FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 33
gennaio/marzo 2014

Perdóno?

 

PERCHÉ NON PERDONARTI?

di Alessio Brandolini



Nessun occhio incontra l’occhio dell’abisso

Robert Walser


Non c’ero mai e facevi bene a lamentartene. Avevo i miei sogni, vispi anche da sveglio. Non è facile distruggerli, ci vorrebbe un bulldozer. Vorrei scendere nei dettagli ma anziché chiarire affosserei questa storia. Mi ricordo di noi. Non è vero quel che pensi: ho buona memoria. Insieme stavamo bene, di giorno perché di notte le cose giravano nel verso sbagliato e conducevano in luoghi pericolosi.

Eri depressa in modo esatto, una volta al giorno e fingevo di non vedere ma l’occhio sinistro era spalancato. Di rado fuori ma sceglievo i ristoranti migliori, i guai iniziarono quando in bagno ritrovai il tuo corpo: avevi aperto l’acqua, pressato gli asciugamani sugli squarci. Una donna pulita, a testa bassa lo sussurrai al commissario. Nessun movente e ho pianto ai tuoi funerali. È venuto tuo fratello da Milano, tua madre ottantenne con un suo cugino di Treviso.

Ho cambiato casa, che altro potevo fare? L’ho venduta a un prezzo onesto e mi sono trasferito in campagna. Vedevo tracce di sangue ovunque, non andavo in bagno nemmeno per pisciare. Detesto l’odio che ti nutre, arriva a fiumi dall’aldilà. Perché sfidarmi con quel gesto? Avrei dovuto portarti a ballare, non si sa mai come si mettono le cose, né come una storia possa finire.

Non riesco a non pensarti per il rimorso, il ronzio che sconquassa. Trito sassi e sputo mattoni, ma il muro che innalzo mi crolla addosso, figuriamoci un tetto, una casa. Ho la pelle dura, mi dico, girando in un parco pubblico tra maniaci e drogati: se mi ammazzano mi fanno un favore. Devo tritare il passato, imbattermi in una donna che ti somigli solo da lontano, annegare il tuo omicidio che, a pensarci a freddo, non avrei dovuto mettere in atto. Le notti erano incubi gonfi di pulsioni: provavo l’approccio e mi davi le spalle. Preferivi dormire ma il mio corpo era un ordigno e il sangue pressava il cervello, le parti basse.

Allungo un braccio per accarezzarti e ti indispettisci, in pieno volto mi molli uno schiaffo. Cose da pazzi, sento ancora il dolore. La tua era schietta, onirica cattiveria.

Passeggio sotto gli alberi e conto le stelle, se nessuno mi disturba posso continuare a vivere e non combino altri guai. Da troppi mesi giro a vuoto ma la solitudine fa compagnia: ascolto voci bizzarre, scorgo i fondamenti dell’abisso e le botole si spalancano per condurre in stanze allestite a festa, una festa senza gioia che sa di farsa.

Non mi perdonerò mai di non averti perdonata.

Sai bene quel che accadde. Di corsa in bagno: apro il rubinetto della vasca, ti ci trascino a forza, a calci, sono una belva in preda alla follia, afferro un lametta.

Mi bloccai soltanto quando mi resi conto del tuo sguardo spento, del tuo corpo inerte.


alexbrando@libero.it