| FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia  | 
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Numero 13 gennaio/marzo 2009 Nutrimenti  | 
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NUTRIRE LA POESIA di Vera Lúcia de Oliveira  | 
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 Nel ricco panorama letterario italiano, ci sono diversi gruppi e circoli di poesia che coltivano l’arte della parola con impegno ma anche con la necessaria ironia, ben sapendo che tanti sono i poeti della domenica che si accontenterebbero di vedere il proprio nome stampato solo per il gusto di stupire qualche parente o vicino di casa.
 Si incontravano ogni martedì pomeriggio a casa di Ilde Arcelli, la quale affermava che, prima di affrontare qualsiasi argomento impegnativo per lo spirito, bisogna rifocillare il corpo. E giù crostate e biscotti fatti in casa da Ilde, il che permetteva al gruppo - bisogna pur ammetterlo - di passare interi pomeriggi e sere su libri densi e spessi di alcuni dei più importanti poeti e critici italiani e stranieri, riproposti di volta in volta da uno dei partecipanti al convivio.
 Una caratteristica del gruppo, e forse la sua forza, è la capacità di accogliere e in qualche modo di assimilare al suo interno persone dalle più diverse esperienze e provenienze, italiani e stranieri, senza distinzioni di alcun genere, per cui accanto a docenti universitari, ci sono professori in pensione, dottorandi alle prese con concorsi universitari, studenti alla ricerca del primo lavoro, tutti uniti dall’amore per la poesia e dalla consapevolezza che non bisogna arrendersi all’omologazione generale di atti, sentimenti, pensieri.
 Presenteremo ai lettori di "Fili d’aquilone" alcuni di questi poeti, due autori per ogni numero, e inizieremo proprio da Ilde Arcelli, perugina verace, e da Antonella Giacon, veneta radicata da anni a Perugia. Come introduzione alle poesie, ho chiesto a ogni poeta di auto-presentarsi, possibilmente con un testo che sia anche una dichiarazione di poetica, accompagnato da selezione di poesie edite e inedite.
Per chi desiderasse conoscere meglio le attività del gruppo, indico il sito 
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POESIE DI ILDE ARCELLI
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IL CORO 
presto, ogni  domenica  mattina il  suono  trapassa  come  lama (inedito) 
 
bianche  ossa  spolpate  dal  sole allora  la  mente  corsara, (inedito) 
 
multiforme  l’assenza  dona eppure  è  qui  il  nostro  posto (inedito) 
 
Ecco il suono           Ma consola più a lungo (da Postille al necessario, 1988) 
 
Chi  questa  sera  non  sa Ci  sono  persone  fedeli  a  quell’onda (da Postille al necessario, 1988) 
 Io vivere vorrei addormentato Sandro Penna 
Per oggi mi pare che tutto in casa (da La casa di Lide, 1990) 
 
 getta via l’abito bianco lungo della prima Comunione che ingombra l’armadio - mi dice - c’è così poco spazio e poi che vuoi che sia se nella pattumiera galleggia un silenzio di carta come un respiro con quella coroncina a pezzi della tua nostalgia una roba di fiori finti così retrò – via non litighiamo per tanto poco (da Fedeltà del sogno, 1994) 
 
 nel perimetro verde del prato via se la porta il vento se una cicala tace di colpo col solleone - allora il silenzio delle cose si fa vivo nelle fessure un’ansia come di quiete un appetito strano di fine - in piena estate il brivido del disamore imploso che ingoia tutto - piano - rubando ostaggi neri alla terra. Dimmi ti prego dunque qualcosa – questa pace finta d’acquario come assorda (da Fedeltà del sogno, 1994) 
 
S’impoverisce l’alba tra i colori (da Ogni esilio, 1999) 
 
Sbadiglia  una  linea  tremante Ma  sulla  soglia  ombre  umane -  non vedi? - (da By-pass, 2001) 
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POESIE DI ANTONELLA GIACON
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POETICA 
La soglia dell'amore (da Pegno d'amore, Edizioni Corsare, Perugia, 2001) 
 
 qui per me tutto è diverso né un nome né una data ho scalpellato nella roccia un’impronta nella terra umida o un vestito rimasto nell’armadio qui nessuno ci aspetta (da Sottopressione, Fara Editore, 1994) 
 
 una collana, chiamandole partenze le porto frantumate nella bocca son vetri e ossa che stridono tra i denti. (da Sottopressione, Fara Editore, 1994) 
 
 ma sempre c’era un ritardo un tronco morto sui binari il sole cocente, un brutto sogno, una malattia, i soldi, o la tristezza di lasciarti. Tante volte avrei voluto tornare prima che il cielo si facesse bianco e venissero ancora le piogge, prima che il buio mi rendesse ancora più straniera. (da Sottopressione, Fara Editore, 1994) 
 
 
 un cane una strada nelle mie ossa cenere calda e brace 
 è impresso il violino ed il tamburo un falò di sterpi battito delle mani occhi riversi 
 tocchi de ruinassi sgnecoea na caena basta no spuo de vento sbate no scuro verto come na man sul petto dove ze che te si dov'è che sei 
 
 
 coi sedili di legno freddo e nero la fermata la sai ma è solo un nome che ti porta un deserto di segreti 
 si racconta la salita che preme sulle gambe lo scivolare dei piedi sugli appigli ma si tace dell'orrore che preme coi suoi artigli 
 il corpo ha spento dentro ogni suo lume sono i tamburi tizzo arso e spento sangue alla bocca schiuma di veleno 
 è precipizio di fango gelo stelle 
 corrono trafelati all'orizzonte certi ritrovare uguale casa ma delusione li chiama ad altra meta rendendo nuova speranza ustione a fuoco a noi strada e buio rimane resta il passo 
 che tu mi dica se c'è ancora lo scalino dove mi sedevo. C'erano incisi due segni a croce in angolo. Li ho fatti con un coccio a punta volevo che si vedesse per tanto tempo. Se tu li tocchi ancora ti parlano. Se tu li tocchi se tu ci sei vorrei sapere 
 doe te si fraccà te serco coi dei te catto fora funfignà,mastrussà, te snaso te distiro po te scondo de novo no se inacorza che imbusà al scuro 'ncora te rancuro. 
 
 (da By-pass, 2001) 
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