FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 6
aprile/giugno 2007

Scorie & Rifiuti

ASCOLTARE
una rubrica per le orecchie

di Federico Platania


Borges, Beowulf e la pronuncia perduta

Se è vero che Ascoltare è una "rubrica per le orecchie" (e lo è), allora stavolta bisognerà aprirle per bene, perché - in linea con questo numero di "Fili d'aquilone" dedicato a scorie e rifiuti - ho intenzione di parlare di suoni che sono finiti nella grande pattumiera del Tempo, suoni buttati via e dimenticati.

La prendo alla lontana: negli ultimi mesi del 1966, Jorge Luis Borges tenne un ciclo di venticinque lezioni all'Università di Buenos Aires, tutte dedicate alla letteratura inglese. Borges, oltre a essere uno dei più eccezionali scrittori del suo tempo, si dimostrò anche un professore dotato del talento forse più raro e necessario: trasmettere ai suoi discepoli, non tanto date e nozioni, ma soprattutto l'amore per la materia insegnata.
Gli studenti adottarono una tecnica in voga ancora oggi: registrarono le lezioni su cassetta e poi le "sbobinarono" trascrivendole per fotocopiarle, passarsele e prepararsi così agli esami. Diversi anni dopo questi appunti furono "restaurati" da due studiosi, Martìn Arias e Martìn Hadis, i quali si occuparono tra le altre cose di correggere i numerosi errori di trascrizione e di aggiungere un puntuale apparato di note (i testi di queste lezioni sono stati raccolti l'anno scorso in Italia da Einaudi, nel volume La biblioteca inglese, per la traduzione di Irene Buonafalce e Glauco Felici).

In una delle prime lezioni Borges affronta l'immenso poema epico del Beowulf, probabilmente la più antica opera scritta in inglese arcaico. Opera di anonimo, ma giunta a noi completa in tutta l'estensione dei suoi 3182 versi, in cui si narra la storia dell'eroe che dà il titolo al poema, nobile guerriero della stirpe degli antichi Goti che soccorre il re danese minacciato dal feroce mostro Grendel.



La prima pagina del manoscritto del Beowulf
sec. X circa, British Museum - fonte: Wikipedia


E qui arriviamo al punto. Cioè ai suoni finiti nell'immondizia. Esaminando i primi versi del Beowulf Borges spiega: "Il poeta continua elencando i re della casa reale di Danimarca e arriviamo così a un re che si chiama Hrothgar. Questi gruppi consonantici sono comuni nella lingua anglosassone, ma oggi sono perduti". Già, come si pronuncia hr? O meglio, come si pronunciava quella runa che oggi gli studiosi di Inglese antico trascrivono, per convenzione, utilizzando la coppia di lettere h e r?
Impossibile saperlo. Borges continua: "Vi sono altri gruppi consonantici che non possiamo pronunciare perché non sappiamo come si pronunciassero. Ad esempio "superbo" si diceva wlanc. Non so come si possa pronunciare wl."

Che oggi non si sappia più come si leggevano certi segni è qualcosa di plausibile e incredibile al tempo stesso (del resto userei proprio questi due aggettivi per descrivere ogni idea alla base della maggior parte dei racconti di Borges: "plausibile" e "incredibile"). Oggi che è normale avere a disposizione centinaia di gigabyte per conservare le foto delle vacanze, che gli mp3 si moltiplicano sulla rete, che i video con scherzi, canzoni e discorsi affollano gli hard disk di YouTube, oggi insomma che il problema è semmai l'eccesso e la duplicazione delle informazioni, pensare che una cosa così comune, come il suono delle parole di ogni giorno, possa essere andata perduta è qualcosa di notevole.

E Borges? Come avrà pronunciato quelle parole per dirle ai suoi studenti? Che suono avrà usato per dire, appunto, la hr di Hrothgar o la wl di wlanc? Impossibile saperlo. I nastri su cui gli studenti avevano registrato la sua voce sono stati cancellati subito dopo la sbobinatura, riciclati per altre lezioni e altre voci. Altri suoni perduti, finiti nella spazzatura della Storia.

 

federico.platania@samuelbeckett.it