tanto in tanto Carlotta spariva e poi ricompariva, radiosa e silenziosa, pronta per una nuova evasione, sempre perfettamente in ordine e in buona salute, come se una benevola creatura la proteggesse da qualsiasi pericolo in ogni spostamento.



Alla fine fu chiaro che Carlotta non si sarebbe mai fermata e i pretendenti sparirono l’uno dopo l’altro, ma lei non se ne diede pena. Le fughe si fecero sempre più frequenti e sempre più lunghe, interrotte per amore dei genitori da una cartolina o un souvenir da un luogo esotico e misterioso, finché Carlotta un giorno non tornò più.

I genitori invecchiarono nell’attesa di uno dei suoi repentini ritorni e si consolavano a vicenda solo dicendosi che se non giungeva nessuna notizia, voleva dire che tutto le andava bene.

Carlotta entrò così negli annali della famiglia come colei che aveva la libertà nel sangue e divenne una sorta di mito per i giovani discendenti: la prozia Carlotta che aveva fatto della fuga la propria arte di vita.




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