FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 8
ottobre/dicembre 2007

Tracce d'Europa

ASCOLTARE
una rubrica per le orecchie

di Federico Platania


La scoperta dell'Europa, tra punk e storia

«Scegliamo l'Est per ragioni etiche ed estetiche. All'effimero occidentale preferiamo il duraturo; alla plastica l'acciaio. Che futuro per un Europa che non può ammettere che Pankow, Varsavia, Praga sono città europee a tutti gli effetti?». Così Giovanni Lindo Ferretti a Pier Vittorio Tondelli, in un'intervista del 1984.

Riletta oggi, una frase del genere può far ridere (o piangere, a seconda dei casi), oggi che Ferretti ha dichiarato il suo voto per il centrodestra lasciando di fatto una moltitudine di orfani - tra cui il sottoscritto - che nel passato lo avevano considerato una guida culturale, politica e spirituale. Non voglio parlare però di questo spiazzante cambio di schieramento (devo ancora farmi un'opinione precisa sulla faccenda). Preferisco ricordare il Giovanni Lindo Ferretti del passato, il fondatore di una delle più importanti realtà musicali italiane (ma preferirei dire artistiche, tout court), leader prima dei CCCP - Fedeli alla linea, poi dei CSI e infine, buoni ultimi, dei PGR. L'uomo che ha saputo coniugare, nella sua arte, il rigore intellettuale all'attitudine punk, il cristianesimo e il comunismo, la musica popolare e la propaganda politica, realizzando una serie di dischi che hanno raccontato il nostro Occidente stretto tra post-comunismo e neo-capitalismo. «Intanto Paolo VI non c'è più / È morto Berlinguer / Qualcuno ha l'AIDS / Qualcuno è PRE / Qualcuno è POST senza essere mai stato niente» salmodiava Ferretti in Svegliami, il brano di apertura di Canzoni, Preghiere e Danze del II Millennio, Sezione Europa, il disco che i CCCP - Fedeli alla linea pubblicarono nel 1988.



Alcune copertine dei dischi realizzati da Giovanni Ferretti con le sue diverse formazioni. Da sinistra: Affinità-Divergenze Tra Il Compagno Togliatti E Noi (Virgin, 1986); Socialismo E Barbarie (Virgin, 1987), Canzoni Preghiere E Danze Del II Millennio - Sezione Europa (Virgin, 1989); Ko De Mondo (I Dischi Del Mulo, 1994); D'Anime E D'Animali (Mercury, 2004)


L'Europa, del resto, è stata sempre al centro del rovello politico-filosofico di Ferretti. Basti pensare ai testi delle sue canzoni, all'inno russo suonato con batteria elettronica e chitarre elettriche su Socialismo e barbarie (Virgin, 1987), alla bellissima Depressione Caspica (su Epica, Etica, Etnica, Pathos del 1990), un'Europa sbilanciata verso est, la Turchia di Aghia Sophia, il medioriente di Paxo De Jerusalem, i grandi affreschi balcanici che Ferretti avrebbe disegnato nei dischi dei C.S.I.

Dai dischi ai libri, allora, sempre sulla mappa di questa Europa che guarda a oriente, dove i confini geografici non corrispondono necessariamente a quelli politici, men che meno a quelli culturali. Rispolvero due volumi che avevo letto diversi anni fa. Il primo: un'opera curata da G. M. Anselmi per la Bruno Mondadori Editore nel 2000, Mappe della letteratura europea e mediterranea. Il concetto intorno cui ruota questa raccolta di saggi è la perduta identità culturale europea. L'idea che sembra trasparire dalla premessa dello stesso Anselmi e dalla poetica introduzione di Antonio Prete è che in passato la cultura europea si componeva in modo dichiarato anche di elementi mediorentiali. Successivamente tale caratteristica si è smarrita, più o meno consapevolmente. Oggi che anche il mito della Mitteleuropa sta tramontando dire "cultura europea" significa quasi esclusivamente dire cultura francese, italiana, tedesca, inglese (non necessariamente in quest'ordine).

In passato le cose andavano diversamente. Si pensi a quel best-seller del Medioevo che fu il Roman de la Rose. I suoi due autori, Guillaume de Lorris e Jean De Meun, facevano dialogare tra le pagine del testo Cicerone e Avicenna, Boezio e Alhazem, Virgilio e Razi ponendoli tutti sullo stesso comune orizzonte mediterraneo (dopotutto, in una conferenza tenuta al teatro Coliseo di Buenos Aires, Borges dichiarò che «l'evento capitale della storia delle nazioni occidentali è la scoperta dell'Oriente»).

Un intero capitolo delle Mappe della letteratura europea e mediterranea è dedicato proprio agli intrecci narrativi tra Oriente e Occidente. La struttura a cornice propria delle Mille e una notte che viene ripresa dalla nascente letteratura occidentale (ovviamente Boccaccio e Chaucer, ma anche il Conde Lucanor di Manuel e Il libro de buen amor di Ruiz). Inutile dire che viene citato a più riprese il più noto europeo filoarabo della storia: Federico II.



Federico II ritratto con il falco, da De arte venandi cum avibus, Sec. XIII, manoscritto conservato nella Biblioteca Vaticana.


Torna la tesi, ancora aperta, delle possibili influenze islamiche assimilate da Dante durante la stesura della Divina Commedia (ma già nel 1919 l'arabista spagnolo Asìn Palacios avanzava tale ipotesi nel suo L'escatologia musulmana e la Divina Commedia).

La storia del deterioramento dell'unità culturale Oriente-Occidente può essere rappresentata anche dalle varie stesure della Chanson de Roland. Dalla prima versione, risalente con tutta probabilità al sec. XI, all'ultima, datata intorno al sec. XV, l'attendibilità storica del semplice fatto narrato (un'imboscata tesa nei Pirenei da una pattuglia basca alla retroguardia dell'esercito di Carlo Magno) cede via via il passo all'urgenza ideologica di rappresentare la lotta tra Islam e mondo cristiano.

Negli altri saggi che compongono queste Mappe la ricerca delle origini orientali dell'attuale cultura europea (o quanto meno delle commistioni stratificatesi nel tempo) si spinge ben oltre il medioriente. Nel topos letterario del "mondo alla rovescia" che ebbe grande fortuna nel nostro Medioevo non è difficile trovare radici egiziane. I narratori di viaggio e gli enciclopedisti del sec. XII si rivolgeranno generosamente alle storie meravigliose provenienti dall'India.

L'editore Bruno Mondadori non è nuovo, del resto, a questo taglio filo-orientale. Sempre per i suoi tipi uscì, infatti, nel 2001, la Storia d'Europa di Norman Davies (ecco il secondo volume di cui volevo parlare), ricchissima di grafici, cartine, inserti iconografici (purtroppo tutti in bianco e nero), box che approfondiscono vocaboli insoliti e tuttavia innestati senza dubbio nella storia della civiltà ("preservativo", "spezie", "naso", "cravatta", "bambini", "epidemia", etc.).

Nella prefazione Davies racconta quale metodo ha seguito per costruire questa grande sintesi storica: "In ogni momento si è tentato di contrastare la naturale propensione verso l'eurocentrismo e la civiltà occidentale (...) Sono stati posti appropriati segnali per indicare la grande importanza di argomenti come l'Islam, il colonialismo o l'Europa fuori dall'Europa. (...) Lo spazio dato agli slavi può essere attribuito al fatto che essi formano la più grande etnia di tutta l'Europa. (...) Non sono stati dimenticati i gruppi minoritari, dagli eretici e dai lebbrosi sino agli ebrei, ai Rom e ai musulmani".

Mi piacerebbe parlarne di più di questo bel libro di Davies, della sua prosa mirabilmente anti-accademica, di una certa eccentricità misurata che viene fuori ad ogni capoverso, della leggiadria con cui dà per scontati interi periodi per poi soffermarsi su dettagli illuminanti, delle citazioni inaspettate e dei frequenti riferimenti letterari, ma mi allontanerei dal senso che intendevo dare a quanto detto fino ad ora.

Chiudo allora con un'altra citazione da quell'intervista che Tondelli fece a Ferretti: "A Berlino la dolcezza del vivere esce a un livello puro: la violenza più grande, la dolcezza più estrema. I punk e i turchi. Kreuzberg è il cuore della nuova Europa. A Berlino sei un turco a tutti gli effetti, mangi turco, puzzi turco, sei circondato da turchi. Le culture arabe e asiatiche sono a noi vicine e la cultura europea si scontra e incontra con queste due civiltà da sempre. Questo è il nostro retroterra culturale e fisico". Come prima, si può ridere, piangere. O, magari, riflettere.

 

federico.platania@samuelbeckett.it