FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 18
aprile/giugno 2010

Aquiloni

 

IL VOLO DEGLI AQUILONI

di Annarita Verzola



C’erano una volta un re e una regina saggi e buoni, molto amati da tutti i sudditi. Vivevano in un grande castello giallo, arroccato sull’orlo di una profonda gola, con il ponte levatoio sempre abbassato per accogliere chiunque volesse incontrare i sovrani.

Così ogni giorno il cortile del castello era affollato di sudditi che chiedevano udienza o portavano in dono frutta, verdure e animali; di nobili e di dame che venivano a rendere omaggio; di coraggiosi cavalieri che venivano a offrire i loro servigi; di mercanti che esibivano le merci più belle e rare per la gioia della regina e della splendida principessa Fiordalisa.

Ognuno poteva chiedere liberamente un consiglio, un aiuto, un giudizio e i sovrani erano sempre felici di ascoltare e accogliere tutti.

I soldati della guardia reale erano fieri di difendere la città e di servire la famiglia reale così benvoluta.

Durante la bella stagione sul prato davanti al castello veniva costruito un padiglione di tende bianche e rosse, sotto il quale la famiglia reale assisteva all'annuale torneo tra i valorosi cavalieri, provenienti da ogni parte del regno e dai reami vicini, orgogliosi di esibire la loro abilità e la loro destrezza.

La vita nel regno e nel castello scorreva dunque serena e felice, ma un giorno in cui il re era nella biblioteca, il capitano delle guardie corse ad avvertirlo che stava accadendo un fatto strano e terribile. Il re lo seguì immediatamente in un giro di perlustrazione intorno al castello. Qua e là erano spariti interi blocchi di mattoni e le mura mostravano inquietanti buchi neri.



Che cosa poteva significare tutto ciò? Le guardie assicurarono di non aver notato nulla di strano e così al re non rimase altro da fare che interrogare il mago Alabastro, il quale viveva nei sotterranei del castello, circondato dai suoi libroni di magia e dalle sfere di cristallo, da filtri e pozioni.



Insieme con la regina e con la principessa scese a cercarlo.

"Dimmi, mago, questi strani segni vogliono forse dire che un oscuro pericolo ci sovrasta?"

Il mago Alabastro passò più volte le mani sulla sfera di cristallo, nella quale si vedeva solo una densa nebbia grigia. Piano piano la nebbia si dissolse e mostrò una grande costruzione semi diroccata, al centro di una foresta oscura e minacciosa.

"Ecco la dimora del perfido e potente Mago del Nord… egli è il protettore e il consigliere del re Corvino, che domina quelle fredde terre lontane dal suo immenso castello. Ciò che sta accadendo è opera dello stregone!" sussurrò il mago Alabastro, ma le sue parole furono coperte da un forte scalpitio sul ponte levatoio.



I sovrani e il mago uscirono dai sotterranei e si trovarono di fronte un cavaliere completamente coperto da una lucente armatura nera, il quale piantò a terra una bandiera con un’aquila nera, lo stemma del re Corvino.

"Sono venuto con un ordine del mio sovrano: stanotte a mezzanotte mi consegnerete la principessa Fiordalisa oppure subirete l’attacco del Mago del Nord, che non lascerà mattone su mattone del vostro castello!"



Il re e la regina rimasero sgomenti di fronte all’assurda e incomprensibile pretesa del re Corvino e, appena il triste messaggero se ne fu andato, consultarono di nuovo il mago Alabastro. La risposta non fu per nulla piacevole.

"Il re Corvino ha veduto un ritratto della principessa Fiordalisa e la vuole in sposa!" sussurrò il mago, profondamente addolorato di dover dare quella terribile notizia ai suoi amati sovrani.

"È inaudito! Quel re crudele e prepotente non avrà mai la nostra cara figliola!" urlò il re, mentre la regina stringeva fra le braccia la principessa impaurita. "Guardie, preparatevi a difendere la principessa e il castello fino all’ultimo uomo!"

Il re non ebbe bisogno di dire altro. Tutto il regno si mobilitò per fronteggiare l’attacco del Mago del Nord, furono organizzati drappelli di soldati e di semplici cittadini che si offrirono volontari per fare turni di guardia intorno al castello e alle stanze della principessa Fiordalisa, perché nessuno avrebbe permesso al messaggero del re Corvino di portarla via con la forza.

Nel borgo scese un silenzio teso: tutti aspettavano la mezzanotte, pronti a difendere la principessa anche a costo della vita. Quando l’eco del dodicesimo rintocco si spense nella notte, il messaggero del re Corvino si presentò davanti al castello e nella tremolante luce delle torce ripeté il minaccioso ultimatum, che fu accolto da uno sdegnoso silenzio. Il cavaliere rimase fermo qualche minuto, poi voltò il cavallo e se ne andò senza aggiungere parola.

I sovrani e i soldati sugli spalti, il popolo per le strade, tutti si guardarono meravigliati e increduli, ma il loro sollievo durò poco. Un vento freddo e fortissimo si levò all’improvviso e avvolse tutto il castello e il borgo in un turbinio di polvere. Per parecchio tempo nessuno poté vedere più nulla e quando il vento improvvisamente cadde e la polvere si posò, tossendo e lacrimando tutti si accorsero con sgomento che qua e là, nelle mura del castello e del borgo, si erano aperte delle spaventose brecce, ma intorno non c’erano macerie, i mattoni erano svaniti nel nulla.



Il re trascorse gran parte della notte a visitare il borgo e il castello con i suoi capomastri per verificare la gravità dei danni e il mattino seguente, alla luce del giorno, la situazione apparve ancora più seria. Immediatamente i muratori si misero all’opera, lavorando alacremente per buona parte della giornata mentre il mago Alabastro studiava i suoi libroni nel tentativo di scoprire una magia che potesse contrastare l’incantesimo del Mago del Nord, ma il forte vento si rialzò all’improvviso e con esso il misterioso polverone, e tutto il faticoso lavoro andò perduto. Fu così per giorni e giorni, il vento riprendeva a soffiare nei momenti più inaspettati, e tutti cominciavano a perdersi d’animo, al punto che la principessa Fiordalisa, stanca di piangere inutilmente sulla rovina del proprio paese, prese la coraggiosa decisione di recarsi spontaneamente al castello del re Corvino.

Vani furono i tentativi dei genitori per dissuaderla dal triste proposito, anche i cittadini erano affranti per i faticosi e inutili tentativi di ricostruzione.

"Neppure il mago Alabastro finora è riuscito ad aiutarvi perciò come potete pensare di opporvi con le vostre sole forze alla perfidia del Mago del Nord? Non esiste altra soluzione, devo andare dal re Corvino." concluse la principessa Fiordalisa davanti al gran consiglio riunito e nessuno poté smentirla.

Senza la compagnia di nessuna delle sue dame, che la principessa non aveva voluto sacrificare, Fiordalisa salì nella sua bella carrozza bianca e ordinò al cocchiere di partire al galoppo verso il lontano castello del re nemico.



Furono giorni di sconforto e di pianto, nessuno aveva più voglia di lavorare alla ricostruzione del castello e il borgo cominciò a prendere un aspetto malinconico e trascurato, ma una mattina tutti furono destati da gioiosi squilli di tromba.

I sovrani corsero ad affacciarsi alla torre più alta del castello mentre il popolo faceva ressa sugli spalti. Un cavaliere dall’armatura argentea galoppava verso il castello, precedendo la carrozza bianca dalla quale scesero la principessa e un giovane straniero.

Le grida di giubilo fecero tremare le mura quando tutti finalmente riconobbero ser Meleandro, un giovanissimo cavaliere del borgo che era sparito il giorno stesso della partenza della principessa Fiordalisa.

Il re e la regina non la finivano più di abbracciare e baciare la loro figliola, tornata sana e salva, e tutti erano ansiosi di sapere come si fosse liberata. Fiordalisa chiese che fosse allestito un sontuoso banchetto e promise di dare una spiegazione.

Quella sera, nel salone adorno e illuminato a giorno con migliaia di candele, quando la principessa prese la parola si fece un silenzio profondissimo.



"Amati genitori e cari sudditi, se sono di nuovo qui con voi lo devo solo al coraggio e all’astuzia di ser Meleandro, il quale seguì la mia carrozza e giunse fino al castello del re Corvino celato a tutti, tranne che a me, per rassicurarmi e promettermi che avrebbe trovato il modo per liberarmi. Giunta nella foresta fui accolta dal Mago del Nord in persona e condotta in quel nero castello semi diroccato, in un tetro appartamento riservato a me nel quale cominciai ad attendere con ansia di essere chiamata e condotta al cospetto di colui che voleva per forza diventare mio sposo, ma i giorni passavano e di re Corvino non vi era traccia. Incontravo solo il mago e la scorbutica servitù che badava al castello, ma nel mio cuore la speranza della salvezza era mantenuta viva dalla consapevolezza che il prode ser Meleandro attendeva il momento più opportuno per mettere in pratica il proprio piano.



L’occasione gli fu fornita da un violento temporale e da un acquazzone che per tutto un giorno si abbatté sul castello. La sera ser Meleandro venne a chiedere ospitalità, presentandosi come un cavaliere errante che aveva smarrito la strada. Il mago non intendeva accoglierlo, ma la serva che gli aveva riferito la sua richiesta gli fece notare che non era molto saggio insospettirlo negandogli ospitalità, tanto il mattino dopo se ne sarebbe andato e non l’avremmo visto mai più. Per fortuna il mago accettò il suggerimento e ser Meleandro fu accolto. Io mi trovavo nel salone con il mago, il quale ogni sera mi faceva chiamare e mi rammentava che presto avrei incontrato il mio futuro sposo, con il quale avrei dovuto mostrarmi gentile e premurosa altrimenti la sua ira si sarebbe scatenata contro la mia gente e il mio paese. Io tremavo come una foglia ma quella sera il pensiero che ser Meleandro era arrivato mi rincuorava. Il giovane cavaliere ringraziò cerimoniosamente il mago per l‘ospitalità e trasse da sotto il mantello una bottiglia di vino, che gli offrì. Il dono fu molto gradito, il mago era un buongustaio e prediligeva il buon vino così, messo di ottimo umore dall’inatteso omaggio, ordinò alla cuoca di allestire una cena per me e per l’ospite. Il vino era davvero delizioso e il mago mostrò di apprezzarlo molto, tanto che ser Meleandro si dichiarò felice di fargli dono dell’intera cassa che stava trasportando con sé. Una dopo l’altra molte bottiglie furono aperte, e il mago, completamente ubriaco, ci fece una sorprendente confessione: rivelò che non esisteva nessun re Corvino e in realtà era lui che intendeva sposarmi! Io rimasi senza parole ma ser Meleandro, con grande disinvoltura, cominciò a lodarlo per la sua astuzia e la sua bravura e si disse davvero fortunato di averlo conosciuto, concludendo che la sua felicità sarebbe stata completa se avesse avuto l’onore e il piacere di assistere ad alcune magie, anche se naturalmente non osava chiederlo. Il mago non se lo fece ripetere due volte e cominciò a trasformarsi negli animali e negli oggetti più strani, scoppiando in sonore risate di fronte al finto sbalordimento di ser Meleandro, e infine gli confidò che in suo onore gli si sarebbe mostrato sotto l’aspetto di un aquilone, l’unica trasformazione davvero pericolosa per la sua incolumità, perché sarebbe bastato che finisse in mani pure e innocenti come quelle di un bambino per perdere tutto il proprio malvagio potere."



"Appena il mago eseguì l’incantesimo e si fu trasformato in un aquilone rosso dalle lunghe code di tanti colori, ser Meleandro mi chiese di afferrarlo. Appena lo strinsi fra le mani, sentii un intenso calore e l'aquilone cominciò a bruciare tra le mie dita, ma senza che io mi scottassi Quando l'aquilone scivolò via ridotto in cenere, accadde un fatto straordinario… tutto il castello fu avvolto in una spirale di luce colorata e riacquistò il suo vero aspetto, mentre i suoi abitanti con il loro giovane sovrano Fiorenzo ci circondarono e ci raccontarono di essere stati per anni sotto l' incantesimo del perfido mago il quale, minacciandoli di terribili castighi, teneva nel terrore."



"Ringraziando con grande commozione il prode ser Meleandro che li aveva liberati, re Fiorenzo gli offrì qualunque ricompensa desiderasse, ma il nostro liberatore chiese soltanto di poter tornare presto al borgo per sposare la sua amata Altea, la più giovane delle mie dame. Fiorenzo ed io trascorremmo insieme i giorni dei preparativi per la partenza e ci innamorammo. E così siamo qui, miei cari genitori, a chiedere la vostra benedizione per le nozze, le nostre e quelle di Meleandro e Altea."

La fine del racconto della principessa fu accolta da grida di giubilo e naturalmente i sovrani dettero immediatamente il consenso per le duplici nozze, che furono celebrate con grande sfarzo, seguite da una settimana di festeggiamenti e di banchetti ai quali partecipò tutto il borgo. In onore del coraggioso ser Meleandro e della sua impresa, da quel giorno lo stemma reale mostrò un aquilone rosso che si libra nell'azzurro e a tutti i bambini del regno fu insegnato a costruire aquiloni, che venivano liberati in cielo il giorno dell'anniversario di nozze delle due felici coppie.




annver3@gmail.com