FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 12
ottobre/dicembre 2008

Suoni di versi

CONSONANZE SALVADOREGNE: DALLA GENERACIÓN COMPROMETIDA ALLA POESIA DE COMBATE

di Irene Campagna



Il panorama della poesia salvadoregna è ritenuto da alcuni alquanto disomogeneo. David Escobar Galindo, poeta salvadoregno nato negli anni ’40, sostiene ad esempio che all’interno di questo disordinato contesto trascendano le voci di alcuni singoli poeti, di alcune individualità, che in quanto tali non contribuiscono alla creazione di un processo culturale collettivo. I gruppi, secondo lui, nascono dall’entusiasmo del momento, non hanno una vera “coesione programmatica”, sono macchie di leopardo in un quadro frammentato già per cause storiche e istituzionali.
Mi sembra utile riportare un concetto delineato dalla professoressa Maria Poumier, esperta di letteratura latinoamericana,: “non c’è dubbio la poesia è la critica, tutta la critica, e la critica piena che merita il mondo.”1” [..]la poesia attua sempre la critica più diversa e pungente. Ma questa qualità della poesia si percepisce nell’unità collettiva di tutte le poesie, non in un poeta in particolare”.2

Proviamo allora ad abbozzare una visione globale soffermandoci sui fenomeni poetici di maggior rilievo per vedere che tipo di critica opera la poesia salvadoregna e quali suoni riverberano dai suoi versi.

Gli inizi del XX secolo nel Salvador sono segnati dalla mancata conoscenza della storia nazionale, dovuta al conservatorismo dello stato “cafetalero”: il romanzo storico non si sviluppa e lo stato impedisce la diffusione delle opere già esistenti.
La cultura salvadoregna del XX secolo si ritiene abbia inizio con una triade di fondatori: “Gavidia, el humanista; Ambrogi, el descriptor de la naturaleza; Masferrer, el moralista social.”3
Il poeta Francisco Gavidia (1863?- 1955) rappresenta in America Centrale l’umanesimo di Goethe ed è famoso per essere stato amico di Ruben Darío, sul quale ha esercitato una certa influenza. In Salvador è considerato uno dei capisaldi della cultura nazionale, molti poeti infatti si ispireranno a lui.
Alberto Masferrer (1868-1932) è noto per la sua teoria sul “minimum vital”; sarà anch’egli punto di riferimento di altri poeti, ma in molti gli rimprovereranno il suo coinvolgimento nella strage del 1932. In quell’anno Masferrer occupava un incarico istituzionale nella dittatura militare di Maximiliano Hernández Martínez.

Il generale Maximiliano Hernández Martínez aveva preso il potere nel 1931 con un colpo di stato, rimanendovi fino al 1944. La censura della lunga dittatura militare vissuta dal paese non aveva permesso lo sviluppo di un giornalismo libero e la pubblicazione di riviste culturali. Così gli scrittori erano costretti a far circolare le loro opere clandestinamente, non riuscendo spesso ad abbracciare un circuito sufficientemente ampio, né a promuovere – sostiene Ferman Cienfuegos – una scuola letteraria che desse impulso allo sviluppo, fra le altre cose, di un romanzo sperimentale.
In seguito agli eventi della guerra civile spagnola e a quelli precedenti la seconda guerra mondiale, alcuni scrittori avevano fondato il gruppo SEIS (Grupo Social en Ideas Superiores). Gli scrittori appartenenti a questo movimento, influenzato dalle idee di Federico García Lorca e di Pablo Neruda, sono conosciuti anche come “Generazione del ’44” in riferimento alla protesta sociale portata avanti con coraggio e al contributo apportato alla caduta del generale Hernández Martínez. Molti membri di questo gruppo eserciteranno un forte ascendente sulla generazione successiva e molti vi confluiranno, come ad esempio Oswaldo Escobar Velado e Italo López Vallecillos.


Roque Dalton
La generazione del ’50 composta da poeti nati intorno al 1932 promuove un modello letterario di rottura che inaugura contemporaneamente un recupero della storia e della memoria, proponendosi quale principale strumento del cambiamento sociale. L’università diviene la loro base d’azione, sono presenti negli spazi pubblici, declamano la poesia per strada, e pur non riuscendo a pubblicare le loro opere dal contenuto politico, anti-militarista e anti-oligarchico, diventano ben presto molto popolari: erano conosciuti come la Generación Comprometida.
Appartenevano a questo gruppo i poeti riuniti nel Circulo Literario Universitario, nucleo militante della Generación Comprometida, fondato nel 1956 dal guatemalteco Otto René Castillo e Roque Dalton.
Fra i principali componenti della Generación Comprometida ricordiamo: Roque Dalton (Castillo lascia dopo poco tempo il Salvador per unirsi alla guerriglia guatemalteca), Roberto Armijo, Manlio Argueta, Tirso Canales, Alfonso Quijada Urías, Italo Lopez Vallecillos, Liliam Jimenez, Mercedes Durand, Roberto Cea, Oswaldo Escobar Velado. Con essa ebbe stretti contatti anche il poeta comunista Pedro Geoffroy Rivas, ma non si integrò ad essa.
“El poeta tiene que ser una conducta” era il principio fondamentale dei componenti del Circolo. Ovvero il poeta aveva il compito di denunciare le ingiustizie sociali e di definire il suo ruolo nella società: il poeta fa parte del popolo, non è un eletto, partecipa alle rivendicazioni delle masse e usa la sua opera come un’arma, deve indirizzare il suo impegno in una specifica forma di lotta per realizzare l’unità fra pensiero e azione. Così si supera quel modello inaugurato da Neruda nel Canto General (1950), in cui il poeta era portavoce e profeta del popolo.

Le scrittrici e poetesse “comprometide” attuano una doppia operazione di rinnovamento delle lettere, unendo alle posizioni condivise con la Generación l’innovazione della letteratura “femminista”, rifiutando in primis tale etichetta caratterizzante una dimensione molto intimista che confinava la donna nello spazio domestico, escludendola dalle questioni di sfondo sociale e attuando un cambiamento tematico.
Vengono mantenute le preoccupazioni soggettive della donna, ma questa volta assumono una rilevanza nazionale, si innestano alle preoccupazioni sociali. Nella poesia di Liliam Jiménez e Mercedes Durand la maternità assume un significato più ampio, non è un’esperienza che coinvolge solo la donna, le madri e i bambini insieme agli uomini diventano agenti della lotta per una società giusta.
Una generazione letteraria, quindi, guidata e animata dalla responsabilità, dalla consapevolezza del condizionamento sociale a cui è legata la pratica artistica, tesa all’unità fra vita e arte, fra pensiero e azione, impegnata nel recupero e nella riscrittura della storia e nell’affermazione dell’identità nazionale. Il compromiso, la responsabilità, il vincolo sociale dell’arte e la sua assunzione a referente lo hanno trasformato in “matriz inspiradora y en fuerza motriz de su producción”.4
Versi dunque dal suono deciso, risoluto, amaro e duro ma non senza tenerezza perché così dovevano essere, cibo della speranza e rigurgito di amarezze condivise.

Alla Generación seguirono molti altri gruppi di minore o maggiore importanza come Piedra y Siglo (1966) fondato da poeti nati negli anni ’40 fra cui Rafael Mendoza, Julio Iraheta Santos, Luis Melgar Brizuela, Ovidio Villafuerte, Ricardo Castrorrivas. Piedra y Siglo era un movimento molto vicino alla Generación Comprometida, condivideva con questa preoccupazioni sociali e vedute politiche, era di formazione marxista, però meno militante.
Nel 1972 nasce il Taller Francisco Díaz, che vede fra i suoi fondatori l’irriducibile Tirso Canales. Proprio in quell’anno l’esercito occupa l’università del Salvador, in risposta al rapimento di un imprenditore da parte dell’ ERP (Ejercito Revolucionario del Pueblo); gli scrittori appartenenti alla Generación sono obbligati a lasciare il paese. Tirso Canales e Roberto Cea sono forse gli unici a restare.
Fra gli anni ’70 e ’80 nascono altri collettivi come La Masacuata, Juez y Parte, La Pajara Pinta, El Papo, Cebolla Púrpura, Abra.
Il 1980 è l’anno del gruppo Patria Exacta che si rifà per il nome al titolo di una poesia di Oswaldo Escobar Velado, animato dallo stesso spirito contestatario che aveva segnato anche i gruppi nati negli anni precedenti.
Gli anni ’80 vedono il dispiegamento della poesia de combate. Nel frattempo era deflagrata una sanguinosa guerra civile (1981-1992): ora la poesia si scrive con la stessa mano che un attimo prima aveva sparato, versi in cui rimbomba il tuono della battaglia.
Miguel Huezo Mixco, Alfonso Hernandez, Amada Libertad (nome di battaglia di Leila Patricia Quintana Marxelly), Silvia Elena Regalado, Eva Ortiz, Octavio Martinez, per citarne solo alcuni, hanno preso parte alla guerra civile combattendo nelle fila del FMLN e di altre organizzazioni guerrigliere.

Si collocano all’esterno di questa linea di continuità fra la poesia della Generación Comprometida e quella de combate degli anni ’80, due poeti molto apprezzati a livello nazionale e internazionale, entrambi nati negli anni ’40: Alfonso Quijada Urías (o Kijadurías, come preferisce farsi chiamare ) e David Escobar Galindo.
Il primo si avvicinò inizialmente alla Generación Comprometida; arriva giovanissimo alla capitale San Salvador dal suo paesino nativo ed entra immediatamente in contatto con i poeti del Círculo. Negli anni ’70 si allontana dal gruppo, e in seguito, a causa delle circostanze storiche e politiche, si vede obbligato all’esilio. Attualmente Alfonso Quijada Urías vive in Canada. La sua è una poesia mistica, dove trova ampio spazio la filosofia Zen. Per Kijadurías “la poesia è stata una specie di meditazione trascendentale, come trascendere da me stesso e come stare al di là del mio ego […]”. Il maggior nemico del poeta è se stesso, sconfiggerlo equivale a liberarsi. La poesia è il mezzo che rende possibile ciò, è quindi un atto di libertà individuale.
David Escobar Galindo vive attualmente a San Salvador, ha partecipato alla commissione governativa nel negoziato per gli Accordi di Pace, è direttore dell’Accademia Salvadoregna della Lingua e ha scritto più di sessanta libri ed è noto per il suo lirismo e il suo atteggiamento critico verso le avanguardie. La sua è una poesia di stampo classicista, è un grande ammiratore di Gavidia, Masferrer e della poetessa salvadoregna Claudia Lars della quale è considerato erede. Viene definito un umanista metafisico o un metafisico sociale. Mai si è avvicinato ad un gruppo. Di Davi Escobar Galindo dice Maria Poumier: “Egli stesso gradisce la qualificazione di tardo romantico per il “suo preziosismo, il suo ritorno alle rime e alle forme fisse, la sua predilezione per il sonetto. È un “creatore prolifico, e nonostante ciò è alla ricerca costante dell’aforisma e dell’haïku”.5

La poesia di protesta della Generación Comprometida si presenta come espressione di un’avanguardia, nel senso che è presente “la tradizione della rottura” e la volontà innovatrice. L’impronta politica e sociale potrebbe sembrare un atto avanguardistico sulla scia di Breton, ma è da considerare la profondità di tale fenomeno che supera la Generación per arrivare costante e ininterrotto fino alla poesia degli anni’80. Sembra allora di poter individuare un processo culturale omogeneo e dai contorni ben definiti. Le “individualità” sono proprio quelle che si pongono al di fuori di tale processo sospinto da un gruppo con grande coesione programmatica, evidentemente, per riuscire ad arrivare così lontano nel tempo.
Appartiene ad un processo culturale la presa di coscienza attuata attraverso la consapevolezza identitaria (l’identità è passato, cultura, politica, mito) e il comprendere il proprio paese, cosa significa essere salvadoregni svelando le menzogne istituzionali ed elitarie.

Roque Dalton sosteneva che la poesia è come il pane, di tutti. Come il pane ha un fine, deve nutrire tutti, e nelle diete povere il pane è un alimento di prima necessità. Pane fatto con farina macinata dal grano unitario, pane umano perché fatto dall’uomo per l’uomo.
Il suono incontenibile dell’umanità che lotta, sopravvive, stenta e sorride attraverso piccoli gesti di caparbia quotidianità. Questo è il suono della poesia che corre dalla Generación fino agli anni ’80. È la critica del disumano, della bestialità che si annida in un poliedrico sopruso, ancestrale, accanito.



1Maria Poumier, La critica en la poesía, Conferencia inaugural para el IV Festival Internacional de Poesía de San Salvador, 10 de octubre 2005.

2Maria Poumier, Dones Salvadoreños, Conferencia IV Festival Internacional de Poesía de San Salvador, octubre 2005.

3David Escobar Galindo, Indice Antologico de la poesía salvadoreña, UCA Editores, El Salvador, 1982, 1987 Segunda Edición.

4Saúl Yurkievich, A través de la trama. Sobre vanguardias literarias y otras concomitancias, Muchnik Editores, Barcelona, 1984.

5Maria Poumier, Introduction a Poesie salvadorienne du XX siècle, Editions Patiño, Geneve ( Suisse ), 2002.




INTERVISTA A MARIA POUMIER
di Irene Campagna


Maia Poumier vive in Francia. Ha dedicato due antologie alla poesia salvadoregna: Quizás tu nombre salve/ Et si ton nom sauvait, Anthologie bilingue de la poésie salvadorienne e Poésie salvadorienne du XX siècle (2002, Ginevra). Ha inoltre reso un omaggio a David Escobar Galindo, Les Clés du sous-sol, e provveduto alla supervisione della traduzione francese delle Historias Prohibidas del Pulgarcito di Roque Dalton. Ha scritto due importanti articoli sulla poesia salvadoregna contemporanea: La crítica en la poesía e Dones salvadoreños.



Può dirci in che modo la poesia della Generación Comprometida del Salvador influenzò il percorso della poesia salvadoregna? Dove s’incontrano rotture e dove, al contrario, influenze?

Dice al riguardo la professoressa Matilde Elena Lopez, poetessa illustre fra gli eredi della Generación Comprometida: “ l’estetica della sonorità, la formula metrica, la declamazione, l’inno, si sono esauriti. Esiste una nuova forma di comunicazione poetica, non per declamare, ma per leggere, meditare e discutere… poesia che si nega ad essere materia esclusiva della preziosista mummificazione sonettistica e bibelotistica secondo Roque Dalton”.
Personalmente credo che ogni nuova generazione pretenda più o meno proprio questo, ma quello che resta di essa – col passare degli anni – è proprio un nuovo accento arrogante che merita, a sua volta, d’essere superato. Le influenze ricevute dalla Generación Comprometida nel 1956, provengono dall’esterno, dalle avanguardie europee, come per tutta l’America Latina di quegli anni.

Quale, fra i gruppi che si formarono negli anni ’70, sembra mantenersi maggiormente vincolato alla Generación Comprometida?

Senz’altro Piedra y Siglo (1966) si distinse per la qualità. Rimproverò alla generazione precedente il monopolio editoriale esercitato dal Circulo Literario nell’Università di San Salvador.

Nel suo articolo “Dones salvadoreños”, lei osserva: La Generación Comprometida che successe a Masferrer scrisse partendo da posizioni di sicurezza nella propria identità, di fiducia nelle proprie armi per cambiare le cose, per trasformare il Salvador e salvare i poveri con loro. La voce vigorosa di questi avanguardisti che vedevano loro stessi come i primi a marciare incontro al fuoco non possiede la trepidazione di Masferrer, parte da dolori già vinti nell’unità e nel fragore della battaglia.
Potremmo trasferire questa considerazione alle generazioni successive alla Comprometida, cambiando i soggetti?

Certo, la poesia collerica non dubita di se stessa e si è evoluta molto da allora. Ma poi, ricomincia a vincerla una certa amarezza, un certo avvilimento.

Nello stesso articolo, lei scrive: Cosa sarebbe la storia del Salvador senza la Generación Comprometida e tutta la valanga di poesia di lotta che accompagnò gli anni 1980? Soltanto un’altra sconfitta dell’umanità.
Ecco, potrebbe parlarci di questi “guerriglieri” degli anni ’80?

La vittoria dei poeti salvadoregni è che trascesero la voce di Roque, il Salvador smise di essere un paese che riceveva influenze per diventare un paese che vivifica i poeti di altre terre.

Fino a che punto gli eventi della guerra civile condizionarono la produzione poetica, ci furono poeti che mantennero un atteggiamento più individualista, più intimista?

Si menziona sempre David Escobar Galindo come esempio del poeta che si negò a seguire la corrente. Così, mentre il grido scomposto era il suono che riempiva lo spazio editoriale, lui continuava a scrivere sonetti, come se niente stesse cambiando, in fondo. Ma i suoi Sonetos penitenciales sono monumentali proteste contro la guerra, pur adottando un tono confessionale.

Dopo la Generación Comprometida, quali le avanguardie poetiche? La poesia di lotta o una poesia più classica, lirica?

La nozione di avanguardia poetica è una metafora presa dal vocabolario militare. Però nella dottrina militare anche ciò che è nascosto è decisivo, e il segreto è imprescindibile per preparare grandi colpi di audacia. La poesia è una manifestazione della guerra di tutti contro l’inganno e la bruttezza. Nel nostro esercito ci sono gli esposti e gli occultati: a volte convergono senza saperlo nel dare colpi maestri, sempre inattesi.

Alfonso Quijada Urías si unì molto giovane alla Generación Comprometida, però negli gli anni ’70 si allontana dal gruppo. Questa circostanza si riflette in qualche modo sulla sua produzione poetica?

Alfonso Quijada Urías è un poeta che ha un forte impatto sui giovani poeti salvadoregni. Credo che a dargli un tono un po’ distante dagli altri è il fatto che si è radicato da molti anni in Canada, e riflette altre letture, altri alimenti linguistici. Cambiando contesto cambiò anche il nome, è giustificato, adesso si chiama Kijadurías, e apporta venti nuovi alla sua terra natale.

Lei ha reso un omaggio a David Escobar Galindo, un poeta che si distingue fortemente nel panorama delle lettere salvadoregne. Che io sappia, non si avvicinò mai a nessun gruppo, a una scuola poetica…

È un personaggio a parte, fin dalla nascita. Dicendoti che è alto quasi due metri, in America Centrale è inconfondibile! Però credo invece che appartenga ad una certa scuola poetica: quella dei morti, di coloro che ormai non possono colpire per il loro carattere, la loro gerarchia sociale o le loro avventure, ma soltanto per i loro versi che il tempo e le rivalità non sono riusciti a cancellare.

Penso a ciò che lei afferma in “Dones Salvadoreños” a proposito di tendenze e scuole poetiche: sono convinta che un gruppo si aggrega per affinità e prossimità […].
L’indipendenza di Galindo ha un significato più profondamente poetico o politico? O tutt’e due le cose?

In realtà Galindo attrae molto, riunisce, con discrezione, senza smanie. Né respinge né spaventa, sa essere accogliente o paziente, in base alle necessità del momento. È un poeta dell’equilibrio, senza smettere di essere audace e radicale. Possiede qualità davvero necessarie per un paese tanto abbandonato come il Salvador, è anche un protettore per gli altri poeti: aiuta ognuno a trovare una certa pace interiore.

A quanto ho capito per lei la poesia è qualcosa di magico e sacro allo stesso tempo. La sacralità di una religione ancestrale e la magia che nelle culture popolari sempre accompagna la religione, perché nascosta in tutte le cose in attesa di essere rivelata. Scrive che la poesia ha bisogno del suo clero, esegeti, apologisti, glossatori[…].
Dunque, chi è il poeta, un profeta o, per dirla con Roque, “un viaggiatore della stessa religione amorosa”?

Il poeta è tutto questo che dici, tutto insieme, e inoltre è un personaggio della farandúla, ha bisogno dell’applauso e della leggenda, il che lo rende molto fragile. Inoltre, il poeta deve mangiare. Ciò lo rende molto dipendente dal consenso. L’operaio non ha bisogno di essere elogiato, e pertanto sviluppa a volte un pensiero davvero indipendente. Il poeta è nervoso, il suo malessere si avverte in quello che scrive, e questa vibrazione esitante è ciò che lo rende amato, a volte divertente o patetico, in ogni caso vicino al lettore.

Come lettrice e amante della poesia, non come critica, lei crede che non esistano buoni e cattivi poeti, bisogna salvarli tutti per il loro intento poetico, critico?

È indispensabile salvarli tutti.
Vedi, il pasto a base di zuppa di fagioli è indigesto per l’europeo moderno, mentre per il centroamericano è l’unico pasto “vero”, che lo sostenta, e lo è stato per i contadini europei per secoli e millenni. Allo stesso modo, ci sono stili poetici che nutrono alla perfezione un certo tipo di gente, e altri versi a un altro tipo di gente. All’interno di questa diversità, fiorisce il miracolo: così, un poeta un po’ limitato e stentato, poco originale, di scarsa cultura, partorisce ogni tanto alcuni versi profondissimi, che sono la chiave per decifrare tutto il suo universo. E altre volte, da un paese ignorato, in mezzo al temporale, sorge un poeta capace di arrivare molto più in là del suo ambiente. Voglio concludere con questi versi anonimi, salvadoregni e bellissimi:

      I fanatici danno le mani,
      gli imperi danno le armi,
      i politici, discorsi,
      e il popolo mette la schiena.

      Los fánaticos dan manos,
      los imperios dan las armas,
      los politicos, discursos,
      y el pueblo pone la espalda

È sobrio, moderato, veritiero e proprio per ciò eccellente oltre che modesto, e potremmo aggiungere:

      La verità, la mettano i poeti,
      per questo ci sono
      ad aprirci il cuore

      La verdad, que la pongan los poetas,
      que para eso están
      abriéndonos el corazón


irenecampagna@gmail.it