FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 6
aprile/giugno 2007

Scorie & Rifiuti

LOS GALLINAZOS SIN PLUMAS
DI JULIO RAMÓN RIBEYRO
(rifiuti ed emarginazione)

di Emanuela Jossa


Mentre per molti verbi la lingua italiana sembra attenta a distinguere se il destinatario o il soggetto di un'azione sia una persona o una cosa - per esempio, le cose si danneggiano, si rompono, gli uomini si feriscono, si ammalano - il verbo "scartare" - respingere, mettere da parte come dannoso o inutile - unifica in un'unica condizione di rifiuto uomini e cose. Il sostantivo derivato, "scarto", ci avverte il dizionario, ha anche un significato figurato: "scarto d'uomo", e cioè essere incapace, inetto, ma anche "scarto della società": feccia, marmaglia, gentaglia, canaglia.
I rifiuti, in sostanza, possono essere cose inutili, uomini inutili.

Ma da quale prospettiva si definisce l'utilità di un oggetto, e soprattutto da quale malvagio punto di vista una società può definire delle persone, escludendole, uno scarto?
Non è allora una questione semplicemente lessicale, piuttosto un problema di potere: come dice Foucault, il linguaggio è sempre un discorso, perché scavalca il sistema dei segni verso l'essere di ciò che viene significato. Un discorso egemone, forte, che definisce e determina una parte di uomini e cose a partire dalla loro utilità, li emargina, li segrega in uno spazio marginale.

I due bambini di Gallinazos sin plumas - un racconto di Julio Ramón Ribeyro - provengono da questa marginalità. Ogni giorno sono costretti dal nonno, con cui vivono nella miseria di una barriada di Lima, a uscire all'alba alla ricerca di cibo per il maiale. Entrano furtivi nella città in quell'ora in cui "una nebbia sottile dissolve il contorno degli oggetti e crea un'atmosfera incantata": le persone che all'alba sono in strada "sembrano essere fatte di un'altra sostanza e appartenere ad un ordine biologico spettrale".

Efraín e Enrique fanno parte di questo diverso ordine biologico: si muovono silenziosi tra i rifiuti alla ricerca di avanzi gettati dalle famiglie ricche, fantasmi tra altri fantasmi che fanno la stessa ricerca perlustrando altri bidoni, o i prati dei parchi, secondo un'organizzazione clandestina che distribuisce i rifiuti della città. E proprio perché il concetto di utilità muta a seconda della prospettiva, la spazzatura diventa "uno scrigno di sorprese": i fratelli trovano bretelle per fabbricare una fionda, una pera da divorare all'istante, scatolette di medicine...

Tutto si svolge nell'ora celeste dell'aurora: poi la città si riempie, i due bambini vengono di nuovo respinti al margine, alla barriada, come se il mondo urbano potesse appartenere loro solo quando è deserto, nebbioso, dai contorni sfumati: vale a dire, irreale. Il maiale cresce, diventa insaziabile e si avvicina il giorno in cui deve essere venduto al macello: il nonno. Santos, costringe i bambini ad andare alla discarica in riva al mare per trovare maggiori quantità di rifiuti. Il racconto obbedisce alle regole del realismo, con raffigurazioni di ambienti fortemente sensoriali:

Quando furono vicini sentirono un odore nauseabondo penetrargli i polmoni. I piedi sprofondavano in uno strato di piume, di escrementi, di materie putride o bruciate. Affondando le mani, cominciarono a setacciare. A volte sotto un giornale giallastro scoprivano una carogna semidivorata.

Tornano a casa con i secchi pieni, ma un giorno Efraín si ferisce un piede: la ferita s'infetta, il bambino sta male. Enrique va da solo allo scarico, lasciandosi alle spalle le feroci imprecazioni del nonno: torna con il secchio pieno e un cane magrissimo. "Non voglio cani! ci siete già voi!", urla Santos, ma il bambino gli promette che il cane non graverà sul bilancio familiare, gli darà metà della propria razione giornaliera. Poi, anche Enrique si ammala, ha la febbre forte e respira male. Il nonno sembra impazzire dalla rabbia, e trascinando la sua gamba di legno va da solo a cercare tra la spazzatura, ma torna con il secchio vuoto. Il maiale è sempre più affamato, Santos sempre più rabbioso: lascia i nipoti senza cure, senza cibo, la loro unica consolazione il cagnolino Pedro. In una notte di luna, il vecchio e il maiale sembrano impazzire: e mentre l'animale grugnisce, il nonno comincia a bastonare i bambini per costringerli ad alzarsi. Enrique implora di risparmiare il fratello, e in uno stato di indicibile prostrazione va alla discarica: "vedeva tutto attraverso una nebbia fantastica. La debolezza lo rendeva leggero, etereo: volava quasi come un uccello. Nello scarico si sentì un avvoltoio tra gli avvoltoi". Quando torna a casa, con i secchi pieni, chiama il cagnolino, ma non lo trova. Il maiale lo sta divorando. Enrique prende il bastone con cui il nonno ha ucciso il cane e colpisce il vecchio: questi, indietreggiando, cade nel porcile. Indifferente alla richiesta di aiuto del nonno, Enrique prende il fratello in braccio: "Quando aprirono il portoncino si accorsero che l'ora celeste era finita e che la città, sveglia e viva, apriva davanti a loro la sua gigantesca mandibola. Dal porcile arrivava lo strepito di una battaglia".
Così si conclude il racconto: un'immagine raccapricciante che rappresenta una drammatica inversione di ruoli, in cui il carnefice, ipocritamente affettuoso, si trasforma in vittima.

La dinamica dell'inversione si può considerare la struttura portante del racconto. Luoghi e personaggi sembrano avere una precisa connotazione e porsi in modo fortemente conflittuale. Elemento centrale della narrazione è il porcile, dove vive il maiale oggetto di adorazione di Santos. Da lì si muove tutta l'azione. Da lì giungono grugniti e odori terrificanti; è lo spazio che deve essere riempito di cibo ripugnante, e che quindi lega i due fratelli a una condizione di schiavitù. Solo davanti al porcile Santos sembra provare dei sentimenti di soddisfazione e quasi di tenerezza (interessata, naturalmente), evidenziando ancor di più lo stato di emarginazione dei due bambini. Proprio il porcile, però, alla fine diventa il luogo in cui avviene la liberazione.

Un altro luogo il cui significato viene sovvertito è la discarica. Qui si muovono esseri disperati, cani affamati, avvoltoi in cerca di carogne, tutti mossi dall'istinto di sopravvivenza e quindi in disperata competizione tra loro. I bambini cacciano i cani con i sassi, e urlano contro gli avvoltoi che li guardano con impazienza e si avvicinano come se li volessero accerchiare. Ma poco a poco la presenza dei bambini nella discarica viene accettata dagli animali: "Efraín ed Enrique trotterellavano fino allo scarico, gli avvoltoi, abituati alla loro presenza, gli lavoravano accanto, gracchiando, svolazzando, scavando con i becchi gialli, come se volessero aiutarli a scoprire la vena della preziosa immondizia".

Il luogo nauseabondo diventa il luogo della solidarietà: i cani più scheletrici e rognosi, gli uccelli più sgraziati e voraci, gli orfani più miserabili, trovano nella loro condizione di "scarti" un motivo di condivisione. Santos, per insultare i nipoti, dice loro: "Siete merda, merda schietta! Dei poveri avvoltoi senza piume!", ma quando Enrique eroicamente si alza dal letto per andare alla discarica si sente simile agli avvoltoi, un avvoltoio che sa volare.

Anche Santos subisce una progressiva trasformazione: i suoi occhi perdono qualsiasi espressione umana. Enrique cerca e scruta lo sguardo del nonno; anche alla fine, prima di colpirlo, gli ordina di voltarsi e il nonno distoglie lo sguardo, lo ignora, si rivolge solo al suo maiale Pascual. È ormai una bestia, e con la perdita dello sguardo, la sua trasformazione da carnefice a vittima è incombente.
Il ribaltamento di senso più forte è quello che riguarda la città, lo spazio abitato dalla società escludente, che produce scarti e rifiuti.

Nella narrazione, condotta a momenti con la focalizzazione dei bambini, Lima appare il luogo del benessere, del consumo, della ricchezza, del lavoro; ad essa si contrappone la barriada che le cresce addosso, che la circonda, con la sua miseria estrema. Il rapporto tra i due luoghi è l'esito dello scartare: la città sceglie i suoi abitanti, quelli che può assorbire per il lavoro, gli altri sono respinti ai margini, inutili e dannosi. E come tutti i rifiuti, li si vorrebbe invisibili, lontani.

I miserabili, gli scarti della società, si muovono nella nebbia mattutina per perlustrare i bidoni, ma quando la città inizia vivere, scompaiono. La frontiera tra i due spazi è quindi valicabile, ma di nascosto. Alla fine i due bambini fuggono verso la città, verso il benessere: ma quando scappano, Lima non è più nell'ora incantata, in cui i confini delle cose e delle persone sono sfumati dalla nebbia e dalla luce celeste: è un mostro pronto a divorarli. Di giorno, la città fagocita i rifiuti della società che si azzardano a entrare, e il narratore lascia i suoi personaggi sospesi, lasciando solo l'angoscia di disperati presagi.

Per Julio Ramón Ribeyro il racconto non è un riassunto, o un aneddoto, piuttosto un frammento: non si tratta, cioè, di ridurre a poche pagine la storia di una vita, ma di trovare in quella storia il momento culminante. In Los gallinazos sin plumas la narrazione si costruisce attraverso l'accumulazione di piccoli eventi che intervengono nella tragica quotidianità dei due bambini, creando una tensione crescente. Il finale, però, non è risolutivo: lo scioglimento della tensione è solo parziale, l'eliminazione del nonno è solo la prima tappa di un percorso oscuro.




Julio Ramón Ribeyro JULIO RAMÓN RIBEYRO

Julio Ramón Ribeyro è nato nel 1929 a Lima, Perù. Ha fatto parte della "generación del 50", corrente letteraria peruviana legata al realismo che considerava essenziale il tema urbano, in relazione al fenomeno di imponente migrazione interna dalle campagne verso la capitale Lima.
Los gallinazos sin plumas - da cui è tratto il racconto con lo stesso titolo qui proposto - è la sua prima raccolta di racconti, pubblicata nel 1955, quando già viveva in Europa da due anni.
Spostandosi tra Spagna, Francia, Belgio, Germania, ha vissuto svolgendo lavori umili, finché nel 1960 si è stabilito a Parigi dove ha cominciato a lavorare come traduttore, giornalista e successivamente come ambasciatore del Perù per l'UNESCO. Negli ultimi anni, ormai affermato scrittore, ha vissuto tra il Perù e la Francia, dedicandosi sempre alla letteratura e conducendo una vita riservata. Julio Ramón Ribeyro è morto nel 1994, qualche giorno dopo aver ottenuto il "Premio Juan Rulfo", uno dei più prestigiosi riconoscimenti per la letteratura di lingua spagnola.

Tra le sue opere ricordiamo: Cuentos de circumstancia (1958), Crónica de San Gabriel, romanzo pubblicato nel 1960 e tradotto in italiano nel 1975 (Cronaca di San Gabriel, Einaudi), Silvio en el rosedal (1977). Il racconto Los gallinazos sin plumas è stato tradotto in italiano da Laura Gonsalez, con il titolo Gli avvoltoi senza piume, e inserito nella raccolta intitolata Niente da fare, Monsieur Baruch (Einaudi, 1981).

 

ejossa@unical.it